Non molto tempo dopo il suo ritorno in Inghilterra, Darwin lesse il Saggio sul principio di popolazione del pastore protestante Thomas Malthus (1766-1834), un libro che era stato pubblicato per la prima volta nel 1798. In questo libro Malthus prevedeva che, se la popolazione umana avesse continuato ad aumentare così rapidamente, sarebbe stato presto impossibile sfamare tutti gli abitanti della Terra.
Darwin riteneva che le conclusioni di Malthus, ossia che il cibo e altri fattori limitano lo sviluppo delle popolazioni, fossero vere per tutte le specie, non solo per la specie umana. Per esempio, Darwin calcolò che una coppia di elefanti, nonostante siano animali le cui femmine hanno un lungo periodo di gravidanza e pochi figli nel corso della vita, produrrebbe 19 milioni di elefanti in 750 anni, se tutti i discendenti vivessero e si riproducessero normalmente; eppure, il numero medio di individui rimane generalmente lo stesso nel tempo. Perciò, sebbene una coppia di elefanti possa produrre in teoria 19 milioni di discendenti, in pratica ne produce in media solo due. Ma perché proprio questi due? Il processo mediante cui questi due animali vengono «scelti» fu chiamato da Darwin selezione naturale.
Per Darwin il processo di selezione naturale era analogo al tipo di selezione praticata dagli allevatori di bestiame, di cavalli, di cani e di piccioni; in questa selezione, chiamata artificiale, gli uomini scelgono gli esemplari di piante e di animali da far riprodurre in base alle caratteristiche che sembrano più convenienti (per esempio, le mucche che fanno più latte o i cavalli che corrono più veloci), mentre nel caso della selezione naturale è l’ambiente che li sceglie.
Quando individui con certe caratteristiche ereditarie sopravvivono e si riproducono, mentre altri con caratteri ereditari diversi sono eliminati, la popolazione lentamente si modifica. Per esempio, se un colibrì avesse il becco più lungo rispetto a quello degli altri colibrì, potrebbe con maggior successo raggiungere e succhiare il nettare dei fiori (figura 21); anche la sua prole potrebbe ereditare tale caratteristica e avere maggiori possibilità di sopravvivenza.
Il principale fattore su cui si basano i processi evolutivi è la variabilità esistente nelle popolazioni di individui che appartengono alla stessa specie. Secondo Darwin le variazioni presenti tra questi individui sono dovute solo al caso e non sono dunque prodotte né dall’ambiente né dalla volontà degli organismi stessi. In sé, le variazioni non hanno né scopo né direzione, ma possono essere più o meno utili a un individuo per la sua sopravvivenza e la sua riproduzione. Oggi sappiamo che queste variazioni sono conseguenza di mutazioni, cambiamenti che possono avvenire nel patrimonio genetico di qualsiasi organismo.
È l’azione della selezione naturale, cioè l’interazione tra i singoli individui e il loro ambiente, che, nel corso di parecchie generazioni, guida il corso dell’evoluzione. Una variazione dovuta al caso che dia a un organismo un vantaggio, per quanto lieve, lo renderebbe più idoneo a lasciare una progenie in grado di sopravvivere più facilmente.