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Le genoteche e il DNA sintetico

Ora che abbiamo visto in che modo il DNA può essere tagliato, inserito in un vettore e trasfettato in cellule ospiti, e come si fa a riconoscere le cellule ospiti contenenti il DNA ricombinante, soffermiamoci a considerare la provenienza dei geni o dei frammenti di DNA utilizzati in queste procedure. Le principali fonti da cui provengono i frammenti di DNA utilizzati nelle procedure di clonazione sono tre: i frammenti casuali di cromosomi conservati in biblioteche geniche (o genoteche), il DNA complementare ottenuto per trascrizione inversa a partire da RNA e il DNA generato per sintesi artificiale o per mutazione.

Le genoteche contengono raccolte di frammenti di DNA

Una genoteca è l’insieme dei frammenti clonati corrispondenti al genoma di una cellula. Anche se ogni cellula possiede un solo genoma, le genoteche che si possono ottenere frammentando il suo DNA contengono un numero diverso di frammenti a seconda delle tecniche adottate per ottenerli. Consideriamo ora come esempio una cellula umana.

Le 23 coppie di cromosomi umani possono essere considerate una «biblioteca» che contiene l’intero genoma della nostra specie. Ogni cromosoma, un «volume» della biblioteca, contiene in media 80 milioni di coppie di basi di DNA che codificano per un migliaio di geni. Una molecola così enorme non è molto utile per studiare l’organizzazione del genoma o per isolare un particolare gene. Per questo, mediante enzimi di restrizione, i biologi frammentano i cromosomi umani in pezzi più piccoli.

Questi frammenti di DNA costituiscono ancora una genoteca (▶figura 6), ma l’informazione è ora contenuta in un numero maggiore di «volumi» più piccoli, ciascuno inseribile in un vettore che potrà essere trasfettato in una cellula ospite. Quando come ospiti si utilizzano i batteri, la proliferazione di una sola cellula dà origine a una colonia di cellule ricombinanti, ciascuna contenente molte copie dello stesso frammento di DNA umano. Quando i vettori usati sono plasmidi, per costituire una biblioteca del genoma umano servono circa 200 000 frammenti distinti. Se invece si usa il fago λ, un virus capace di trasportare una quantità di DNA circa quattro volte superiore rispetto a un plasmide, il numero di volumi può scendere a circa 50000.

Figura 6
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La costruzione di una genoteca

Il DNA di un cromosoma umano viene isolato e tagliato in piccoli frammenti mediante l’utilizzo di enzimi di restrizione. I frammenti vengono successivamente inseriti in vettori (quelli illustrati nella figura sono plasmidi) e incorporati da cellule batteriche ospiti, ciascuna delle quali riceve un singolo frammento del cromosoma umano. L’informazione contenuta nelle colture batteriche e nelle diverse colonie che ne derivano costituisce una biblioteca genica.

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Le biblioteche di cDNA vengono costruite a partire da trascritti di mRNA

Una biblioteca di DNA di dimensioni molto più ridotte, contenente soltanto i geni trascritti da un particolare tessuto, può essere ottenuta dal DNA complementare o cDNA. La prima tappa della produzione di cDNA è l’estrazione di mRNA da un tessuto. Questo mRNA funziona da stampo per l’enzima trascrittasi inversa, che sintetizza DNA a partire da RNA. Si forma così un filamento di cDNA complementare all’mRNA di partenza.

L’insieme dei cDNA ottenuti da un particolare tessuto in un determinato momento del ciclo biologico di un organismo viene definito biblioteca di cDNA (▶figura 7). Gli mRNA non durano a lungo nel citoplasma e spesso sono presenti in quantità ridotte; perciò una biblioteca di cDNA è un modo per fissare nel tempo lo schema di trascrizione della cellula e darci un’immagine istantanea dell’insieme degli mRNA trascritti da un certo tipo di cellule in un dato momento (trascrittoma).

Le biblioteche di DNA complementare si sono rivelate di enorme utilità per confrontare l’espressione genica nei diversi tessuti a vari stadi di sviluppo. L’uso di queste biblioteche ha dimostrato, per esempio, che ben un terzo di tutti i geni di un animale si esprime soltanto durante lo sviluppo prenatale. Il DNA complementare è anche un ottimo punto di partenza per la clonazione dei geni eucariotici, soprattutto per i geni espressi a livelli bassi e solo in pochi tipi di cellule.

Figura 7
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La sintesi di DNA complementare

A partire da DNA complementare (cDNA) è possibile ottenere biblioteche geniche comprendenti soltanto i geni che vengono trascritti in un particolare tessuto e in un particolare periodo del ciclo biologico di un organismo. La sintesi di cDNA risulta particolarmente utile per l’identificazione di mRNA presente soltanto in poche copie, e costituisce spesso il punto di partenza per clonare un gene.

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Due procedimenti per produrre DNA sintetico

Un frammento di DNA può essere anche prodotto artificialmente utilizzando due diverse procedure:

Sintesi chimica.

Quando si conosce la sequenza amminoacidica di una proteina, applicando il codice genetico possiamo ricostruire la sequenza del DNA che codifica ciascuno dei suoi amminoacidi: siamo così in grado di montare insieme i relativi tratti di DNA.

La determinazione della sequenza di basi del gene che codifica una data proteina è soltanto il primo passo per progettare un gene sintetico. È infatti necessario aggiungere altre sequenze, come le sequenze fiancheggiatrici per l’inizio, la terminazione e la regolazione della trascrizione, nonché i codoni di inizio e di stop della traduzione. Naturalmente, se si vuole che il gene sintetico venga trascritto, queste sequenze non codificanti devono essere quelle effettivamente riconosciute dalla cellula ospite.

Mutazioni indotte.

Le mutazioni spontanee sono state importanti per dimostrare i rapporti di causa-effetto in campo biologico. La tecnologia del DNA ricombinante ci permette di rispondere a domande del tipo «Che cosa succederebbe se…?» senza bisogno di scoprire mutazioni già esistenti in natura.

Dal momento che si può produrre DNA sintetico con qualsiasi sequenza desiderata, è possibile manipolarlo in modo tale da creare specifiche mutazioni le cui conseguenze si manifestano nel momento in cui tale DNA mutante si esprime in una cellula ospite.

Con queste tecniche di mutagenesi sono stati chiariti molti rapporti di causa-effetto. Per esempio, si riteneva che la sequenza segnale presente all’inizio di una proteina destinata alla secrezione fosse indispensabile per il suo passaggio attraverso la membrana del reticolo endoplasmatico.

Per dimostrare tale ipotesi è stato sintetizzato il gene per una proteina di questo tipo, ma senza i codoni della sequenza segnale. Come previsto, la proteina espressa da questo gene in cellule di lievito non attraversava la membrana del reticolo endoplasmatico, cosa che invece faceva una proteina destinata a rimanere nel citoplasma, se al gene che la codifica si aggiungevano i codoni della sequenza segnale appropriata.


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Per saperne di più

I microarray a DNA

L’analisi dei frammenti di DNA è stata resa molto più veloce e potente dall’applicazione della tecnologia dei microarray o biochip che è stata sviluppata negli anni Novanta del secolo scorso. Si tratta di sottili supporti di materiale plastico o vetro su cui si trovano molte migliaia di pozzetti, ciascuno contenente pochi picogrammi (1 pg = 10-12g) di una diversa sonda di DNA a singola elica.

I biochip vengono sfruttati per identificare la presenza e l’espressione di un gene in un dato tipo cellulare o, più in generale, per tracciare il profilo di espressione di quel tipo cellulare in un dato momento. Sfruttando il gran numero di pozzetti, infatti, è possibile effettuare in un solo test la ricerca contemporanea di moltissimi geni, realizzando in poche ore quel che un tempo avrebbe richiesto anni di lavoro di laboratorio.

I microarray si basano sulla possibilità di ibridazione tra il DNA presente in un dato pozzetto e uno dei frammenti di restrizione che si ricavano dall’organismo in esame. Se si cerca un dato gene, si parte dal genoma; se invece si vuole studiare il profilo di espressione, si isolano gli mRNA che vengono trasformati in cDNA grazie alla trascrittasi inversa. L’uso di molecole fluorescenti rende immediata l’individuazione dei pozzetti in cui sia avvenuta l’ibridazione, a indicazione del riconoscimento di una specifica sequenza.

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La tecnologia del microarray

Migliaia di sequenze di DNA vengono inserite in una griglia di vetro e ibridate con cDNA per poter analizzare moltissimi geni contemporaneamente.

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