Capitolo La crosta terrestre: minerali e rocce

Rocce sedimentarie

Mentre le rocce magmatiche sono la traccia concreta di un’incessante attività interna del pianeta, le rocce sedimentarie sono il segno delle continue trasformazioni in atto da tempi lunghissimi sulla superficie della Terra. Sono rocce molto diffuse, anche se con modesti spessori – arrivano appena al 5% della composizione della crosta superiore – e sono estremamente eterogenee. Questa eterogeneità riflette i numerosi modi in cui tali rocce possono formarsi, pur essendo tutte esogene, cioè prodotte da processi attivi in superficie.

7.1 Dai sedimenti sciolti alle rocce compatte

Il termine sedimentazione indica la deposizione e l’accumulo, su terre emerse o sul fondo di bacini acquei (fiumi, laghi, mari), di materiali di origine inorganica od organica. Questi materiali sono stati in genere trasportati più o meno a lungo dai cosiddetti «agenti esogeni»: acque, venti, ghiacci (figura ►26). Il processo avviene quotidianamente sotto i nostri occhi in diverse aree:

  • sul fondo delle valli (depositi fluviali),
  • ai piedi delle montagne, dove cadono i frammenti rocciosi che si staccano dalle masse sovrastanti (detriti di falda),
  • nel deserto (sabbia eolica),
  • sul fondo dei laghi (fanghi argillosi o calcarei) o delle paludi (torba),
  • in riva al mare (depositi sabbiosi o ciottolosi),
  • in pieno oceano (argille e calcàri).

 

In ambiente marino o lacustre non di rado si formano sedimenti anche per l’abbondante accumulo di gusci o scheletri di organismi.

Il lento passaggio da sedimenti, formati da frammenti distinti, a rocce sedimentarie vere e proprie avviene per un insieme di fenomeni che prende il nome di diagenesi. Tra questi, il più comune è la litificazione che avviene essenzialmente per compattazione e cementazione.

  • La compattazione è dovuta al peso dei materiali che via via si sovrappongono e che, comprimendo i sedimenti sottostanti, riducono gli spazi vuoti (pori) tra i singoli frammenti. Nelle argille, lo spessore può ridursi in tal modo di oltre il 50%.
  • La cementazione è prodotta invece da acque che circolano nei sedimenti sfruttando la presenza dei pori e che portano in soluzione alcune sostanze. Col tempo tali sostanze possono precipitare chimicamente e riempire i pori, cementando i granuli. Tra i cementi più comuni ricordiamo la calcite e la silice.

Le rocce sedimentarie vengono suddivise in tre grandi gruppi, che riuniscono ciascuno quelle che si formano in modi simili:

  • rocce clastiche (o detritiche);
  • rocce organogene (o biogene);
  • rocce chimiche.
Figura 26. Gli stadi del ciclo di formazione delle rocce sedimentarie.
Figura 26. Gli stadi del ciclo di formazione delle rocce sedimentarie.openEssi abbracciano vari processi, parzialmente sovrapposti: degradazione meteorica fisica (disgregazione) e chimica (alterazione); erosione; trasporto; deposizione; seppellimento. Il processo si conclude con la diagenesi. (Rielaborato da Press e Siever)

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Rocce sedimentarie

7.2 Le rocce clastiche o detritiche

Sono rocce formate da frammenti (clasti) di altre rocce che si accumulano in genere in zone ribassate, quando il mezzo che li trasporta (acqua, vento, ghiaccio) perde la sua energia. Per risalire all’ambiente di formazione si considera la dimensione dei clasti, che riflette l’energia dell’ambiente in cui si sono deposti: quanto più sono piccoli, tanto più «tranquillo» doveva essere il mezzo (in genere l’acqua) da cui si sono sedimentati. Altra caratteristica importante è il grado di arrotondamento dei granuli, che esprime l’usura subìta dal clasto e dà un’idea dell’intensità del processo di trasporto in cui è stato coinvolto.

