L’idea della clonazione, cioè di potere generare un organismo che fosse la copia di uno già esistente, non è recente. Nel 1938, l’embriologo tedesco Hans Spemann concepì un esperimento che definì «fantastico»: asportare il nucleo da una cellula uovo e sostituirlo con quello di una cellula somatica (cioè una normale cellula diploide del corpo), per ottenere una sorta di cellula uovo fecondata da far sviluppare, giungendo a un adulto geneticamente identico a quello da cui era stato preso il nucleo.
Per Spemann l’esperimento era fantastico anche perché irrealistico, ma già nel 1952 esso fu effetivamente realizzato da Robert Briggs e Thomas King. Usando una sottilissima pipetta di vetro, essi riuscirono ad asportare il nucleo da un uovo di rana (Rana pipens) senza danneggiare la cellula. I ricercatori utilizzarono quella specie non perché fosse di qualche interesse, ma proprio perché le uova di R. pipens sono molto grandi, fino a 5 mm di diametro. Con la stessa tecnica riuscirono a impiantare nell’uovo un nucleo prelevato da una cellula embrionale di un’altra rana. Briggs e King non ottennero alcun animale, ma dimostrarono che la cellula provvista del nuovo nucleo andava incontro ad alcune divisioni cellulari, formando una masserella indifferenziata.
Nel 1970, il biologo britannico John Gurdon ripeté questo esperimento usando una rana africana (Xaenopus laevis). Egli distrusse il nucleo dell’uovo con i raggi UV e lo sostituì con il nucleo di una cellula intestinale di girino. Dopo i primi insuccessi, alla fine arrivò a ottenere rane adulte perfettamente formate.
Si dovette tuttavia attendere il 1986 perché l’embriologo danese Steen Willadsen arrivasse a clonare una pecora usando il nucleo di una cellula prelevata da un embrione in una fase precoce dello sviluppo. Questo risultato fu accolto con grande interesse dai ricercatori e diede origine a una serie di repliche, applicate ad altri organismi, quali bovini e suini.
Non solo Dolly
Nel 1997 il ricercatore Ian Wilmut ottenne l’attenzione di tutta la comunità scientifica pubblicando un articolo sulla rivista Nature in cui annunciava di avere clonato una pecora a partire da una cellula adulta e non embrionale: si trattava di Dolly (▶figura). Curiosamente l’opinione pubblica si convinse che il successo fosse la clonazione in sé, mentre per i ricercatori l’aspetto importante era un altro, cioè l’essere partiti dal nucleo di una cellula adulta e non embrionale.
L’esperimento era molto simile a quelli di Gurdon. L’unico accorgimento particolare di Wilmut fu lasciare per alcuni giorni in carenza di nutrimento le cellule candidate a fornire il nucleo per il trapianto, per bloccarne il ciclo cellulare. Wilmut inoltre usò come «madre in affitto» una pecora di razza diversa da quella che aveva fornito il nucleo cellulare, in modo da avere una prova della reale origine di Dolly. È da notare, tuttavia, che per Wilmut come per Gurdon la percentuale dei successi fu molto bassa: uno solo su 277 tentativi.
Da allora le ricerche si sono concentrate sugli aspetti che governano questo processo, nella speranza di controllarlo sempre meglio e di rendere la clonazione sicura e affidabile. Intanto, dal 2000 in poi, la lista delle specie clonate si è allungata e oggi comprende macachi, topi, mucche, gatti, cavalli e cammelli.
Fin dall’inizio, c’è stato chi ha pensato di applicare tali tecniche anche alla specie umana, non come clonazione terapeutica ma per la riproduzione. Ma finora, nonostante gli annunci, non c’è alcuna prova che tale esperimento sia stato portato a termine; molti Stati vietano questo tipo di ricerche per le loro implicazioni morali.