Capitolo

L’evoluzione dopo Darwin: la teoria sintetica

All’inizio del Novecento la teoria di Darwin, pur avendo molti sostenitori, era ancora vista con dubbio e scetticismo da una buona parte della comunità scientifica. Quasi tutti gli scienziati, infatti, accettarono rapidamente l’evoluzione, ma pochi furono d’accordo con Darwin a proposito dei meccanismi proposti per spiegarla. Le grandi scoperte nell’ambito della paleontologia, dell’embriologia e della genetica classica e molecolare sembravano spesso superare o mettere in dubbio le ipotesi di Darwin. Solo verso gli anni Trenta del secolo scorso le idee di Darwin vennero riprese con forza, furono chiarite le apparenti incongruenze e venne elaborata una teoria unificante, chiamata teoria sintetica, in cui trovano spazio non solo i principi di Darwin, ma anche le nuove conoscenze di genetisti, zoologi e paleontologi.

Le questioni lasciate aperte da Darwin

Un primo problema di cui lo stesso Darwin fu subito consapevole era legato alla frammentarietà della documentazione fossile. I fossili sono importanti perché forniscono indicazioni sui caratteri degli organismi del passato e sugli ambienti in cui vivevano, inoltre ci permettono di collocare in un intervallo di tempo abbastanza preciso speciazioni ed estinzioni. Lo studio dei fossili però, soprattutto allora, soffriva di alcune carenze che ancor oggi pesano.

Tuttavia, agli inizi del Novecento la teoria di Darwin venne messa in discussione soprattutto perché non era in grado di spiegare come si generava la variabilità individuale su cui agisce la selezione naturale. Il meccanismo proposto da Darwin mancava di un tassello importante.

Conscio di questo limite, Darwin non abbandonò mai l’eredità dei caratteri acquisiti, che immaginava potesse agire a fianco della selezione naturale. Questa possibilità fu però rifiutata dai prosecutori della sua opera, i primi «darwinisti», che sottolineavano, senza tuttavia risolvere il problema, come le modificazioni subite da un singolo organismo non possano essere trasmesse ai suoi gameti.


Capitolo

L’evoluzione dopo Darwin: la teoria sintetica

Le lacune nella documentazione fossile

I ricercatori dispongono di una documentazione ampia e dettagliata della storia evolutiva solo per alcuni gruppi di organismi: fino a oggi sono state scoperte e studiate circa 250 000 specie fossili, ma si calcola che questo numero rappresenti solo l’1% di tutte le specie che hanno popolato la Terra in passato. Questa incompletezza è spiegabile con la scarsa probabilità che un organismo vivente lasci resti fossili e che questi vengano poi ritrovati.

In generale il processo di fossilizzazione è un evento casuale (come anche la scoperta di un fossile) ed è impossibile disporre di una documentazione completa che testimoni in modo sistematico i diversi momenti della storia evolutiva di tutte le specie. Nonostante queste difficoltà si può riscontrare nei fossili di singole specie quel cambiamento graduale previsto dalle teorie darwiniane. Un esempio è costituito dalla serie dei fossili che narrano come le balene siano derivate da antichi organismi che vivevano sulla terraferma (▶figura 8).

Un altro problema importante che affliggeva Darwin era la difficoltà di trovare fossili di transizione. Sono definiti fossili di transizione i resti di organismi che presentano caratteristiche intermedie tra due grandi gruppi. Un esempio molto noto di fossile di transizione, il cui primo esemplare fu scoperto nel 1860, è Archaeopteryx lithographica, un organismo con tratti intermedi fra quelli di un rettile alato e quelli di un uccello. Secondo la teoria di Darwin l’evoluzione procede gradualmente, per piccoli passi, perciò le forme di transizione dovrebbero essere numerose. Come si spiega quindi la loro scarsità? Secondo Darwin la ragione va cercata nella casualità del processo di fossilizzazione, ma oggi questa spiegazione viene considerata insufficiente. Si pensa invece che talvolta il passaggio tra una forma vivente e l’altra possa avvenire molto rapidamente, lasciando di conseguenza poche tracce fossili.

Figura
                        8
Figura 8open

Gli antenati delle balene

In questa fotografia si vedono gli scheletri di due animali considerati i progenitori dei cetacei attuali: Pakicetus (sullo sfondo) che era un grosso mammifero simile a un cane, e Ambulocetus (in primo piano), che era più adattato alla vita acquatica o anfibia.

