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I fattori che influiscono sulla selezione naturale

Una domanda che sorge spontanea a questo punto è: se la selezione naturale è così efficiente nel favorire le varietà più adatte, per quale ragione i viventi mostrano ancora una varietà tanto grande? Nelle pagine precedenti abbiamo visto che la variabilità può essere, oltre che la materia prima, anche il risultato della selezione naturale, come nel caso della selezione divergente; ma più spesso l’esistenza di una variabilità residua si spiega meglio considerando l’effetto di fattori in grado di limitare o contrastare l’azione della selezione naturale.

Nelle popolazioni avviene un accumulo di mutazioni neutrali

Come abbiamo già visto nel ▶capitolo B4, esistono mutazioni che non alterano la funzionalità delle proteine codificate dai geni mutati. Un allele che non è migliore o peggiore degli alleli alternativi per lo stesso locus è detto allele neutrale. Gli alleli neutrali non influenzando la fitness di un organismo, non subiscono selezione naturale e tendono ad accumularsi in una popolazione, aumentandone la variabilità genetica.

Nel 1968, il genetista giapponese Motoo Kimura propose una teoria neutrale dell’evoluzione basata su questa evidenza. La teoria neutralista non nega l’azione della selezione naturale, ma conferisce un ruolo di maggiore importanza agli effetti di deriva genetica; infatti, il fatto che la maggior parte delle mutazioni sia neutrale fa sì che il pool genico cambi secondo modalità che la selezione naturale non può controllare, in quanto non si traducono in cambiamenti del fenotipo. La teoria di Kimura fu osteggiata da molti evoluzionisti, poiché sembrava inconciliabile con la visione darwiniana e con il ruolo della selezione naturale. Questo contrasto è stato superato negli anni, e oggi la teoria neutrale viene considerata come un sostegno al ruolo della deriva genetica, assieme alla selezione naturale.

Nella genetica tradizionale, le mutazioni venivano identificate attraverso i loro effetti fenotipici. Questo è impossibile per le mutazioni neutrali, che non comportano alcun cambiamento fenotipico, tuttavia esistono tecniche moderne che consentono di misurare la variabilità neutrale a livello molecolare; questo ci fornisce lo strumento necessario per distinguerla dalla variabilità adattativa.


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I fattori che influiscono sulla selezione naturale

La ricombinazione sessuale amplifica il numero di genotipi possibili

Negli organismi che si riproducono per via asessuata, se non si verifica una mutazione, ogni nuovo individuo è geneticamente identico a chi l’ha generato. Invece, negli organismi che si riproducono per via sessuata, la progenie è sempre diversa dai genitori.

Ciò avviene non soltanto perché durante la fecondazione si ha la fusione del materiale genetico proveniente da due gameti diversi, ma anche perché durante la meiosi si verificano l’assortimento indipendente dei cromosomi e il crossing-over. La ricombinazione genetica che si accompagna alla riproduzione sessuata prende il nome di ricombinazione sessuale.

Il meccanismo della ricombinazione sessuale genera una varietà enorme di combinazioni genotipiche, accrescendo enormemente il potenziale evolutivo delle popolazioni. La comparsa della meiosi e della ricombinazione sessuale è stato un evento cruciale nella storia della vita; resta però enigmatico il modo in cui la riproduzione sessuata possa essersi affermata. Essa, infatti, risulta vantaggiosa a lungo termine, ma a breve termine procura almeno uno svantaggio certo: dimezza il tasso riproduttivo medio.

Per apprezzare il significato di questo svantaggio, prendiamo due femmine che producono lo stesso numero di figli: per esempio due. La prima femmina lo fa per via asessuata e la seconda per via sessuata. Dato che la seconda femmina deve produrre il 50% di maschi, alla generazione successiva ci saranno due femmine prodotte per via asessuata, che genereranno altre due figlie ciascuna, mentre si riprodurrà una sola femmina generata per via sessuata. Il problema evolutivo è capire quali vantaggi della riproduzione sessuata possono superare gli svantaggi a breve termine.