Le rocce costituite da clasti con dimensioni maggiori di 2 mm sono dette conglomerati, e derivano dalla lenta cementazione delle ghiaie.

  • I conglomerati formati da ciottoli spigolosi sono detti brecce (figura ►27). Esse hanno subìto un trasporto modesto, come accade ai detriti caduti ai piedi dei versanti montuosi.  
  • I conglomerati formati da ciottoli arrotondati sono detti puddinghe (figura ►28). Esse hanno subìto un lungo trasporto come, ad esempio, i depositi alluvionali lasciati dai fiumi e dai torrenti.

Le  rocce costituite da clasti più piccoli (tra 2 mm e 1/16 di mm) sono chiamate arenarie, sabbie cementate che possono essere ricche di granuli di quarzo o di altra natura (figura ►29). Derivano da sabbie desertiche, dune litorali, sabbia fluviale o lacustre o deltizia, sabbie costiere o di bassifondi marini. In Cina, in Russia ed in altre distese continentali vi sono tipici depositi giallastri di sabbia fine, trasportata su lunghe distanze dal vento, che prendono il nome di loess (pronuncia löss). 

Le rocce formate da clasti finissimi (meno di 1/16 di mm) sono dette argille. Esse si depositano in prevalenza sul fondo dei grandi laghi, o al largo dei delta, o, ancora, in mare aperto e in pieno oceano. Quando tali sedimenti, a causa della diagenesi, perdono la loro tipica plasticità e diventano più compatti, vengono distinti con il nome di argilliti.

Le rocce clastiche comprendono anche le marne, rocce che derivano da una mescolanza di argille e di calcàre di origine detritico-organogena (vedi oltre) o chimica, secondo varie proporzioni. Le marne sono la materia prima per la preparazione del cemento usato per l’edilizia.

Sono ritenute rocce clastiche anche le piroclastiti, depositi di materiali di varie dimensioni (da ceneri a lapilli) emessi da esplosioni vulcaniche. I frammenti hanno seguìto in aria o lungo le pendici del vulcano percorsi più o meno lunghi, prima di «sedimentare» su altre rocce o in mare. Per questa ragione le rocce piroclastiche vengono considerate come sedimentarie, anche se i materiali che le costituiscono sono di origine ignea.

glossario

Dal latino caementum, pietra rozza da tagliare: il cemento è una sostanza che precipita chimicamente dalle acque in circolo e nelle rocce clastiche riempie i pori più minuti, «legando» insieme i clasti.

Figura 27. <em>Breccia poligenica</em>, cioè conglomerato a ciottoli spigolosi e di varia natura.
Figura 27. Breccia poligenica, cioè conglomerato a ciottoli spigolosi e di varia natura.openI frammenti (clasti), grandi in questo caso al massimo tre o quattro centimetri, non sono stati fluitati dalle acque correnti, quindi sono rimasti spigolosi. Il cemento che lega i clasti è formato da CaCO3 (carbonato di calcio) precipitato dalle acque di circolazione. (F. Buratta e F. Paoletti)

glossario

Dal latino mater, madre: nelle rocce clastiche gli spazi tra i frammenti più grossi possono essere occupati da materiale molto fino, che costituisce la matrice.

Figura 28. <em>Puddinga</em>, un conglomerato i cui ciottoli appaiono levigati, come conseguenza dell’usura durante il trasporto.
Figura 28. Puddinga, un conglomerato i cui ciottoli appaiono levigati, come conseguenza dell’usura durante il trasporto.openIn questo caso i ciottoli sono sparsi in una sabbia fine (si parla in tal caso di matrice) e il tutto è legato insieme da un cemento, che può essere di varia natura (calcitico, silicico, ferruginoso ecc.).
Figura 29. Campione di <em>arenaria</em>.
Figura 29. Campione di arenaria.openL’arenaria ha un colore molto variabile, dal rosso al verde, al bruno, al giallo, al bianco, al grigio, come in questo caso. (Da Mottana A., Crespi R., Liborio G., Minerali e rocce, Mondadori, 1981)

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Rocce sedimentarie

7.3 Le rocce organogene

Nelle rocce clastiche si trovano frequentemente resti fossili di organismi viventi che sono stati trasportati e accumulati, spesso in frammenti, insieme ad altri clasti. Esiste però un vasto gruppo di rocce formate quasi solamente dall’accumulo di sostanze legate a un’attività biologica. Sulla base del modo in cui si è formato l’accumulo si distinguono in tre categorie, che riflettono diversi ambienti di origine.

  • Rocce bioclastiche, formate da semplici accumuli di gusci e apparati scheletrici (ad esempio gli ammassi di conchiglie che si osservano anche oggi lungo le coste).
  • Rocce biocostruite, formate da ammassi di organismi «costruttori», i cui apparati scheletrici esterni possono saldarsi l’uno all’altro (ad esempio le scogliere e gli atolli costruiti da spugne e coralli in mari tropicali).
  • Depositi organici, formati da accumuli di sostanza organica vera e propria, vegetale o animale, in mare o su terre emerse, dalla cui trasformazione nel tempo prendono origine depositi particolari (carboni e idrocarburi).

In ogni caso, la presenza di resti fossili consente di risalire all’ambiente in cui la roccia si è formata. In base alla loro natura chimica prevalente, le rocce organogene sono classificate in più gruppi.

Rocce organogene carbonatiche. Le rocce carboniche comprendono i calcàri organogeni, che derivano dall’accumulo di gusci calcarei spesso immersi in una matrice fine (figura ►30). I gusci sono costituiti da carbonato di calcio (CaCO3), minerale noto come calcite. I calcàri organogeni si formano anche dall’attività di organismi costruttori che impiegano la calcite per rivestirsi di parti scheletriche, come i coralli (figura ►31). Gli organismi che formano gusci calcarei sfruttano l’abbondanza di ioni calcio (Ca+2) e di ioni bicarbonato (\(\textrm{HCO}_{3}^{-}\)) sciolti nell’acqua di mare, dove vengono trasportati dai fiumi, come prodotti della degradazione meteorica dei calcari e delle rocce ricche di minerali silicatici contenenti calcio.

Associate ai calcàri, ma meno abbondanti, si trovano spesso le dolòmie, formate da un minerale chiamato dolomite, la cui formula è CaMg(CO3)2 (carbonato doppio di calcio e magnesio). Tali rocce si formano per un processo di diagenesi in rocce calcàree interessate da circolazione di soluzioni acquose ricche di magnesio: la dolomitizzazione (vedi Approfondimento, Dolomiti: giardino di coralli ).

In genere i sedimenti carbonatici si formano nelle piane marine abissali e sono costituiti dai gusci calcitici di un numeroso gruppo di foraminiferi, minuscoli organismi unicellulari che vivono innumerevoli nelle acque superficiali. Alla morte di quegli organismi i gusci scendono come una pioggia impalpabile sul fondo dell’oceano, dove si accumulano a formare fanghi calcarei. Vasti accumuli di sedimenti carbonatici, che con il tempo si trasformano in calcàri e dolòmie, si formano, però, anche in corrispondenza delle piattaforme carbonatiche.

Le piattaforme carbonatiche sono fondi marini, piatti e poco profondi, estesi per decine o anche centinaia di km, sui quali si depositano carbonati, sia di origine organica (gusci) sia inorganica (precipitazione chimica, forse facilitata da microrganismi). Tali aree comprendono vasti banchi coperti da qualche metro d’acqua (lagune), in cui si accumulano fanghi calcarei finissimi, mentre lungo il margine della piattaforma si sviluppano scogliere organogene, che formano ammassi rocciosi costituiti dagli apparati scheletrici di vari tipi di organismi costruttori, primi fra tutti i coralli coloniali.

Esempi attuali di queste grandi strutture sono le Isole Bahamas, al largo della Florida, o le Isole Dahlac, nel Mar Rosso e numerose altre che popolano i mari tropicali. Nel passato, con organismi costruttori diversi al passare del tempo, strutture analoghe hanno dato origine a imponenti accumuli di calcàri, ognuno con spessori di migliaia di metri, i cui resti si trovano anche sulle Alpi meridionali e formano l’ossatura di gran parte dell’Appennino centro-meridionale.

Rocce organogene silicee.  L’accumulo di gusci di organismi che utilizzano la silice invece della calcite, porta alla formazione di rocce organogene silicee. Tra queste la più diffusa è la selce, una roccia dura, formata da SiO2 (silice, in forma di quarzo o di altre varietà, come il calcedonio o l’opale), che può presentarsi in strati regolari, in genere di modesto spessore (figura ►33), o può essere contenuta entro masse calcàree in forma di lenti, noduli e masserelle sferoidali.

Depositi organici: carboni fossili e idrocarburi. I carboni fossili sono rocce organogene che derivano dalla fossilizzazione di grandi masse di vegetali (alberi, piante acquatiche, alghe) per progressivo arricchimento di carbonio e perdita degli altri elementi chimici dei vegetali. Gli idrocarburi sono invece miscele di composti del carbonio e dell’idrogeno cui si aggiungono piccole quantità di composti ossigenati, azotati e fosforati. In natura si trovano idrocarburi solidi (asfalti, bitumi), liquidi (petrolio) e gassosi (fra i quali predomina il metano). Gli idrocarburi impregnano molti strati di rocce porose (come fa l’acqua quando riempie i pori di una spugna) e derivano dalla decomposizione di sostanze organiche (microrganismi vegetali e animali), che si sono accumulate su fondali marini poco ossigenati, mescolandosi a fanghi finissimi. La decomposizione si deve principalmente all’azione dei batteri anaerobi, microrganismi in grado di vivere in assenza di ossigeno.

Figura 30. <em>Calcàre organogeno bioclastico</em>, costituito da un ammasso di gusci di lamellibranchi.
Figura 30. Calcàre organogeno bioclastico, costituito da un ammasso di gusci di lamellibranchi.openLa matrice in cui sono disseminati i gusci è detritica molto fine e il cemento è calcitico. Rocce come queste sono chiamate «lumachelle» e vengono spesso impiegate, levigate e lucidate, come pietre da decorazione.
Figura 31. <em>Calcàre organogeno a coralli</em>.
Figura 31. Calcàre organogeno a coralli.openSono riconoscibili i singoli individui di un corallo coloniale. Ammassi rocciosi di questo tipo sono detti biocostruiti, perché i loro resti fossili mantengono le posizioni originarie.
Figura 33. Livelli di <em>selce</em> all’interno di uno strato di calcare.
Figura 33. Livelli di selce all’interno di uno strato di calcare.openLa selce, di colore scuro, è molto dura e si rompe con una frattura scagliosa e lucente (grandezza naturale). (Da Mottana A., Crespi R. Liborio G., Minerali e rocce, 1981)

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Rocce sedimentarie

Approfondimento

Dolomiti: giardino di coralli

Nel settore orientale dell’arco alpino italiano sorge un famoso gruppo di rilievi, che i Ladini, gli antichi abitanti di quei luoghi, hanno per lungo tempo chiamato Lis montes pàljes, «i monti pallidi», per i colori chiari delle rocce. Secondo una leggenda ladina sarebbero stati i Silvani, i nani dei boschi e delle caverne, a rendere più chiare quelle vette, filando i raggi della Luna per tessere poi, intorno alle cime, una rete sottile e luminosa; e l’avrebbero fatto perché la figlia del re della Luna, sposa del re di quei monti, non soffrisse per la nostalgia del suo mondo lontano.

