La teoria evolutiva e il concetto di specie
L’aspetto consente di identificare la specie in molti casi, ma non sempre
Gli esperti di un particolare gruppo di organismi, come le farfalle o le orchidee, di solito sanno distinguere le diverse specie presenti in una certa zona semplicemente guardandole. Se esistono le guide al riconoscimento degli uccelli, dei mammiferi, degli insetti o delle piante è perché in generale l’aspetto di una specie si mantiene relativamente costante anche a grande distanza geografica.
Più di 200 anni fa, il biologo svedese Carl Linnaeus (o Linneo) propose il sistema binomiale di nomenclatura, ancora oggi in uso. Linneo descrisse centinaia di specie utilizzando il concetto di specie morfologica, secondo cui appartengono a una data specie tutti gli organismi di aspetto uguale tra loro e diverso da quello di altre specie. Gli organismi di una stessa specie possono, tuttavia, mostrare un aspetto anche molto differente. Per queste ragioni i biologi di solito non si accontentano del concetto di specie morfologica e cercano un fondamento più affidabile.
Come vedremo nelle prossime pagine, il concetto di specie più adottato oggi è quello di specie biologica proposto nel 1940 da Ernst Mayr: le specie sono gruppi di popolazioni naturali realmente o potenzialmente interfecondi e riproduttivamente isolati da altri gruppi analoghi (▶figura 1).
I termini «realmente» e «potenzialmente» sono elementi importanti della definizione: «realmente» vuol dire che gli individui vivono nella stessa area e si incrociano, «potenzialmente» significa che gli individui non vivono nella stessa area e quindi non possono incrociarsi, ma è legittimo pensare che se si incontrassero lo farebbero. Questa definizione di specie, sebbene non si possa applicare agli organismi che si riproducono per via asessuata, è quella più comunemente adottata.
Le specie classificate da Linneo corrispondono quasi sempre a quelle individuate sulla base del concetto di specie biologica per una semplice ragione: i membri di molti gruppi classificati come specie su base morfologica si somigliano perché condividono gran parte degli alleli responsabili della loro struttura corporea. Queste somiglianze genetiche rendono loro possibile generare una prole feconda quando si accoppiano.