Capitolo

L’evoluzione dopo Darwin: la teoria sintetica

Il problema dell’ereditarietà del cambiamento

Nei primi anni del Novecento, mentre la teoria di Darwin trovava pochi consensi, si sviluppava un altro importantissimo filone di ricerca: la genetica. Riscoperti i lavori di Mendel, si avviarono i primi studi sui cromosomi. Poco più tardi venne scoperto il meccanismo delle mutazioni. Nacque così una nuova teoria secondo la quale l’evoluzione avverrebbe a causa delle mutazioni, e non per effetto della selezione naturale, ritenuta un fattore di scarso peso.

La maggiore difficoltà nell’incorporare le scoperte della genetica nella teoria della selezione naturale era dovuta al fatto che i naturalisti si occupavano di specie e di popolazioni, mentre la genetica studiava i singoli individui. Il primo passo per superare la contrapposizione fu l’applicazione di strumenti matematici e statistici ai problemi della genetica. I ricercatori che seguirono questa strada si resero presto conto di aver fondato una nuova disciplina: la genetica delle popolazioni.


Capitolo

L’evoluzione dopo Darwin: la teoria sintetica

La genetica delle popolazioni risolve i conflitti tra genetica e teoria darwiniana

Nel capitolo dedicato alla genetica mendeliana abbiamo visto come strumenti matematici come il quadrato di Punnett permettano di formulare previsioni sulla frequenza di un dato fenotipo nella progenie di un incrocio; ma che dire di un’intera popolazione?

Per studiare la genetica di una popolazione sono necessarie equazioni matematiche che consentano di esprimerne e prevederne il comportamento in termini di probabilità: invece di interessarsi degli organismi e dei loro adattamenti, come abbiamo visto finora, i genetisti delle popolazioni si riferiscono a un pool genico (▶figura 9). Un pool genico è la somma di tutti gli alleli presenti in una popolazione, ciascuno con la propria frequenza relativa.

Il comportamento del pool genico di una popolazione è descrivibile se gli organismi che la costituiscono si riproducono regolarmente tra loro, cosicché gli alleli che ciascun individuo possiede possano passare nella discendenza e incontrarsi con gli alleli di qualsiasi altro individuo.

Figura 9
Figura 9open

Un pool genico

Un pool genico è la somma di tutti gli alleli che si ritrovano in una popolazione. In questa figura viene mostrato il pool genico relativo a un solo locus, X. Le frequenze alleliche in questo pool genico sono 0,20 per X 1, 0,50 per X 2 e 0,30 per X 3.

Capitolo

L’evoluzione dopo Darwin: la teoria sintetica

La legge di Hardy-Weinberg e la stabilità genetica delle popolazioni

Nel 1908, il matematico britannico Godfrey Hardy e il medico tedesco Wilhelm Weinberg dedussero le condizioni necessarie perché la struttura genetica di una popolazione si mantenga invariata nel tempo.

Il concetto di equilibrio di Hardy-Weinberg è la chiave di volta della genetica di popolazione. La relativa equazione descrive una situazione modello in cui le frequenze alleliche rimangono costanti da una generazione all’altra e le frequenze genotipiche sono ricavabili da quelle alleliche. La legge dell’equilibrio di Hardy-Weinberg si applica agli organismi che si riproducono sessualmente. Le condizioni che devono essere soddisfatte affinché una popolazione si trovi all’equilibrio di Hardy-Weinberg sono le seguenti:

Gli accoppiamenti devono essere casuali.
Gli individui non devono preferire partner con particolari genotipi.
La popolazione deve essere di grandi dimensioni.
Più grande è la popolazione, minore è l’effetto delle eventuali fluttuazioni casuali delle frequenze alleliche.
Non deve esserci flusso genico.
In altre parole, non devono verificarsi fenomeni di immigrazione o di emigrazione.
Non devono avvenire mutazioni.
Gli alleli non si trasformano uno nell’altro né possono comparirne di nuovi.
La selezione naturale non deve influenzare la sopravvivenza di particolari genotipi.
Gli individui con genotipi diversi hanno la stessa possibilità di sopravvivere.

Se queste condizioni sono idealmente soddisfatte, ne seguono due importanti conseguenze. Primo, dopo una generazione di accoppiamenti casuali, se p è la frequenza allelica di A e q è la frequenza allelica di a, le frequenze genotipiche manterranno i seguenti rapporti:

genotipo
AA 
Aa
aa
frequenza
p2
2pq
q2

Considera la generazione 1 nella ▶figura 10, in cui la frequenza dell’allele A (p) è 0,55. Poiché abbiamo ipotizzato che gli individui scelgano i propri partner casualmente, senza considerare il loro genotipo, i gameti portatori dell’allele A oppure dell’allele a si combinano casualmente, cioè secondo quanto previsto dalle rispettive frequenze p e q.