Oggi quei monti, riconosciuti dall’Unesco «Patrimonio naturale dell’Umanità», sono noti in tutto il mondo come Dolomiti, ma il nuovo nome non ha un’origine altrettanto poetica. Nel 1789, infatti, il marchese Déodat de Dolomieu, in viaggio lungo la strada fra Trento e Bolzano, raccolse dei campioni di una roccia di colore chiaro, simile al calcàre. In seguito si scoprì che era formata da un minerale allora non chiaramente identificato: un carbonato di calcio e magnesio, al quale, in onore di Dolomieu, fu dato il nome di dolomite, mentre dolòmia fu chiamata la roccia che lo conteneva.

Nella seconda metà dell’Ottocento, i primi turisti e alpinisti inglesi che visitavano i monti del Tirolo meridionale, cominciarono a parlare di «Dolomite Mountains»: il nuovo nome si affermò e Dolomiti è entrato nell’uso comune, caso più unico che raro di un’intera regione che ha preso il nome da un minerale noto solo a pochi specialisti.

Ma la caratteristica principale del paesaggio dolomitico è nel fatto che tale roccia appare come raccolta in imponenti gruppi isolati, circondati da ampie valli (figura ►32).

Circa 200 milioni di anni fa, in un mare poco profondo, in acque calde e agitate, cominciarono a formarsi delle scogliere coralline, simili, per la forma, ad atolli; poiché il fondo del mare si abbassava lentamente, i coralli, le alghe e miriadi di altri piccoli organismi, che si concentravano lungo il bordo della scogliera, continuavano a innalzare le loro costruzioni per restare vicino alla luce, come vediamo succedere attualmente negli atolli del Pacifico. Le rocce che nascevano da questo brulichio di vita erano calcàri e dolòmie e raggiungevano così centinaia di metri di spessore. Nella laguna all’interno della scogliera si accumulavano fanghi calcarei.

Dopo un lungo periodo le acque divennero torbide: numerosi vulcani erano entrati in attività, spargendo i prodotti delle loro eruzioni su un’ampia area. Coralli e alghe si estinsero e furono ricoperti da lave e piroclastiti. Quando il mare tornò limpido, si formarono altri calcàri e altre dolòmie, e lo spessore delle rocce accumulate crebbe ancora.

Tra una scogliera e l’altra, separate da ampi bracci di mare, si deponevano rocce diverse, in genere più tenere.

Quando si innalzò la catena alpina, tutte queste rocce emersero dal mare e iniziò l’erosione. Le antiche scogliere, liberate pian piano dal mantello di altre rocce, sono rimaste alte e isolate e formano ora i «gruppi dolomitici», con ripide pareti di rocce chiare, aride e brulle. Solo al tramonto, nei giorni sereni, quelle rupi si addolciscono di un caldo colore rosato: pochi attimi di un misterioso riflesso luminoso, che ha ispirato un’altra antica leggenda ladina. Un tempo quelle cime erano tutte fiorite di rose rosse ed erano il regno dei Nani, in cui si celavano favolosi tesori. Finché un giorno, re Laurino, per salvare il suo popolo dall’invidia dei popoli delle valli, fece un incantesimo e il roseto fu pietrificato in grigia roccia, «perchè non fosse più visibile, nè di giorno nè di notte». Ma re Laurino, nel suo incantesimo, dimenticò il crepuscolo, che non è più giorno e non è ancora notte, e da allora, al tramonto, per un breve attimo, rivive il «giardino delle rose».

Anche questa leggenda è affascinante, ma la realtà, una volta tanto, riesce forse a superarla, perché il tempo ha operato veramente un incantesimo nelle Dolomiti: ha cristallizzato per sempre un giardino di coralli.

Figura 32. La «scogliera» dolomitica del Sassolungo.
Figura 32. La «scogliera» dolomitica del Sassolungo.openIl pendio regolare che delimita a destra il rilievo corrisponde all’originale scarpata che scendeva sott’acqua partendo dal margine della scogliera, lungo il quale, in prossimità del livello del mare, vivevano coralli e alghe. L’erosione ha restituito all’antico atollo l’isolamento rispetto a formazioni simili, che compaiono in secondo piano, mentre i prati in primo piano sono il fondo del mare che separava tra loro gli atolli.