Per spiegare l’esistenza della riproduzione sessuata sono state formulate più ipotesi, che non si escludono fra loro. Una è che la ricombinazione sessuale faciliti la riparazione del DNA danneggiato, perché gli errori come le rotture del DNA avvenuti su un cromosoma possono essere riparati ricopiando la sequenza intatta dal cromosoma omologo.

Un’altra spiegazione è che la grande varietà di ricombinazioni genetiche prodotte a ogni generazione dalla ricombinazione sessuale può essere particolarmente preziosa nella difesa contro patogeni e parassiti. In genere questi organismi hanno un ciclo vitale molto più breve di quello dell’ospite, e quindi sono potenzialmente in grado di evolvere in fretta degli adattamenti per contrastarne le difese. La ricombinazione dà all’ospite una possibilità di vittoria.

Senza influire sulle frequenze alleliche, la ricombinazione sessuale genera nuove combinazioni di alleli su cui opera la selezione naturale, aumentando la variabilità dei caratteri influenzati da molti loci genici e creando nuovi genotipi.


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I fattori che influiscono sulla selezione naturale

La selezione dipendente dalla frequenza conserva la variabilità genetica

In molti casi è la selezione naturale stessa che contribuisce a preservare una quota di variabilità sotto forma di polimorfismo. Una condizione in cui ciò avviene è quando la fitness di un fenotipo dipende dalla sua frequenza nella popolazione. Questo fenomeno è noto come selezione dipendente dalla frequenza.

Un esempio di selezione dipendente dalla frequenza ci viene offerto da Perissodus microlepis, un pesce che vive nel lago Tanganica, in Africa orientale. Questo pesce si nutre delle scaglie di altri pesci: si avvicina alla preda da dietro per strapparle un po’ di scaglie dal fianco. Per un’asimmetria nell’articolazione mandibolare, l’apertura boccale di Perissodus microlepis è rivolta a destra o a sinistra, e la direzione è determinata geneticamente (▶figura 20). Tale asimmetria boccale aumenta l’area di contatto dei denti con il fianco della preda, ma soltanto se l’attacco è sferrato dal lato giusto. Gli individui «destrorsi» attaccano le loro vittime da sinistra, mentre quelli «sinistrorsi» le attaccano sempre da destra.

I pesci predati cercano di difendersi stando attenti ai predatori in avvicinamento ma, se devono sorvegliare entrambi i lati, il compito è più difficile e quindi gli attacchi hanno maggior successo. La sorveglianza da parte delle prede porta a un’equivalenza numerica fra i due fenotipi boccali, perché il fenotipo meno frequente è sempre il più favorito. Infatti, quando gli attacchi provenienti da uno dei due lati si fanno più numerosi, la vittima concentra la sua attenzione su quel lato, favorendo indirettamente gli attaccanti del lato opposto. Durante tutti gli 11 anni di osservazione, il polimorfismo è risultato stabile: le due forme di P. microlepis hanno conservato all’incirca la stessa frequenza.

Figura 20
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Un caso di polimorfismo stabile

La selezione dipendente dalla frequenza mantiene uguali proporzioni di individui con la bocca che si apre a sinistra o a destra tra i pesci Perissodus microlepis.

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I fattori che influiscono sulla selezione naturale

Nelle sottopopolazioni geograficamente distinte c’è molta variabilità genetica

Nelle popolazioni di grandi dimensioni, gran parte della variabilità genetica si conserva sotto forma di differenze tra i membri che vivono in aree diverse (sottopopolazioni). Le sottopopolazioni presentano spesso differenze genetiche perché sono soggette a pressioni selettive che variano da un ambiente all’altro. Ambienti anche molto vicini possono essere sensibilmente diversi. Per esempio, in montagna esistono grosse differenze di temperatura e di umidità del suolo tra il versante rivolto a nord (più freddo) e quello rivolto a sud (più temperato).

Spesso è possibile osservare un cambiamento graduale di un determinato fenotipo in funzione della distribuzione geografica di una specie. Questo graduale cambiamento è definito cline e riflette il mutamento graduale delle condizioni ambientali. Per esempio, alcuni individui di una specie di trifoglio (Trifolium repens) producono una sostanza tossica, il cianuro. Le piante velenose sono meno appetibili per gli erbivori – soprattutto topi e lumache – però sono più esposte al rischio di essere uccise dalla brina, perché il congelamento danneggia le membrane cellulari e libera il cianuro nei tessuti.

Nelle sottopopolazioni europee di Trifolium repens, la frequenza degli individui che producono cianuro aumenta progressivamente da nord a sud e da est a ovest (▶figura 21). Le sottopopolazioni di trifoglio con un’alta percentuale di piante velenose si trovano soltanto nelle zone con inverni miti. Dove gli inverni sono rigidi, gli individui che producono cianuro sono rari, anche nelle aree in cui ci sono molti erbivori che brucano trifoglio. Una varietà tipica di un determinato ambiente locale si definisce ecotipo. Un ecotipo può essere fatto corrispondere, con una certa approssimazione, a ciò che nel linguaggio comune si chiama una varietà locale.

Figura 21
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La variabilità geografica di una difesa chimica

In Europa, la frequenza degli individui che producono cianuro in ogni sottopopolazione di trifoglio bianco (Trifolium repens) dipende dalla temperatura invernale dello specifico ambiente.

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I fattori che influiscono sulla selezione naturale

L’instabilità ambientale favorisce la variabilità genetica

Le condizioni ambientali possono essere molto variabili: una notte può essere profondamente diversa dal giorno che l’ha preceduta, un giorno freddo e nuvoloso è diverso da uno caldo e limpido, la lunghezza del giorno e la temperatura cambiano con le stagioni. È difficile che esista un unico genotipo capace di funzionare al meglio in tutte le condizioni.

Nelle Montagne Rocciose degli Stati Uniti, le farfalle del genere Colias (▶figura 22) vivono in ambienti dove la temperatura spesso ne ostacola il volo: all’alba è troppo fredda e nel pomeriggio è troppo calda. Le popolazioni di questa farfalla sono polimorfiche per un enzima, la fosfoglucoso isomerasi (PGI), che influenza la capacità di volo alle diverse temperature. Certi genotipi per la PGI volano meglio durante le ore fredde del primo mattino, mentre altri funzionano meglio al caldo del pomeriggio. La temperatura corporea ottimale per il volo è compresa tra 35 °C e 39 °C, ma alcune farfalle riescono a volare con temperature di 29 °C o di 40 °C. Durante i periodi insolitamente caldi sono favoriti i genotipi che tollerano il caldo, mentre durante i periodi insolitamente freddi sono favoriti i genotipi che tollerano il freddo.

Gli individui eterozigoti sono capaci di volare entro un intervallo di temperature più ampio rispetto agli omozigoti, e questo dovrebbe favorirli quanto a capacità di procurarsi il cibo e i partner per l’accoppiamento. Un esperimento per verificare se i maschi eterozigoti fecondano più femmine degli omozigoti ha dato i risultati illustrati nella ▶figura 22.

Figura 22
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Un vantaggio degli eterozigoti nell’accoppiamento

I maschi eterozigoti delle farfalle Colias riescono a volare in un intervallo di temperature più ampio rispetto agli omozigoti; quindi gli eterozigoti hanno maggior successo nel fecondare le femmine.

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I fattori che influiscono sulla selezione naturale

La selezione sottostà a vincoli imposti dai processi di sviluppo

I principali vincoli ai quali deve sottostare l’evoluzione sono quelli connessi ai processi di sviluppo, perché le innovazioni evolutive non sono altro che modifiche di strutture già esistenti. L’evoluzione infatti non è frutto di un progetto preesistente, ma il risultato di un graduale e continuo adattamento di quel che già esiste, in risposta alle pressioni esercitate dall’ambiente.

