Capitolo Origine della vita e teorie evolutive

Paragrafo

Esistono diverse prove a favore dell’ipotesi evolutiva

Ai tempi di Darwin e Wallace, le deduzioni che portarono alla formulazione della teoria evolutiva si basavano essenzialmente sul gran numero di dati raccolti dai naturalisti durante i loro viaggi in diverse regioni della Terra. A questi dati, nel corso del tempo, si sono aggiunte numerose prove che testimoniano la storia evolutiva della vita, come vedremo tali prove erano provenienti soprattutto dall’osservazione diretta, dalla biogeografia, dalle testimonianze fossili e dallo studio delle strutture omologhe.

Alcune prove derivano dall’osservazione diretta

Quasi sempre l’evoluzione è un processo talmente lento da non poter essere osservato in modo diretto. In alcuni casi, tuttavia, è stato possibile osservare i cambiamenti evolutivi durante il loro svolgimento.

Talvolta, infatti, gli effetti dell’attività umana hanno prodotto pressioni selettive talmente forti su alcuni organismi che è stato possibile osservare non soltanto i risultati, ma anche l’effettivo processo di evoluzione per selezione naturale. Questi fenomeni evolutivi, che si svolgono su piccola scala e si concludono in tempi relativamente brevi dal punto di vista geologico, sono noti come microevoluzione.


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Si possono ottenere nuove specie mediante la selezione artificiale

Come abbiamo visto, alcuni cambiamenti evolutivi possono essere prodotti per via sperimentale mediante la selezione artificiale. Chi legge per la prima volta L’origine delle specie può sorprendersi del fatto che, all’inizio del primo capitolo, trova una dettagliata trattazione sugli incroci eseguiti tra diversi tipi di piccioni (Darwin stesso era un appassionato allevatore di questi uccelli). Selezionando esemplari con particolari caratteristiche, quali un becco più grande o una coda con un maggior numero di penne, gli allevatori di piccioni sono stati capaci, nel corso degli anni, di produrre numerose razze differenti (figura 22). Queste razze di uccelli, tutte derivanti dalle stesse specie selvatiche e ancora in grado d’incrociarsi tra loro, differiscono molto nell’aspetto, assai più di tanti animali di specie diverse.


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L’inquinamento industriale ha selezionato il colore della falena Biston betularia

Un altro caso di processo evolutivo osservato direttamente è quello della farfalla punteggiata delle betulle, il cui nome scientifico è Biston betularia. Questa farfalla notturna, o falena, era ben nota ai naturalisti inglesi del diciannovesimo secolo, i quali avevano notato che si posava di solito sui tronchi ricoperti da licheni; su tale sfondo, la colorazione chiara di queste falene le rende quasi invisibili (figura 23A). Fino al 1845 tutti gli esemplari osservati di Biston betularia erano di colore chiaro, ma in quell’anno, nel nuovo centro industriale di Manchester, venne catturata una falena di questa specie di colore scuro.

Con la crescente industrializzazione dell’Inghilterra, le particelle di fuliggine cominciarono a coprire le piante nelle vicinanze delle cittadine industriali, uccidendo i licheni e lasciando nudi i tronchi degli alberi. Nelle regioni fortemente inquinate, i tronchi un po’ alla volta diventarono neri e, di conseguenza, diventarono sempre più rare le falene chiare (figura 23B). La sostituzione delle falene chiare con quelle nere procedette a grande velocità: a partire dal 1850 si trovavano solo poche falene chiare lontane dai centri industriali.

Ma come erano comparse le falene nere? Alla fine venne dimostrato che il colore nero era presente nella popolazione come una variazione naturale. Le falene nere erano sempre state presenti, ma in proporzioni minori. Ma perché allora il loro numero era aumentato così drasticamente? Alla fine degli anni cinquanta H.B.D. Kettlewell, medico e collezionista dilettante di falene e di farfalle, ipotizzò che le falene che si potevano mimetizzare meglio grazie al colore delle loro ali sfuggivano più facilmente agli uccelli insettivori.

In seguito, quando in Inghilterra vennero introdotti rigidi controlli sulle emissioni di particelle di fumo, il forte inquinamento da fuliggine cominciò a diminuire e la percentuale di farfalle chiare rispetto a quelle scure riprese ad aumentare, insieme con la ricomparsa di lichene sui tronchi degli alberi.

L’esempio di Biston betularia è un’ulteriore prova dell’opera selezionatrice dell’ambiente, che tende sempre a favorire la sopravvivenza e la riproduzione degli organismi più forti o meglio integrati nel loro habitat rispetto ad altri la cui linea evolutiva può, pertanto, andare talvolta incontro a estinzione.


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Gli insetticidi tendono a selezionare i ceppi di insetti più resistenti

Un altro esempio di cambiamenti evolutivi osservabili direttamente è lo sviluppo della resistenza agli insetticidi.

Sostanze chimiche velenose per gli insetti (come il DDT, oggi proibito perché dannoso per l’ambiente) furono inizialmente accolte come importanti conquiste dell’umanità; successivamente, esse persero il loro prestigio non solo per la tendenza ad accumularsi nell’ambiente, e diventare così un grosso problema per la salute di tutti gli organismi, ma anche a causa dell’aumento straordinario di ceppi di insetti resistenti.


