Capitolo Da Mendel ai modelli di ereditarietà

Paragrafo

La prima e la seconda legge di Mendel

La genetica è lo studio delle leggi e dei meccanismi che permettono la trasmissione dei caratteri da una generazione all’altra. Questa disciplina è nata come scienza sperimentale nella seconda metà dell’Ottocento grazie al lavoro di Gregor Mendel. Prima di allora, gli studi sull’ereditarietà non seguivano un metodo rigoroso e si basavano su principi in gran parte errati.

I primi studi sull’ereditarietà si devono a Gregor Mendel

Gregor Mendel (1822-1884) era un monaco agostiniano che viveva a Brno, nell’attuale Repubblica Ceca (▶figura 1); aveva una solida formazione scientifica ed era in contatto con alcuni tra i più importanti biologi contemporanei.

Mendel compì i suoi esperimenti e sviluppò le sue teorie nella seconda metà dell’Ottocento, in un’epoca in cui le tecniche di microscopia ottica erano ancora poco sviluppate. Al tempo di Mendel perciò non si conoscevano i cromosomi e non si sapeva nulla della struttura e della fisiologia cellulare. Gli studi sull’ereditarietà che si svolgevano in quel periodo avevano portato alla cosiddetta teoria della mescolanza che si basava su due presupposti fondamentali, di cui uno si è rivelato corretto mentre l’altro errato:

  1. i due genitori danno un uguale contributo alle caratteristiche della prole (presupposto corretto);
  2. nella prole i fattori ereditari si mescolano (presupposto errato).

Nell’Ottocento i naturalisti ritenevano che nelle cellule uovo e negli spermatozoi fossero presenti dei fattori ereditari e pensavano che dopo la fecondazione questi fattori si fondessero. Secondo la teoria della mescolanza, gli elementi ereditari, una volta fusi, non si sarebbero più potuti separare, come due inchiostri di colore diverso. Con i suoi esperimenti Mendel ha confermato il primo di questi due presupposti, mentre ha smentito il secondo.

Figura 1
Figura 1openGregor Mendel e il suo giardino • Il naturalista Gregor Mendel condusse i suoi esperimenti di genetica in un giardino del monastero di Brno, che si trova nell’odierna Repubblica Ceca.

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Mendel ha introdotto metodi nuovi negli esperimenti sull’ereditarietà

Per i suoi esperimenti Mendel scelse le piante di pisello. La sua scelta fu dettata da precise ragioni: i piselli sono facili da coltivare, è possibile tenerne sotto controllo l’impollinazione e ne esistono più varietà con caratteri chiaramente riconoscibili e forme nettamente differenti nell’aspetto. Esaminiamo nei dettagli le sue scelte.

Il controllo dell’impollinazione.

Le piante di pisello studiate da Mendel producono organi sessuali e gameti di entrambi i sessi all’interno di uno stesso fiore. In assenza di interventi esterni, queste piante tendono ad autoimpollinarsi: l’organo femminile di ciascun fiore riceve il polline dagli organi maschili dello stesso fiore. L’autoimpollinazione è un fenomeno naturale di cui Mendel si avvalse in alcuni suoi esperimenti. Egli utilizzò anche una tecnica di fecondazione che si può controllare artificialmente: l’impollinazione incrociata che si ottiene trasportando manualmente il polline da una pianta all’altra (▶figura 2). L’impollinazione incrociata permetteva a Mendel di stabilire chi erano i genitori della progenie ottenuta nei suoi esperimenti.

La scelta dei caratteri.

Mendel iniziò a esaminare le diverse varietà di piselli alla ricerca di caratteri e tratti ereditari che presentassero modalità adatte allo studio: si definisce carattere una caratteristica fisica osservabile (per esempio il colore del fiore); il tratto è una forma particolare assunta da un carattere (come il viola o il bianco per il colore del fiore), mentre un tratto ereditario è quello che si trasmette da genitore a figlio. Mendel cercò caratteri con tratti alternativi ben definiti, come fiori viola o fiori bianchi. Dopo un’accurata ricerca concentrò gran parte del suo lavoro sulle sette coppie di caratteri con tratti opposti indicate nella ▶tabella 1.

La scelta della generazione parentale.

Nel suo progetto di ricerca, Mendel stabilì di non partire con incroci casuali; nelle piante che scelse come generazione di partenza, che chiamiamo generazione parentale, i caratteri dovevano essere allo stato puro: ciò significa che il tratto prescelto (per esempio il fiore bianco) dev’essere costante per molte generazioni. Mendel isolò ciascuno dei suoi ceppi puri incrociando piante sorelle dall’aspetto identico o lasciando che si autoimpollinassero. In altre parole, l’incrocio fra piselli di ceppo puro a fiori bianchi doveva dare origine per varie generazioni soltanto a progenie a fiori bianchi; quello fra piante a fusto alto soltanto a progenie alta, e così via.