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Rocce sedimentarie

7.4 Le rocce di origine chimica

Questo terzo ed ultimo gruppo di rocce sedimentarie comprende tutte quelle che si sono deposte, e si depongono tuttora, per fenomeni chimici. Il più evidente tra questi è la precipitazione, sul fondo di bacini acquei, di composti chimici che si trovano sciolti nell’acqua del mare o dei laghi. Se la quantità dei sali disciolti raggiunge la saturazione, essi precipitano formando così le rocce evaporitiche o evaporiti. Altri sedimenti derivano, invece, da alterazione per dissoluzione, all’aria libera, di rocce preesistenti e danno origine alle rocce residuali.

Evaporiti. Quando un bacino marino rimasto isolato evapora completamente o quasi, sul suo fondo si depositano i sali contenuti nell’acqua del mare. Essi precipitano in ordine inverso rispetto alla loro solubilità: prima la calcite (CaCO3) e la dolomite [CaMg(CO3)2], poi il gesso (CaSO4 · 2H2O) e l’anidrite (CaSO4), infine il salgemma, la silvite e la carnallite (cloruri di Na, K, Mg). Si sono formati in tal modo estesi giacimenti di sali, con spessori anche di decine di metri, sfruttati industrialmente già da lungo tempo.

Anche in bacini desertici, circondati da rilievi dai quali possono scendere saltuariamente torrenti alimentati dalle rare piogge, si possono formare accumuli di sali quando l’alta temperatura fa evaporare le acque che li hanno trasportati in soluzione (figura ►34). 

Si ritrovano, in questo gruppo, i carbonati, calcàri e dolòmie, che già abbiamo incontrato tra le rocce organogene: a volte, infatti, questi materiali derivano da precipitazioni di CaCO3 o di CaMg(CO3)2 nell’acqua del mare, senza l’intervento di organismi viventi.

Anche in ambiente continentale possono formarsi calcàri: il CaCO3 contenuto nelle acque sorgive o fluviali può arrivare alla saturazione per un aumento di temperatura o per una diminuzione di pressione nell’acqua (come accade, per esempio, dove sbocca una sorgente). Si originano così travertini e alabastri, tutti in straterelli sovrapposti o concentrici, non di rado di colore diverso, per la presenza di piccole quantità di varie sostanze (in genere, ossidi di ferro). Origine analoga hanno, nel mondo carsico sotterraneo, le stalattiti e le stalagmiti che rivestono le pareti di molte grotte, arricchendole di una inesauribile serie di forme fantastiche.

Anche alcune rocce silicee possono derivare direttamente da precipitazione chimica, con la deposizione di silice in corrispondenza di sorgenti termali di origine vulcanica (geyserite, opale). Infine, la silice che circola nel sottosuolo in soluzioni acquose può sostituire, molecola per molecola e conservandone tutte le strutture, il legno di alberi sepolti; hanno così origine le foreste pietrificate e i legni silicizzati (figura ►35).

Rocce residuali. Si definiscono così le rocce che derivano dall’accumulo in posto, cioè senza trasporto, dei materiali che restano dopo l’alterazione meteorica di una roccia affiorante e dopo il dilavamento, ad opera delle acque piovane, delle sostanze solubili che si formano nel caso di tale alterazione. In senso generale rientrano in questa categoria tutti i suoli, come prodotto dell’interazione tra atmosfera e rocce della superficie terrestre.

Tipiche rocce residuali si formano quando l’alterazione meteorica attacca rocce ignee o metamorfiche in climi tropicali caldo-umidi. In tali condizioni, rimangono accumuli rossi di laterite (idrossidi e ossidi di ferro) e depositi biancastri di bauxiti (idrossidi di alluminio, sfruttati per estrarre il metallo).