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L’uso prolungato di antibiotici può rendere più difficile combattere alcuni tipi di batteri

Un esempio più recente di selezione naturale riguarda lo sviluppo della resistenza ai farmaci da parte di certi batteri. Dopo un periodo di rapida affermazione degli antibiotici alla fine della Seconda guerra mondiale, molti batteri hanno cominciato a diventare resistenti a questi farmaci. Cosa ha causato questa resistenza?

Mediante una serie di esperimenti si è visto, per esempio, che alcuni ceppi batterici sono diventati resistenti alla penicillina. Come era avvenuto per le farfalle Biston betularia e per gli insetti resistenti al DDT, questi batteri hanno accumulato variazioni genetiche, dovute a mutazioni avvenute per caso nella popolazione iniziale, che si sono rivelate vantaggiose e quindi sono state selezionate dall’ambiente. Per questo un antibiotico deve essere usato sempre sotto controllo medico e per il tempo strettamente necessario.


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Le teorie evolutive trovano conferma dallo studio della biogeografia

Un’altra serie di prove a supporto dell’evoluzione è fornita da una scienza nota come biogeografia: lo studio della distribuzione delle piante e degli animali nelle diverse regioni del mondo.

Gli esploratori naturalisti, tra cui Darwin e Wallace, erano rimasti perplessi dal fatto che luoghi con clima e topografia simili sono spesso popolati da organismi molto differenti. Secondo la dottrina creazionista, ogni specie fu creata specificatamente per un particolare tipo di vita e posta nella località alla quale era stata adattata; per esempio, per questo motivo non vi sono orsi polari ai tropici.

Darwin iniziò il suo viaggio con questa visione creazionista, ma ben presto cominciò a porsi molti interrogativi. Perché, per esempio, l’Australia è completamente priva di mammiferi placentati, ma possiede una grande quantità di marsupiali, tutti chiaramente imparentati tra loro e presenti solo raramente in altre parti del pianeta (figura 24)? Ognuna delle 57 specie distinte di canguri è stata creata separatamente e poi collocata in Australia? Ma perché solo in Australia? Oppure è comparso in quel continente un marsupiale ancestrale che ha dato origine a tutte le forme di marsupiali attualmente esistenti e imparentate tra loro? Questa era probabilmente l’ipotesi che Darwin riteneva più valida; in altre parole egli riteneva che gli esseri viventi sono quello che sono e si trovano dove si trovano a causa di eventi che si sono verificati nel corso della loro storia.


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I fossili ci permettono di ricostruire la storia del nostro passato

Altre prove a sostegno dell’evoluzione provengono dai reperti fossili che, una volta analizzati e datati, possono rivelare fra l’altro qual è stata la successione delle antiche forme di vita; i fossili indicano che gli organismi più semplici si trovano negli strati rocciosi più antichi e quelli più complessi negli strati più recenti.

Gli studi geologici, così come la raccolta di piante e di animali, erano fra le attività che Darwin svolgeva a bordo del Beagle. Le coste del Sud America erano particolarmente interessanti poiché mostravano prove di un esteso sollevamento della crosta terrestre che lasciava esposti molti strati geologici. Questi strati, come quelli studiati da William Smith nelle Isole Britanniche, contenevano depositi successivi di conchiglie marine, alcuni dei quali vennero trovati molto al di sopra del livello del mare. Poiché la percentuale di specie moderne aumenta gradualmente negli strati che si sono sedimentati più recentemente, Darwin fu in grado di calcolare la loro età relativa e di correlare tra loro gli strati osservati in località diverse, come Smith aveva fatto prima di lui.

Da nessuna parte nei reperti geologici, secondo le proprie osservazioni o nei resoconti di altri, Darwin trovò esattamente ciò che stava cercando: le prove di un graduale passaggio da una specie a un’altra. Perciò, come Darwin scrisse in L’origine delle specie, la documentazione fossile forniva una prova poco significativa di come si era svolta l’evoluzione; per i suoi contemporanei e per gli studiosi moderni, invece, i reperti fossili hanno fornito la prova schiacciante che l’evoluzione ha effettivamente avuto luogo.


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La presenza di strutture omologhe tra animali diversi è frutto di processi evolutivi

 

Un’ulteriore serie di prove si basa sulle cosiddette strutture omologhe. Le strutture omologhe mostrano una certa somiglianza tra loro perché derivano da un antenato comune; ne sono un esempio gli arti anteriori di molti vertebrati (come i coccodrilli, gli uccelli, le balene, i cavalli, i pipistrelli e gli esseri umani) che, sebbene abbiano un aspetto così diverso, sono tutti costituiti da ossa ordinate secondo uno stesso modello (figura 25).

Inoltre, ogni vertebrato ha quattro arti, e non sei, otto o cento. Le balene, e perfino alcuni serpenti, conservano ancora nella loro struttura anatomica elementi primitivi delle ossa del bacino e degli arti posteriori, che per loro non hanno più alcuna utilità; inoltre, tranne rare eccezioni, tutti i mammiferi, dal topo alla giraffa, hanno sette vertebre cervicali, alla base del cranio. Il fatto che la giraffa e il topo abbiano la stessa struttura anatomica di base diventa comprensibile solo ipotizzando l’esistenza di un antenato comune a entrambi questi animali.

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25openNegli arti di questi vertebrati sono state evidenziate con gli stessi colori le ossa corrispondenti; si possono verificare le somiglianze fondamentali, nella struttura e nell’organizzazione, anche confrontandole con l’arto dell’antenato ormai estinto.

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