Capitolo Trasformazioni della materia, energia e ambiente

Risorse energetiche ed equilibrio ambientale

Il problema dell’energia rappresenta senz’altro uno dei nodi che l’umanità deve urgentemente affrontare e risolvere. Infatti se scienza, tecnologia e fonti di energia fossili hanno permesso di migliorare il nostro tenore di vita, oggi si rende indispensabile operare per ridurre gli effetti negativi dei cambiamenti già in atto degli equilibri ambientali e trovare modelli di sviluppo più sostenibili per il futuro dell’intero pianeta Terra.

Le fonti di energia tradizionali

Sappiamo che l’energia necessaria per la vita biologica delle donne e degli uomini che vivono in un paese industrializzato è ormai solo una piccola parte rispetto a quella che viene «consumata» per riscaldarsi, lavorare, spostarsi da un luogo a un altro, usare gli elettrodomestici, godersi il tempo libero, eccetera.

Inoltre occorre tener presente che anche per produrre i beni di consumo, cioè gli oggetti che usiamo quotidianamente, viene consumata energia. Per esempio, per produrre questo libro è stato necessario impiegare una notevole quantità di energia: energia per coltivare le piante da cui si è ricavata la cellulosa della carta, energia per la composizione e la stampa, energia per la distribuzione e altro ancora.

Fino alla Rivoluzione industriale, la quasi totalità dell’energia era fornita dalle piante, dagli animali e dagli uomini stessi e serviva per disporre di cibo e di energia meccanica. L’impiego di altre fonti, come quelle del vento per le barche a vela o quella dell’acqua o del vento per i mulini, rimase molto limitato.

A partire da circa due secoli fa il fabbisogno di energia è enormemente cresciuto, almeno in quella parte di umanità che ha prodotto la Rivoluzione industriale, con il progressivo affrancamento dalla fatica muscolare, lo sviluppo della scienza e della tecnica, la meccanizzazione di molti settori produttivi, i profondi cambiamenti economici e sociali (figura ►21). 

Questa grande trasformazione è stata possibile proprio grazie alla capacità di sfruttare in modo economicamente conveniente l’enorme disponibilità di energia chimica immagazzinata nel carbone e nel petrolio.

Oggi però il nostro pianeta sta entrando in una fase cruciale del suo sviluppo dovuta anche alle ricadute negative sul delicato equilibrio ecologico che lo sfruttamento intensivo di questi materiali ha provocato. Pensiamo che sia importante soffermarci su questo argomento anche nel contesto di un libro scolastico, perché il problema dell’energia rappresenta senz’altro uno dei nodi che l’umanità dovrà affrontare e risolvere nei prossimi anni. Per fare tutto questo sarà sempre più indispensabile ricorrere anche al lavoro di ricerca e di studio di fisici e chimici. 

La fonte più importante dalla quale oggi attingiamo per soddisfare i bisogni di energia è rappresentata dai combustibili fossili, veri e propri magazzini di energia chimica: il petrolio, il carbone e il gas naturale. Parliamo di combustibili perché questi materiali sono in grado di liberare grandi quantità di energia attraverso reazioni di combustione. I giacimenti di combustibili fossili, nonostante le ricerche continuino in ogni parte del mondo, sono destinati prima o poi a esaurirsi; per esempio, è stato stimato che le riserve di petrolio si esauriranno nel giro di alcuni decenni. Per questo motivo i combustibili fossili sono un esempio di fonti di energia non rinnovabili o esauribili (figura ►22).

La natura ha impiegato milioni di anni per accumulare l’energia chimica nei combustibili fossili. Infatti questi materiali si sono formati in seguito alla lenta decomposizione di sostanze contenute negli organismi viventi, soprattutto vegetali, vissuti alcune centinaia di milioni di anni fa. La decomposizione di questi organismi, avvenuta in assenza di ossigeno, ha consentito di creare sostanze particolarmente ricche di energia chimica: l’energia che ricaviamo oggi dai combustibili fossili non è altro che l’energia di origine fotosintetica immagazzinata nelle piante milioni e milioni di anni fa. Per esempio, l’era geologica nella quale si è formata la maggior parte dei depositi di carbone è stata denominata appunto Carbonifero (360-290 milioni di anni fa). Possiamo quindi dire che la nostra vita «biologica» dipende dal Sole di oggi, ma gran parte dell’energia che usiamo per far fronte ai nostri bisogni quotidiani proviene dal Sole di ieri!

Figura 21
Figura 21openI mezzi di trasporto si sono enormemente sviluppati con l’invenzione della macchina a vapore e l’utilizzo del carbone come combustibile.
Figura 22
Figura 22openAnche sfruttando il petrolio contenuto in alcune rocce (scisti bituminosi) e quello che si trova sotto i fondali marini e ai poli, o il gas più nascosto e il carbone che si trova alle profondità maggiori, le fonti esauribili prima o poi sono destinate a finire!

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Un vitello da ingrassare

I bovini sono animali ruminanti con un apparato digerente che in milioni di anni si è evoluto per trarre nutrimento da un cibo poverissimo, l’erba. Viceversa, la maggior parte degli animali, noi compresi, non riuscirebbe a far questo e morirebbe mangiando solamente erba.

Fino agli inizi del 1900 i bovini sono stati allevati al pascolo; ogni animale funzionava come una macchina di trasformazione dell’energia solare (l’energia solare fa crescere l’erba) in energia chimica (contenuta nei lipidi e nei protidi della carne). Inoltre la fertilità del terreno di pascolo veniva assicurata dal letame prodotto dagli animali stessi.

Quando la richiesta di carne è aumentata, è cambiato anche il tipo di allevamento, dato che i bovini «naturali» impiegavano più di due anni a raggiungere le dimensioni ottimali per la macellazione e inoltre, per l’aumentato numero di bovini da allevare non erano più sufficienti i pascoli.

Per ottenere rapidamente bovini da macello si è passati quindi a un allevamento intensivo industriale.

Prendiamo in considerazione un allevamento di manzi che devono essere ingrassati fino a 500-600 kg in 14 mesi per essere macellati. I vitelli non vengono nutriti con erba ma con cereali ad alto tenore di carboidrati. Diversamente da quello umano, gli stomaci dei bovini hanno un ambiente quasi neutro, leggermente acido; il consumo di alimenti ad alto tenore di carboidrati produce acidità creando problemi di salute e quindi occorre somministrare ai bovini dosi consistenti di antibiotici. Se consideriamo l’alimentazione con mais, per raggiungere la massa giusta per la macellazione i vitelli devono mangiarne fino a 12 kg al giorno.

Per produrre il mais necessario si deve utilizzare una agricoltura intensiva che usa in abbondanza concimi, diserbanti e pesticidi, preparati che derivano tutti dal petrolio. Inoltre per l’aratura, la semina e la raccolta del mais si usano macchinari che bruciano combustibili fossili anch’essi derivati dal petrolio. In conclusione, per raggiungere in breve tempo i 500-600 kg ogni manzo «consuma» così fino a 1000 L di petrolio!

La conclusione amara è che un bovino da «impianto di trasformazione a energia solare» (consumatore di erba) si è trasformato in un «impianto che consuma prevalentemente energia fossile».

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Risorse energetiche ed equilibrio ambientale

Trasformazioni di energia e impatto ambientale

Come sappiamo, per utilizzare il contenuto di energia chimica dei combustibili fossili è necessario convertire questa energia in altre forme. Il modo più rapido è quello di bruciare i combustibili e ottenere così energia termica (figura ►23). Purtroppo le reazioni di combustione di questi materiali hanno sempre creato anche molti problemi a causa del loro non trascurabile impatto ambientale. Questa espressione significa che i prodotti della reazione di combustione sono sostanze che hanno effetti negativi sull’equilibrio ambientale. E ancora oggi, nonostante i progressi della scienza e della tecnologia, questi problemi permangono, anzi, alcuni di essi si sono aggravati.

Consideriamo per esempio il gasolio, un combustibile ottenuto dalla lavorazione del petrolio; il gasolio è una miscela di idrocarburi utilizzata come carburante per molte automobili e autocarri e per alimentare impianti di riscaldamento e centrali termoelettriche. La combustione di uno dei tanti idrocarburi presenti nel gasolio può essere rappresentata con la seguente equazione:

C15H32 + 23 O2 → 15 CO2 + 16 H2O + q

Come si vede, per ogni molecola di idrocarburo che brucia si formano ben 15 molecole di anidride carbonica, una sostanza gassosa che, come sappiamo, contribuisce al cosiddetto effetto serra dell’atmosfera.

Il gasolio (e ancora di più il carbone) contiene anche piccole quantità di zolfo, perciò nei prodotti della combustione è presente anche l’anidride solforosa (SO2). L’anidride solforosa può ossidarsi ad anidride solforica ed entrambi questi composti, a contatto con l’acqua presente nell’atmosfera, formano sostanze acide.

Inoltre durante la combustione, a causa dell’elevata temperatura, avvengono la reazione di sintesi tra l’azoto e l’ossigeno presenti nell’aria e una successiva reazione di ossidazione:

N2 + O2 → 2 NO 2 NO + O2 → 2 NO2

I prodotti di queste ossidazioni, l’ossido e il diossido di azoto, sono talvolta indicati genericamente con la formula NOx. Queste sostanze, oltre a essere tossiche e a provocare disturbi all’apparato respiratorio anche in basse concentrazioni, formano sostanze acide con l’acqua presente nell’atmosfera.

Gli ossidi di azoto e gli ossidi di zolfo sono dunque responsabili delle cosiddette piogge acide, i cui effetti corrosivi risultano particolarmente evidenti sulla vegetazione, sui manufatti di ferro e sui monumenti ed edifici di pietra calcarea.

Occorre ricordare che oggi carbone e derivati del petrolio vengono «desolforati», e ciò consente di ridurre sensibilmente le emissioni di SO2. Maggiori difficoltà si riscontrano nell’eliminazione degli ossidi di azoto, che si producono sempre durante la combustione.

Preoccupano, inoltre, altri fattori inquinanti associati alla combustione dei materiali fossili. La combustione, infatti, ben difficilmente avviene in modo completo, cioè non si arriva mai a trasformare tutto il combustibile in acqua e diossido di carbonio. In particolare nei motori a scoppio la reazione di combustione avviene in modo esplosivo ed è quindi troppo rapida per poter arrivare a completarsi: tra i prodotti della reazione sono presenti quindi anche ossido di carbonio (sostanza tossica), gli idrocarburi che non hanno reagito completamente (i cosiddetti incombusti) e il particolato. Si tratta di materiali inquinanti che, diversamente da CO2 e H2O, possono provocare danni immediati per la salute, in particolare quella degli anziani e dei bambini.

L’ossido di carbonio è una sostanza tossica perché si può legare saldamente agli atomi di ferro dell’emoglobina riducendo la capacità del sangue di trasportare ossigeno.

Gli idrocarburi incombusti, combinandosi con gli ossidi di azoto, possono dare luogo allo smog fotochimico, un particolare inquinamento dell’aria che si produce nelle giornate caratterizzate da condizioni meteorologiche di stabilità e di forte insolazione. I principali effetti sono una forte irritazione agli occhi e difficoltà nella respirazione.

Il particolato è costituito da minuscole particelle solide e liquide sospese nell’aria. Si tratta soprattutto di particelle carboniose impregnate di idrocarburi e di sottoprodotti della combustione (tra i quali il benzopirene), di acqua, di ruggine, di solfati e molte altre sostanze ancora (figura ►24). Queste particelle sono classificate in base alla loro dimensione, che determina la loro pericolosità: più sono piccole più sono penetranti e quindi dannose. Esse vengono indicate con la sigla PM (Particulate Matter), seguita dal diametro massimo espresso in micrometri (μm) (tabella ►7).

Oltre agli effetti negativi sull’ambiente, occorre sempre tener presente il problema di fondo, relativo al fatto che i combustibili fossili sono esauribili e non si possono ripristinare in tempi rapidi. Di conseguenza, per soddisfare il crescente fabbisogno mondiale di energia, le nazioni devono prendere con urgenza provvedimenti che vanno nel senso della ricerca di una maggiore efficienza nell’utilizzo delle risorse, di una politica di risparmio energetico, dello sviluppo di una pluralità di fonti alternative. Occorre cioè immaginare e costruire un nuovo modello di sviluppo.

Figura 23
Figura 23openUtilizzare il petrolio e i suoi derivati (benzina, gasolio, kerosene) solamente come combustibili è uno spreco imperdonabile; il petrolio è una materia prima preziosa per moltissime produzioni di manufatti sintetici come per esempio le materie plastiche.
Figura 24
Figura 24openIl particolato è il principale componente degli sbuffi di fumo che si vedono uscire spesso dal tubo di scappamento dei veicoli. Questo accade soprattutto nella combustione del gasolio nei motori diesel.
Tabella 7 Dimensione delle particelle e loro pericolosità. In genere, più sono alte le temperature di combustione e più aumenta la frazione di particolato fine e ultrafine. Per questo motivo le maggiori emissioni di polveri fini e ultrafini provengono dagli scarichi dei veicoli, dalla combustione di carbone o legna, dai processi industriali e dalle combustioni di biomasse negli inceneritori.
Particolato grossolanoPM10PM2,5 particolato finePM1 particolato ultrafineNanopolveri
È costituito da particelle sedimentabili di diametro superiore a 10 μm; non è in grado di penetrare nell’apparato respiratorio. È costituito da particelle di diametro uguale o inferiore a 10 μm; è una polvere inalabile, cioè in grado di penetrare nel naso e nella laringe. È costituito da particelle di diametro uguale o inferiore a 2,5 μm; è una polvere toracica, cioè in grado di penetrare nei polmoni. È costituito da particelle di diametro uguale o inferiore a 1 μm; è una polvere respirabile, cioè in grado di penetrare fino agli alveoli dei polmoni. Sono costituite da particelle di diametro compreso fra 2 e 200 nm.
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I rischi delle centrali nucleari

Una riflessione particolare merita l’impatto ambientale causato dalle centrali elettronucleari. A differenza delle centrali termoelettriche nelle quali vengono bruciati combustibili fossili, le centrali nucleari di fissione non emettono fumi ma il combustibile nucleare residuo, le famigerate scorie radioattive, è ricco di isotopi radioattivi altamente tossici: si tratta di atomi instabili, che possono «rimanere in vita» emettendo radiazioni pericolose, per moltissimo tempo, fino ad alcune migliaia di anni. Pertanto è necessario prevedere zone di stoccaggio per lo smaltimento di questi isotopi ma purtroppo non si è ancora riusciti a garantire che ciò possa avvenire in condizioni di piena sicurezza. Un ulteriore motivo di preoccupazione è legato al fatto che i materiali utilizzati nelle centrali nucleari di fissione possono essere usati per fabbricare ordigni nucleari a scopo bellico.

Inoltre rilevanti problemi di sicurezza sono legati al funzionamento delle centrali nucleari; nonostante le notevoli precauzioni e la sofisticata tecnologia impiegata, i reattori nucleari non possono ancora dimostrarsi intrinsecamente sicuri tanto che nell’anno 2011 un referendum popolare ha ribadito la volontà degli italiani di non costruire più centrali elettronucleari.

A seguito di eventi naturali, nella primavera del 2011 a Fukushima (Giappone) si è verificata la fuoriuscita di materiale radioattivo.

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Pagine di scienza

L’effetto serra

Numerosi studi hanno valutato ed escluso che il riscaldamento globale, soprattutto quello registrato negli ultimi cinquant'anni, sia imputabile a cause naturali.
(Paul J. Crutzen, Benvenuti nell’Antropocene, trad. it. Mondadori 2005)

Riportiamo di seguito un brano tratto da Benvenuti nell’Antropocene.

«Negli ultimi cinquant’anni, però, con sistemi di misurazione ben precisi e diffusi sul pianeta, non è stata osservata alcuna alterazione del ciclo solare né un’altra causa naturale in grado di spiegare l’attuale aumento della temperatura media. La tendenza risale a circa un secolo fa. All’inizio è stata modesta e non si può escludere che fosse un fenomeno naturale. Ma negli ultimi cinquant’anni, in corrispondenza della forte crescita dell’economia mondiale e dell’industrializzazione, il fenomeno si è accentuato.

Su questa conclusione c’è proprio ampio consenso da parte della comunità scientifica. Nel 1996, l’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc), una commissione di esperti istituita dalle Nazioni Unite allo scopo di valutare lo stato delle conoscenze, si espresse così: “Il bilancio dei dati suggerisce che si possa distinguere l’influenza umana sul clima globale”. Nel 2001, questo giudizio venne aggiornato: “Ci sono nuove prove più consistenti che gran parte del riscaldamento globale osservato negli ultimi cinquant’anni sia attribuibile alle attività umane”. Qualcuno potrebbe pensare che sia dovuto direttamente all’uso di energia da parte nostra e delle industrie, cioè che sia generato dai motori, dai phon, dai tostapane, dalle luci elettriche. Non è così. L’uso dell’energia, di per sé, comporta perdite di calore che fanno aumentare la temperatura di appena un decimo di grado. Il riscaldamento globale, invece, è ben maggiore, ed è causato dai gas a effetto serra: anidride carbonica e metano soprattutto, ma anche clorofluorocarburi, protossido di azoto, ozono. In maniera indiretta contribuisce anche il vapore acqueo, un gas serra molto efficace che, condensando, genera le nuvole, le quali sono spesso la nostra fonte principale di preoccupazione sul tempo che farà. La quantità di vapore acqueo presente nell’atmosfera, di per sé, non è alterata in maniera significativa dall’azione dell’uomo. A causa del riscaldamento globale, però, l’evaporazione aumenta e di conseguenza aumenta anche la percentuale di vapore acqueo nell’aria. Stiamo rendendo il pianeta nel suo complesso più umido e nuvoloso, e l’umidità aggiunta partecipa anch’essa al riscaldamento globale.
I clorofluorocarburi sono conosciuti soprattutto perché sono la causa del buco dell’ozono e per questo sono da tempo banditi da accordi internazionali. Come vedremo, sono ancora in circolazione nell’atmosfera e si stima vi rimarranno per più di un secolo.
Il protossido di azoto, o gas esilarante, che viene usato anche come anestetizzante, è generato in grande quantità da microrganismi presenti nel suolo. Ha anche un ruolo di rilievo nei processi che regolano la concentrazione dell’ozono nella stratosfera. Dall’inizio dell’Antropocene, le sue concentrazioni nell’aria sono aumentate del 20%, soprattutto per l’uso di fertilizzanti, che rendono il suolo più attivo dal punto di vista biologico.
L’ozono che contribuisce maggiormente all’effetto serra e quello che si trova nella troposfera, fino a circa 15 km di quota, ed è un decimo del totale, mentre il resto si trova nella stratosfera. L’attività antropica ha avuto un duplice effetto su questo gas: ne ha distrutto grandi quantità nella stratosfera (a causa dei clorofluorocarburi) e, al contempo, ne ha creato grandi quantità nella troposfera (a causa dei processi di combustione). Perciò, quanto a responsabilità nel riscaldamento globale del pianeta, l’ozono è il terzo gas in ordine di importanza, dopo l’anidride carbonica e il metano.»
È importante sottolineare che l’effetto serra è il fenomeno naturale che consente all’atmosfera di trattenere sotto forma di energia termica parte dell’energia che proviene dal Sole. La figura ►1 mostra che le radiazioni elettromagnetiche che arrivano sulla superficie terrestre vengono in parte riflesse (a sinistra nella figura) e in parte riemesse dalla Terra stessa sotto forma di radiazioni infrarosse (a destra nella figura). Queste radiazioni, prima di disperdersi nello spazio, vengono in buona parte assorbite dalle molecole di alcuni gas presenti nell’atmosfera. Una radiazione elettromagnetica viene assorbita quando la sua frequenza è la stessa di quella di un moto interno alla molecola con cui interagisce; nel caso della frequenza delle radiazioni infrarosse i movimenti interessati sono quelli vibrazionali degli atomi nelle molecole. Le molecole che presentano moti vibrazionali con frequenza simile a quella delle radiazioni infrarosse, e che quindi assorbono maggiormente tali radiazioni, sono quelle di CO2, CH4, CFC, N2O, O3 e H2O. L’energia assorbita aumenta i moti vibrazionali delle molecole, che acquistano quindi energia cinetica che viene trasmessa attraverso gli urti anche alle altre molecole presenti nell’atmosfera. Il risultato è un aumento dell’energia termica e quindi della temperatura dell’atmosfera.

Oggi quasi tutti gli scienziati concordano nel ritenere l’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera come un fattore determinante per l’aumento dell’effetto serra. Nel grafico della figura ►2 è riportato l’andamento della concentrazione di CO2 rilevata dalle tre stazioni del CNR: al di là delle oscillazioni legate al ciclo stagionale (il picco più alto si riferisce al periodo invernale) si osserva che la concentrazione di CO2 cresce progressivamente. Dall’inizio della Rivoluzione industriale la concentrazione è mediamente aumentata del 30-35%; solamente negli ultimi 50 anni la concentrazione è addirittura passata da 315 a 380 ppm, con un incremento del 20%. Questo aumento sembra essere la causa principale del surriscaldamento del pianeta e delle variazioni climatiche i cui effetti hanno già incominciato a manifestarsi. Nel 2006 si è stimato che sono state emesse nell’atmosfera circa 24 miliardi di tonnellate di CO2. Per farsi un’idea della quantità in gioco, si può considerare che, un’automobile di media cilindrata classificata «Euro 4» emette da 130 a 150 g di CO2 per ogni kilometro percorso. Proprio per ridurre tale massiccia produzione, l’Unione Europea ha previsto che dal 2012 le automobili di qualsiasi cilindrata debbano emettere al massimo 120 g di CO2 per kilometro percorso. 

openIl chimico e meteorologo olandese Paul J. Crutzen (1933) iniziò la sua carriera di ricercatore come programmatore di computer presso l’Istituto meteorologico dell’Università di Stoccolma. La collaborazione con i ricercatori dell’Istituto fu per lui così stimolante da portarlo a studiare e approfondire sempre più la chimica dell’atmosfera. Proprio per gli studi relativi ai fenomeni che avvengono in atmosfera e che portano, attraverso complessi meccanismi, alla distruzione dello strato dell’ozono soprattutto nelle zone antartiche, gli fu assegnato nel 1995 il premio Nobel per la Chimica condiviso con gli scienziati statunitensi F. S. Rowland e M. Molina.
Figura 1
Figura 1open
Figura 2
Figura 2open

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Risorse energetiche ed equilibrio ambientale

Ricerca scientifica e risparmio energetico

Il fatto che le riserve dei combustibili fossili si stiano esaurendo e che il petrolio in particolare si trovi in aree circoscritte e politicamente instabili ha portato a incrementare negli ultimi decenni la ricerca, lo sviluppo e il recupero di fonti alternative. La caratteristica che accomuna alcune di queste fonti alternative è che esse sono potenzialmente inesauribili e quindi sono chiamate fonti di energia rinnovabili (figura ►25).

Secondo la normativa di riferimento italiana (D.L. 16 marzo 1999/n. 79, art. 2 comma 15), vengono considerate fonti rinnovabili:

[…] il sole, il vento, le risorse idriche, le risorse geotermiche, le maree, il moto ondoso e la trasformazione in energia elettrica dei prodotti vegetali o dei rifiuti organici e inorganici.

Inoltre, un’importante caratteristica delle fonti rinnovabili è che esse presentano un ridotto impatto ambientale per quanto riguarda il rilascio di inquinanti nell’ambiente. Le fonti energetiche rinnovabili sono quindi fonti di energia che possono permettere all’umanità uno sviluppo sostenibile, che non danneggi in modo irreparabile la natura e l’ecosistema.

Come sappiamo, l’energia idroelettrica viene generata dal movimento dell’acqua che scende a valle da un bacino posto in alto (figura ►26). Sempre per produrre energia idroelettrica possono essere utilizzati anche i movimenti delle acque del mare, come i movimenti delle onde, delle maree e delle correnti oceaniche. 

Per energia solare si intende l’energia irraggiata dal Sole verso la Terra. La quantità di energia radiante che arriva sul suolo terrestre è enorme, tanto che da sola equivale a circa 15000 volte il consumo energetico mondiale.

Purtroppo, gran parte di essa attualmente non viene sfruttata, anche perché è molto difficile convertirla in modo continuativo ed efficiente in altre forme di energia, soprattutto in quella elettrica. Oltre che dai vegetali, l’energia solare viene sfruttata dall’uomo attraverso i pannelli solari (dispositivi in grado di trasformare l’energia radiante direttamente in energia termica che scalda l’acqua a temperature sufficientemente alte per l’uso civile) e attraverso i pannelli fotovoltaici (dispositivi in grado di convertire l’energia solare direttamente in energia elettrica mediante l’effetto fotoelettrico).

In genere con i pannelli fotovoltaici si ottengono piccole quantità di energia elettrica, di bassa potenza, utili soprattutto per fornire elettricità nelle zone isolate.

Per costruire una vera e propria centrale elettrica basata sulle radiazioni solari è necessario raccogliere energia da aree molto vaste (figura ►27). 

L’energia eolica è l’energia posseduta dal vento e si può sfruttare attraverso impianti a pale. Il mulino eolico o aerogeneratore converte direttamente, tramite l’alternatore, l’energia cinetica del vento in energia elettrica. Molti mulini collocati a distanza ravvicinata possono determinare un certo impatto ambientale: in questo caso i danni possono riguardare la rumorosità del movimento delle pale oppure possono essere di natura estetica per l’alterazione del paesaggio (figura ►28).

L’energia geotermica è l’energia generata da fonti geologiche di calore dovute al fatto che in particolari zone la temperatura del sottosuolo è più alta della media. Il vapore naturale proveniente dal sottosuolo può essere utilizzato nelle centrali geotermiche, tramite la turbina e l’alternatore, per la produzione di energia elettrica oppure direttamente per il riscaldamento civile o industriale.

Un interessante campo di fonti rinnovabili è costituito dai combustibili alternativi a quelli di origine fossile.

I biocombustibili sfruttano l’energia chimica di composti ottenibili da materiali vegetali, che sono rinnovabili in tempi rapidi. Essendo di origine vegetale, i biocombustibili quando bruciano immettono nell’atmosfera una quantità di anidride carbonica uguale a quella assimilata dalle piante durante la fotosintesi clorofilliana, quindi non contribuiscono ad aumentare l’effetto serra. Sono privi di zolfo e inoltre, contenendo ossigeno nelle loro molecole, garantiscono una ossidazione completa degli atomi di carbonio e quindi consentono una significativa riduzione delle emissioni di CO e di incombusti. Inoltre sono totalmente biodegradabili.

Il biodiesel è un carburante simile al gasolio ed è ottenuto, attraverso un processo chimico, da fonti rinnovabili quali oli vegetali vergini (per esempio, oli di colza e di soia), oli vegetali di scarto e grassi animali.

Il bioetanolo è un combustibile che viene ottenuto mediante un processo di fermentazione di materiali rinnovabili come i prodotti agricoli ricchi di glucidi (cereali, colture zuccherine, amidacei, vinacce), i residui di coltivazioni agricole e forestali, i residui di lavorazioni delle industrie agrarie e agroalimentari, i rifiuti urbani.

Occorre però ricordare gli inevitabili inconvenienti legati ai costi energetici della produzione dei biocombustibili: soprattutto occorre considerare che queste produzioni richiedono l’utilizzo di aree vastissime, aree sottratte alla coltivazione di prodotti agricoli destinati all’alimentazione umana. Inoltre permangono i problemi che derivano dalla loro combustione: emissione di polveri sottili e produzione di ossidi di azoto.

Anche i rifiuti solidi urbani possono essere utilizzati come combustibili. Pur in una situazione ideale in cui si produca una minore quantità di rifiuti e in cui si recuperi attraverso il riciclo la maggior parte dei materiali separati nella raccolta differenziata, è sempre necessario smaltire la parte di rifiuti urbani rimanente. Per questo motivo i rifiuti solidi urbani si possono considerare fonti rinnovabili e l’energia chimica in essi contenuta può essere recuperata attraverso la combustione nei cosiddetti inceneritori. Questi impianti, detti anche termovalorizzatori, producono vapore per il riscaldamento o per ottenere energia elettrica.

Naturalmente anche questi impianti presentano inconvenienti per l’ambiente e per la salute degli esseri umani. Occorre ricordare infatti che i rifiuti, anche se inceneriti, producono, in base alla legge di Lavoisier, una uguale massa di prodotti: i fumi costituiti da sostanze gassose e polveri fini (circa il 4% della massa dei rifiuti), che devono essere trattati per ridurre l’immissione di sostanze inquinanti nell’atmosfera, e le ceneri (circa il 30% della massa dei rifiuti), che devono essere in qualche modo stoccate o utilizzate.

Tra i combustibili alternativi può essere inserito anche l’idrogeno, una sostanza che bruciando non produce inquinanti e quindi potrebbe sostituire gli attuali combustibili di origine fossile utilizzati nei motori dei veicoli.

Si stanno già realizzando prototipi di auto elettriche che utilizzano l’energia elettrica prodotta da una pila a combustibile in cui viene fatto affluire proprio l’idrogeno (figura ►29). 

Si deve ricordare però che l’idrogeno non si trova in natura, per cui è necessario ricavarlo da altre sostanze (per esempio, acqua o metano) con notevole dispendio di energia.

L’energia nucleare prodotta attraverso le reazioni di fusione è la sfida del terzo millennio. È una via pulita per ottenere energia, senza rischio di esplosioni devastanti o di irraggiamento da scorie radioattive. È ancora in fase sperimentale e persegue l’obiettivo di riprodurre il medesimo processo che avviene sulle stelle e sul Sole.

Nelle reazioni di fusione i nuclei di atomi con basso numero atomico, come l’idrogeno, si uniscono per dare origine ad atomi con nuclei più pesanti; la massa di questi ultimi è minore della somma delle masse di quelli originari e a questa differenza di massa corrisponde una grande quantità di energia che viene emessa sotto forma di raggi γ ad alta frequenza e perciò pericolosi.

Per fare avvenire la fusione occorre però superare la forza repulsiva tra i nuclei, che hanno carica positiva; occorre pertanto operare a temperature elevatissime (dell’ordine di milioni di gradi Celsius) affinché alcuni nuclei acquistino energia cinetica sufficiente per innescare la reazione di fusione. A causa di queste difficoltà, a tutt’oggi non si è ancora riusciti a far avvenire la fusione in modo controllato e affidabile (quello incontrollato esiste già: la bomba atomica termonucleare).

In attesa che le nuove tecnologie di sfruttamento delle fonti di energia rinnovabile si sviluppino, è indispensabile limitare i consumi di energia sia modificando in parte le nostre abitudini di vita sia costruendo macchine (per esempio elettrodomestici e automobili) e anche abitazioni che comportino un minor consumo di energia.

Possiamo ben dire che il risparmio energetico è una considerevole fonte di energia rinnovabile «virtuale», ed è anche la più immediata e accessibile a tutti.

Il risparmio può essere ottenuto sia modificando i processi di produzione dei beni di consumo, in modo che ci siano meno sprechi, sia utilizzando tecnologie in grado di convertire l’energia da una forma all’altra in modo più efficiente.

Già da adesso, grazie a nuove modalità costruttive, vengono introdotte classificazioni di prodotti basate sul criterio dell’efficienza energetica: per esempio negli elettrodomestici, nelle lampadine e persino negli edifici.

Il consumo energetico di una abitazione può essere valutato e in questo senso è previsto che le nuove abitazioni abbiano l’attestato di certificazione energetica, cioè il documento che descrive nel dettaglio i consumi dell’immobile. Il risparmio può essere ottenuto usando specifici materiali e particolari criteri costruttivi: per esempio, la giusta esposizione solare, l’isolamento termico e la ventilazione consentono un risparmio energetico del 20-25%.

Figura 25
Figura 25openLe fonti di energia rinnovabili non pregiudicano le risorse naturali per le generazioni future; per loro caratteristica intrinseca esse si rigenerano e non sono «esauribili» nella scala dei tempi «umani».
Figura 27
Figura 27openLa centrale solare termodinamica utilizza specchi che provvedono a convogliare l’energia radiante su un condotto che contiene un fluido che si riscalda fino a 500 °C. Questo fluido viene utilizzato per produrre il vapore necessario per far funzionare la turbina, che farà muovere l’alternatore per la produzione di energia elettrica.
Figura 28
Figura 28openPer catturare meglio l’energia eolica, gli aerogeneratori, moderni mulini a vento, hanno un’altezza che varia tra i 20 e i 60 m. Inoltre, le pale sono progettate in modo da poter essere orientate per intercettare al massimo la spinta del vento.
Figura 29
Figura 29openI veicoli a idrogeno sono mezzi a trazione elettrica che utilizzano come motore le celle a combustibile (fuel cell). Una cella a combustibile è un apparecchio capace di trasformare direttamente l’energia chimica dell’idrogeno in energia elettrica, senza che avvenga alcuna combustione. L’altro reagente è l’ossigeno dell’aria e quindi l’unico prodotto è l’acqua, oltre a una piccola dispersione di calore.
Figura 26
Figura 26openLe grandi centrali idroelettriche assicurano ingenti produzioni di energia elettrica ma possono determinare notevoli problemi da un punto di vista dell’equilibrio ambientale. La diga di Assuan (a sinistra), costruita in Egitto lungo il corso del fiume Nilo, forma un grandissimo bacino artificiale utilizzato per alimentare una centrale idroelettrica che permette all’Egitto di coprire la metà del proprio fabbisogno energetico. La formazione del lago ha però obbligato 90000 persone ad abbandonare le zone successivamente sommerse e l’UNESCO ad intervenire per il salvataggio di numerosi siti archeologici, tra cui il tempio di Abu Simbel, «smontato» e «rimontato» in posizione sopraelevata (a destra).

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