Nel nostro esempio, la probabilità che un particolare gamete porti un allele A anziché a è di 0,55. In altre parole, su 100 gameti presi a caso, 55 recheranno l’allele A. Dato che q = 1 − p, la probabilità che uno spermatozoo o una cellula uovo rechi l’allele a sarà 1 − 0,55 = 0,45.

La probabilità che alla fecondazione l’incontro avvenga tra due gameti portatori di A è data dal prodotto delle due probabilità relative ai singoli eventi:

p x p = p2 = (0,55)2 = 0,3025

Quindi, nella generazione successiva, il 30,25% della prole avrà genotipo AA. Allo stesso modo, la probabilità che si incontrino due gameti portatori di a sarà

q x q = q2 = (0,45)2 = 0,2025

e il 20,25% della generazione successiva avrà genotipo aa.

Nella ▶figura 10 puoi anche vedere come i modi per ottenere un eterozigote siano due: dall’incontro tra uno spermatozoo A e una cellula uovo a, con probabilità p x q, oppure di uno spermatozoo a con una cellula uovo A, con probabilità q x p. Di conseguenza, la probabilità di ottenere un eterozigote in totale è 2pq.

La seconda conseguenza è che le frequenze p e q degli alleli di un gene rimangono costanti di generazione in generazione, come ora è facile dimostrare. Infatti nella nuova generazione della nostra popolazione ad accoppiamenti casuali la frequenza dell’allele A è p2 + pq, e sostituendo q con 1 − p, l’espressione diventa:

p2 + p (1 − p) = p2 + pp2 = p

Le frequenze alleliche di partenza restano immutate, e la popolazione si trova all’equilibrio, espresso dall’equazione di Hardy-Weinberg:

p2+ 2pq + q2= 1

Se le frequenze genotipiche nella generazione parentale dovessero cambiare (per esempio, per l’emigrazione di un gran numero di individui AA), anche le frequenze alleliche nella generazione successiva risulterebbero alterate. Tuttavia, partendo dalle nuove frequenze alleliche, basta una sola generazione prodotta in seguito ad accoppiamenti casuali per riportare le frequenze genotipiche all’equilibrio.

Figura
                    10
Figura 10open

Calcolo delle frequenze genotipiche secondo Hardy-Weinberg

Le aree nel quadrato sono proporzionali alle frequenze attese se l’incrocio è casuale rispetto al genotipo. Dato che vi sono due modi di produrre un eterozigote, la probabilità di questo evento è data dalla somma dei due quadrati Aa. Nell’esempio si assume che (1) l’organismo in questione sia diploide, (2) le sue generazioni non si sovrappongano, (3) il gene considerato abbia due alleli, e (4) le frequenze alleliche siano uguali tra maschi e femmine.

Capitolo

L’evoluzione dopo Darwin: la teoria sintetica

La legge di Hardy-Weinberg è importante proprio perché di solito non viene rispettata

Avrai già capito che le popolazioni in natura non si trovano mai esattamente nelle condizioni necessarie a mantenerle all’equilibrio di Hardy-Weinberg. Perché allora questo modello viene considerato così importante per lo studio dell’evoluzione? I motivi sono due:

  1. Innanzitutto, l’equazione è utile per prevedere con ragionevole approssimazione le frequenze genotipiche di una popolazione partendo dalle sue frequenze alleliche.
  2. Ma il vero motivo è il secondo: il modello descrive le condizioni risultanti dall’assenza di evoluzione. L’equazione di Hardy-Weinberg mostra infatti che le frequenze alleliche rimarranno le stesse di generazione in generazione a meno che qualche meccanismo non le faccia cambiare. Dato che le condizioni del modello non sono mai soddisfatte completamente, in realtà le frequenze alleliche delle popolazioni deviano sempre dall’equilibrio di Hardy-Weinberg. In altre parole, sono in atto dei processi che modificano le frequenze alleliche e che quindi sospingono l’evoluzione. Il tipo di deviazione dall’equilibrio può aiutarci a individuare i meccanismi che inducono il cambiamento evolutivo.

sul libro: pag

preferenze

carattere

colori: