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La selezione naturale

I fattori evolutivi che abbiamo esposto influenzano le frequenze alleliche e genotipiche delle popolazioni e quindi incidono sul corso dell’evoluzione biologica; nessuno di essi però dà origine a un adattamento. L’adattamento si realizza soltanto quando gli individui che differiscono per caratteristiche ereditarie sopravvivono e si riproducono con un grado diverso di successo. Se alcuni individui di una popolazione contribuiscono in misura maggiore di altri alla generazione successiva, le frequenze alleliche della popolazione cambiano, con il risultato che cresce il numero degli individui portatori degli alleli adattati a quel preciso ambiente che ha determinato chi dovesse riscuotere maggior successo riproduttivo. È precisamente questo il meccanismo che Darwin chiamò «selezione naturale» e i suoi ingredienti fondamentali sono l’adattamento e la fitness.

L’adattamento è il risultato della selezione naturale

Con il termine adattamento si intende qualsiasi caratteristica di una specie che ne migliori le capacità di sopravvivenza in un determinato ambiente. L’adattamento può riguardare qualsiasi carattere: una caratteristica morfologica, relativa cioè all’aspetto di un organismo, oppure un particolare processo fisiologico, cioè una funzione svolta dall’organismo in questione, o ancora un aspetto etologico, cioè relativo al suo comportamento.

Gli adattamenti vengono acquisiti per selezione naturale. Occorre fare attenzione su questo punto: l’adattamento è la conseguenza della selezione naturale e non va confuso con la fitness che, come vedremo, è il diverso successo che deriva dalla variabilità individuale.


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La selezione naturale

La fitness darwiniana esprime il successo riproduttivo di un individuo

La chiave della selezione naturale sta nel successo riproduttivo, vale a dire nel riuscire a generare il maggior numero possibile di discendenti così da diffondere i propri alleli nelle generazioni successive. Possiamo quindi definire la selezione naturale come il contributo differenziale alla prole della generazione successiva da parte dei vari genotipi di una stessa popolazione. Tuttavia bisogna fare attenzione che a fare i conti con la selezione naturale è il fenotipo (ovvero l’insieme delle caratteristiche fisiche manifestate da un organismo provvisto di un certo genotipo) e non direttamente il genotipo.

Questo è uno degli aspetti che più frequentemente vengono fraintesi riguardo ai meccanismi dell’evoluzione biologica: la selezione naturale favorisce determinati genotipi rispetto ad altri, ma non lo fa agendo direttamente su di loro, bensì sui modi in cui essi determinano diversi fenotipi. Non vengono selezionati geni, ma caratteri. Il contributo riproduttivo di un fenotipo alla generazione successiva, rapportato al contributo degli altri fenotipi, è detto fitness.

Vedere le cose in termini relativi è importante. Il numero assoluto di figli incide sulle dimensioni di una popolazione, ma non sulla sua struttura genetica. Un cambiamento di frequenze alleliche da una generazione all’altra, e quindi un adattamento, può derivare soltanto da una variazione nel successo relativo dei vari fenotipi.

La fitness degli individui con un particolare fenotipo è determinata dalla probabilità che tali individui sopravvivano, moltiplicata per il numero medio di figli che avranno nel corso della vita.


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La selezione naturale può produrre vari risultati

Finora abbiamo considerato soltanto caratteri influenzati da alleli relativi a un solo locus. Tuttavia, come abbiamo visto nel ▶capitolo B2, la maggior parte dei caratteri è influenzata da più geni; in altre parole, la variabilità di questi caratteri è spesso di tipo quantitativo, e non qualitativo. Per esempio, i valori dell’altezza degli individui di una popolazione, un carattere influenzato da molti loci genici oltre che dall’ambiente, è verosimile si distribuiscano secondo curve a campana simili a quelle che puoi vedere nella colonna di destra della ▶figura 15.

Sui caratteri a variabilità quantitativa la selezione naturale può agire in vario modo, producendo risultati diversi:

  1. La selezione stabilizzante favorisce gli individui con valori intermedi; come risultato, la media della popolazione non cambia, ma la sua varietà diminuisce.
  2. La selezione direzionale favorisce gli individui che si discostano in una direzione o nell’altra dalla media; come risultato, cambia la media della popolazione.
  3. La selezione divergente favorisce gli individui che si discostano in entrambe le direzioni dalla media della popolazione; come risultato, cambiano le caratteristiche della popolazione.
Figura 15
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La selezione naturale può operare sulla variabilità quantitativa in modi diversi

I grafici nella colonna a sinistra mostrano la fitness degli individui che presentano fenotipi diversi dello stesso tratto. I grafici a destra mostrano la distribuzione dei fenotipi nella popolazione prima (verde chiaro) e dopo (verde scuro) l’azione della selezione.

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La selezione naturale

La selezione stabilizzante riduce la variabilità di un carattere all’interno di una popolazione

Se in una popolazione il contributo alla generazione successiva degli individui con valori estremi per il carattere considerato, per esempio molto alti o molto bassi, è relativamente inferiore a quello degli individui con valori più vicini alla media, ci troviamo di fronte a una selezione stabilizzante (vedi ▶figura 15A). La selezione stabilizzante riduce la variabilità di un carattere nella popolazione, ma non ne cambia la media. Quello che cambia è la dispersione attorno al valore medio.

La selezione naturale opera spesso in questo modo, contrastando l’aumento di variabilità causato dalla ricombinazione, dalla mutazione o dalla migrazione. L’evoluzione tende a procedere lentamente proprio perché di solito la selezione naturale è di tipo stabilizzante. Un esempio è il peso dei neonati umani (▶figura 16); i bambini che alla nascita pesano meno o più della media della popolazione presentano un tasso di mortalità maggiore rispetto a quelli con peso vicino alla media.

Figura 16
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Il peso alla nascita è influenzato dalla selezione stabilizzante

Gli esseri umani che alla nascita pesano più o meno della media hanno una maggiore mortalità infantile rispetto ai neonati il cui peso è prossimo alla media della popolazione.

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La selezione naturale

La selezione direzionale può generare una tendenza evolutiva

Se il contributo apportato alla generazione successiva dagli individui posizionati a uno degli estremi della distribuzione di un carattere è maggiore rispetto all’altro, ci troviamo di fronte a una selezione direzionale; in tal caso il valore medio del carattere nella popolazione si sposterà in direzione di quell’estremo. Se la selezione direzionale continua ad agire generazione dopo generazione, nella popolazione si manifesta una tendenza evolutiva (vedi ▶figura 15B).

Spesso le tendenze evolutive di tipo direzionale proseguono per molte generazioni, ma non sempre è così: se l’ambiente cambia in modo tale da favorire fenotipi diversi, la tendenza evolutiva può anche cambiare direzione. Un’altra possibilità è che la tendenza evolutiva impressa dalla selezione direzionale si arresti o perché è stato raggiunto un fenotipo ottimale, o perché un ulteriore cambiamento si scontrerebbe con fattori evolutivi controbilancianti. A questo punto il carattere comincia a subire l’azione della selezione stabilizzante.

Un esempio ben documentato di selezione direzionale è quello relativo alla massa corporea media degli orsi bruni (Ursus arctos). I fossili degli animali vissuti nel corso di un’epoca glaciale mostrano una regolare tendenza all’aumento della massa corporea, il che costituisce un ben noto adattamento a un clima più rigido. Al contrario, i fossili di animali vissuti nel corso di un’epoca interglaciale mostrano una tendenza opposta (calo della massa corporea); infatti, se non è favorita dal rigore del clima, una massa corporea maggiore risulta svantaggiosa, perché richiede un maggior apporto quotidiano di cibo.

Di solito una selezione direzionale comporta la modifica della caratteristica sulla quale agisce fino a che essa raggiunge valori ottimali, dopo di che subentra una selezione stabilizzante. Nel caso dell’orso bruno questo sviluppo non ha potuto realizzarsi a causa dei continui e relativamente rapidi mutamenti del clima.


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La selezione naturale

La selezione divergente aumenta la variabilità delle popolazioni

Se il contributo alla generazione successiva apportato dagli individui posizionati ai due estremi della distribuzione di un carattere è maggiore di quello degli individui prossimi alla media, ci troviamo di fronte a una selezione divergente (o diversificante); in tal caso la variabilità della popolazione aumenta (vedi ▶figura 15C).

L’effetto della selezione divergente sulle popolazioni naturali è ben illustrato dalla distribuzione fortemente bimodale (ovvero con due picchi ben distinti) delle dimensioni del becco in un piccolo uccello granivoro dell’Africa occidentale, il pireneste ventre nero (▶figura 17).

Per una parte dell’anno la fonte di cibo più abbondante per questo uccello è costituita dai semi di due tipi di falasco (una pianta palustre). Gli esemplari con il becco grosso riescono facilmente a rompere i semi duri del falasco Sclera verrucosa; questa operazione risulta particolarmente difficile agli esemplari con il becco piccolo, i quali però se la cavano meglio degli uccelli a becco grosso con i semi teneri di S. goossensii.

Gli uccelli il cui becco ha dimensioni intermedie risultano meno abili rispetto a quelli dal becco più grosso nel ricavare nutrimento dai semi del falasco S. verrucosa e rispetto a quelli dal becco più piccolo nel ricavare nutrimento dai semi di S. goossensii. Considerato che i semi dei due falaschi hanno una durezza molto diversa e che l’ambiente non offre molte altre fonti abbondanti di cibo, gli uccelli con becchi di dimensione intermedia si trovano gravemente svantaggiati e la loro fitness risulta molto bassa. Pertanto la selezione divergente mantiene una distribuzione bimodale delle dimensioni del becco.

Figura 17
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La selezione divergente determina una distribuzione bimodale

La distribuzione bimodale delle dimensioni del becco nel pireneste ventre nero dell’Africa occidentale (Pyrenestes ostrinus) è un risultato della selezione divergente, che favorisce gli individui con becco di dimensioni maggiori o minori rispetto a quelli con becco di dimensioni intermedie.

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La selezione sessuale influenza il successo riproduttivo

La selezione sessuale è un tipo particolare di selezione naturale che agisce sulle caratteristiche che determinano il successo riproduttivo. Ne L’origine delle specie, Darwin vi dedicò soltanto poche pagine, ma successivamente approfondì l’argomento in un altro libro: L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (1871).

Questo meccanismo servì a Darwin per spiegare l’evoluzione, nei maschi di molte specie, di una serie di caratteristiche dannose o inutili ma particolarmente appariscenti, come livree e colorazioni sgargianti, code lunghissime, pesanti corna o palchi ed elaborati rituali di corteggiamento (▶figura 18). La sua ipotesi era che questi caratteri consentissero a chi li possedeva di competere meglio con i membri dello stesso sesso per la conquista del partner (selezione intrasessuale), oppure di risultare più attraente agli occhi dei membri dell’altro sesso (selezione intersessuale).

Darwin trattò la selezione sessuale separatamente dalla selezione naturale perché capì che si trattava di due meccanismi ben distinti, e talvolta contrastanti: mentre la selezione naturale favorisce i caratteri che aumentano la capacità di sopravvivenza, la selezione sessuale riguarda soltanto il successo riproduttivo.

Ovviamente un animale per arrivare a riprodursi deve sopravvivere, ma se sopravvive e non si riproduce, non dà alcun contributo alla generazione successiva. Non è dunque impossibile che la selezione sessuale favorisca alcune caratteristiche capaci di accrescere la capacità riproduttiva del portatore, anche se ne riducono la capacità di sopravvivenza. Intuitivamente però questo concetto è difficile da comprendere e accettare, ed è stato ignorato o criticato per molti decenni, finché recentemente alcune ricerche sperimentali non ne hanno dimostrato l’importanza.

Un esempio di carattere che Darwin collegò alla selezione sessuale è l’enorme coda del maschio dell’uccello vedova gigante (Euplectes progne), che vive in Africa e ha una coda più lunga della testa e del corpo messi insieme (▶figura 19A). Per dimostrare che l’evoluzione della coda dell’uccello vedova è stata guidata dalla selezione sessuale, l’ecologo svedese Malte Andersson nel 1982 catturò alcuni esemplari maschi e ne alterò la lunghezza della coda. Ad alcuni la accorciò tagliandone via un pezzo, ad altri la allungò incollandovi delle penne in più e ad altri ancora, che facevano da gruppo di controllo, la tagliò e poi la rincollò senza modificarla.

Normalmente i maschi di uccello vedova scelgono un territorio dove eseguire i rituali di corteggiamento per attrarre le femmine, e lo difendono dagli altri maschi. Tutti i maschi, tanto quelli a coda lunga quanto quelli a coda corta, erano capaci di difendere il loro territorio di corteggiamento, a dimostrazione che la lunghezza della coda non incide sulla competizione tra maschi. Tuttavia, i maschi con la coda allungata artificialmente attraevano circa il quadruplo delle femmine dei maschi con la coda accorciata (▶figura 19B).

Ma perché le femmine di uccello vedova dovrebbero preferire i maschi con la coda lunga? La ragione è che un maschio che si può permettere di sviluppare e conservare una caratteristica così «costosa», nonostante la riduzione di capacità di volo che essa provoca, deve essere per forza sano e vigoroso. Una caratteristica costosa fornisce al sesso che opera la scelta del partner (di solito la femmina) un indizio attendibile per riconoscere gli individui realmente dotati di buone qualità riproduttive dagli individui che bluffano. Se le femmine scegliessero il compagno sulla base di una caratteristica facilmente simulabile, non ne ricaverebbero alcun beneficio in termini di fitness.

Figura
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Rituali di corteggiamento

Due cervi maschi si affrontano in combattimento durante la stagione degli accoppiamenti.
Figura 19
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Coda più lunga, compagno migliore

(A) Un esemplare normale di uccello vedova in volo. (B) I maschi con la coda accorciata difendevano con successo i loro territori, ma attraevano un numero minore di femmine (e quindi custodivano meno nidi con le uova) rispetto ai maschi dotati di code normali o allungate.

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