Un buon esempio di vincolo collegato allo sviluppo riguarda due tipi di pesci che vivono sul fondale marino. Una linea evolutiva, quella delle razze, deriva da un antenato (parente anche degli squali) provvisto di uno scheletro cartilagineo flessibile e di un corpo già un po’ schiacciato in senso dorso-ventrale. Per poter nuotare rasente al fondo marino, le razze hanno evoluto il loro assetto corporeo in seguito a un ulteriore appiattimento (▶figura 23A).

L’altra linea evolutiva, che comprende pesci come le sogliole, discende invece da antenati provvisti di scheletro osseo e di un corpo compresso in senso laterale. Per stare appiattito sul fondo, un pesce con questa forma non poteva far altro che sdraiarsi su un fianco. In questo modo si riduce la capacità di nuoto, ma il pesce può rimanere immobile e ben mimetizzato. Durante lo sviluppo, in questi pesci piatti la posizione degli occhi subisce una bizzarra torsione che li porta a raggiungere lo stesso lato del corpo (▶figura 23B). Probabilmente la conformazione definitiva che osserviamo oggi è il risultato di piccoli slittamenti progressivi di uno degli occhi, che miglioravano la vista dei pesci piatti ancestrali.

Che cosa ci dice il confronto tra questi due casi? In entrambi, l’ambiente favoriva una forma appiattita e la selezione naturale l’ha ottenuta, ma non nello stesso modo. L’appiattimento dorso-ventrale tipico della razza, infatti, avrebbe imposto una trasformazione impossibile all’embrione di una sogliola. Spesso, quando valutiamo la fitness di un carattere, pensiamo soltanto allo stadio adulto, mentre in molti casi per comprenderne l’evoluzione dovremmo tenere conto anche dei suoi effetti sulle forme immature.

Figura 23
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Due soluzioni per lo stesso problema

(A) Le razze, i cui antenati erano appiattiti in senso dorso-ventrale, giacciono sul ventre. I loro corpi sono simmetrici rispetto alla spina dorsale. (B) Le sogliole, i cui antenati erano appiattiti lateralmente, giacciono su un fianco (la spina dorsale di questo pesce è a destra). I loro occhi migrano durante lo sviluppo cosicché entrambi si vengono a trovare sullo stesso lato del corpo.

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I fattori che influiscono sulla selezione naturale

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La selezione naturale non produce il migliore dei mondi possibili

Gli esempi che abbiamo descritto dimostrano come i meccanismi dell’evoluzione abbiano prodotto organismi diversi, adattati ai vari ambienti del pianeta. Tuttavia, l’evoluzione ha i suoi limiti: per esempio, se in una popolazione manca l’allele per un certo carattere, quel carattere non si può evolvere, neanche se altamente favorito dalla selezione naturale. Ma la mancanza di variabilità genetica non è l’unico limite per l'evoluzione naturale, e forse neppure il più importante.

Abbiamo già visto alcuni esempi di limiti imposti agli organismi dalle leggi della fisica e della chimica; la dimensione delle cellule, per esempio, è limitata dal rapporto tra superficie e volume che non può scendere sotto un certo valore.

Tra i biologi evoluzionisti non c’è un pieno consenso riguardo a quello che potremmo definire il «potere» della selezione naturale: alcuni ritengono che la selezione naturale riesca sempre o quasi a ottenere il miglior esito possibile; altri ritengono, invece, che sia impossibile comprendere la complessità dell’evoluzione se non si dà la giusta importanza anche ai fattori che limitano l’azione della selezione.

Il dibattito tra gli «ultraselezionisti» e i loro oppositori viene talvolta citato dagli anti-evoluzionisti per evidenziare come tra i biologi stessi non vi sia consenso riguardo all’evoluzione. Si tratta però di un’interpretazione erronea: il dibattito riguarda, infatti, come avviene l’evoluzione e quanto sia importante la selezione, non se l’evoluzione avvenga né se la selezione sia un processo realmente esistente.


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