Figura 34. La bianca distesa di evaporiti del Salt Lake Desert, nello Utah (USA).
Figura 34. La bianca distesa di evaporiti del Salt Lake Desert, nello Utah (USA).openAl tempo dell’ultima epoca glaciale quest’area faceva parte di un immenso lago, privo di emissari, nelle cui acque si sono concentrati i sali dilavati dai corsi d’acqua che scendevano dai rilievi circostanti. Con la fine delle glaciazioni, il clima arido, che caratterizza anche oggi la zona, provocò l’evaporazione di gran parte delle acque e si formò la spessa crosta di sali qui raffigurata. I resti di quel lago formano oggi il Great Salt Lake, le cui acque sono molto più salate di quelle del mare. (M. Parotto)

glossario

Dal latino saturare, saziare. Sciogliere sostanze in un solvente fino alla massima concentrazione possibile.

Figura 35. Tronchi d’albero della <em>Foresta Pietrificata</em> (nel Deserto Dipinto, in Arizona, USA), portati alla luce dalla lenta erosione delle argille in cui rimasero sepolti circa 200 milioni di anni fa.
Figura 35. Tronchi d’albero della Foresta Pietrificata (nel Deserto Dipinto, in Arizona, USA), portati alla luce dalla lenta erosione delle argille in cui rimasero sepolti circa 200 milioni di anni fa.openLa circolazione di acque ricche in silice entro i sedimenti che avvolgevano i tronchi ha provocato la fossilizzazione del legno, per sostituzione della sostanza organica con varietà di quarzo. La presenza nelle acque di altri elementi oltre la silice ha conferito alla durissima sostanza minerale una gamma di vivaci colori: rosso, giallo e bruno per il ferro, blu e verde per il cobalto e il cromo, e così via.

glossario

Dal latino tardo solubilitate(m), dissolvibile. Indica la concentrazione massima di una sostanza (soluto) che si scioglie in un solvente quando forma una soluzione.


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Rocce sedimentarie

7.5 Dalla «roccia-madre» alle rocce sedimentarie: il processo sedimentario

Questa rassegna delle rocce sedimentarie dovrebbe avere chiarito la varietà di processi attraverso cui esse si formano e la stretta relazione tra un ambiente di sedimentazione (marino, costiero, fluviale, desertico ecc.) e il tipo di roccia che in esso può originarsi.

La grande eterogeneità delle rocce sedimentarie non deve disorientarci: in realtà, dietro la varietà di fenomeni è possibile individuare le linee di un processo sedimentario globale.

Ogni roccia che affiori in superficie è attaccata dagli agenti atmosferici che provocano la disgregazione e l’alterazione dei minerali originali, con intensità e modi diversi a seconda dei climi.

Si forma così un mantello detritico che può restare in luogo (rocce residuali) o subire un trasporto ad opera di vari agenti, a seconda del clima e delle forme del rilievo.

La pioggia opera un dilavamento generale, i ghiacciai o i venti trasportano parte dei materiali, che poi abbandonano in accumuli caratteristici. Al di fuori delle zone glaciali o desertiche, i fiumi operano un trasporto efficace di materiale (solido o in soluzione) dai continenti, fino a riversarlo nei bacini marini, dove si accumulano i maggiori spessori di sedimenti clastici, organogeni e chimici.

La superficie terrestre è in continua trasformazione e le rocce sedimentarie che si stanno formando oggi riflettono fedelmente i molti aspetti di tale trasformazione. Nello stesso tempo, le rocce del passato, opportunamente interpretate, offrono continue tracce di mutamenti precedenti e consentono di ricostruire le fasi dell’evoluzione della superficie del pianeta.

 

quesiti

  1. Che cosa si intende per processo di sedimentazione? Di quali passaggi si compone questo processo?
  2. Che cos’è la diagenesi?
  3. Quali differenze presentano conglomerati, arenarie e argille?
  4. Quali tipi di rocce sedimentarie organogene esistono?
  5. In quali ambienti si formano le evaporiti?

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