L’approccio matematico.

Uno dei principali contributi di Mendel alla scienza consiste nell’analisi dell’enorme massa di dati raccolti con centinaia di incroci, che hanno prodotto migliaia di piante, facendo ricorso alle leggi della statistica e al calcolo delle probabilità. Tali analisi matematiche hanno messo in luce all’interno dei dati schemi ben definiti che gli hanno permesso di formulare le sue ipotesi. Da Mendel in poi i genetisti hanno utilizzato la stessa matematica semplice da lui elaborata.

Figura 2
Figura 2openUn incrocio controllato fra due piante di pisello • Nei primi esperimenti di genetica si utilizzarono le piante, poiché i loro incroci sono facilmente controllabili. Mendel utilizzò per i propri esperimenti piante di pisello odoroso (Pisum sativum).
Tabella 1
Tabella 1openI caratteri scelti da Mendel.

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La prima legge di Mendel: la dominanza

Mendel eseguì diverse serie di incroci. Nella prima parte del suo lavoro egli decise di considerare l’ereditarietà di un solo carattere per volta in un grande numero di piantine, e operò nel modo seguente.

  • Per ciascun carattere scelse piantine di linea pura per forme opposte del medesimo carattere ed effettuò una fecondazione incrociata: raccolse il polline da un ceppo parentale e lo mise sullo stigma (l’organo femminile) dei fiori dell’altro ceppo, ai quali preventivamente aveva tolto le antere (gli organi maschili), in modo che la pianta ricevente non potesse autofecondarsi. Le piante che fornivano o ricevevano il polline costituivano la generazione parentale, indicata con P.
  • I semi e le nuove piante da essi prodotte costituivano la prima generazione filiale o F1. Gli individui di questa generazione possono esser definiti ibridi in quanto figli di organismi che differiscono per uno o più caratteri. Mendel e i suoi aiutanti esaminarono tutte le piante di F1 per vedere quali caratteri presentavano e poi annotarono il numero di piante di F1 che mostravano ciascun tratto.

I risultati ottenuti nella generazione F1 possono essere riassunti nella prima legge di Mendel, o legge della dominanza: gli individui ibridi della generazione F1 manifestano solo uno dei tratti presenti nella generazione parentale.

Mendel ripeté l'esperimento per tutti e sette i caratteri della pianta di pisello prescelti. Il metodo da lui seguito è illustrato nella ▶figura 3, che prende come esempio il carattere «forma del seme». Mendel prelevò il polline da una pianta di pisello di un ceppo puro con semi rugosi e lo collocò sullo stigma dei fiori di un ceppo puro a semi lisci. Egli eseguì anche l’incrocio reciproco, in cui si scambia l’origine parentale dei due caratteri: prelevò il polline da una pianta a semi lisci e lo collocò sugli stigmi dei fiori di un ceppo a semi rugosi. L’incrocio fra questi due tipi di piante P produceva in ogni caso una F1 tutta uniformemente a semi lisci; era come se il carattere «seme rugoso» fosse completamente sparito.

Figura 3
Figura 3openGli incroci di Mendel • I risultati osservati da Mendel nella generazione F2 (3/4 di semi lisci, 1/4 di semi rugosi) furono sempre gli stessi, indipendentemente da quale varietà della generazione parentale contribuiva con il polline alla formazione della progenie.

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La seconda legge di Mendel: la segregazione

La primavera seguente Mendel coltivò le piantine della generazione F1 ed eseguì una seconda serie di esperimenti. Ognuna di queste piante fu lasciata libera di autoimpollinarsi e produrre i semi di una nuova generazione che chiameremo seconda generazione filiale o F2. Di nuovo, furono descritte e contate le caratteristiche di tutte le piante F2 (vedi ▶tabella 1). In tutti gli incroci eseguiti, Mendel notò due dati importanti.

  1. Il tratto che non si era espresso (cioè non si era manifestato) nella generazione F1 ricompariva nella generazione F2. Per esempio, nel caso del carattere «forma del seme» ricompariva il tratto rugoso che nella generazione F1 sembrava sparito. Questo fatto portò Mendel a concludere che il tratto a seme liscio fosse dominante su quello a seme rugoso, da lui chiamato recessivo. In ognuna delle altre sei coppie di caratteri studiate da Mendel, un tratto si dimostrò sempre dominante sull’altro; e il tratto recessivo era quello che, in un incrocio fra ceppi puri, scompariva dalla generazione F1.
  2. In F2 il rapporto numerico fra i due tratti era sempre lo stesso per ciascuno dei sette caratteri studiati, ed era all’incirca 3:1. In altre parole, tre quarti della generazione F2 mostrava il tratto dominante e un quarto il tratto recessivo. Per esempio, l’incrocio per la forma del seme (vedi ▶figura 3) dava un rapporto di 5474:1850 = 2,96:1. I risultati di F1 non cambiavano se nella generazione parentale si partiva dagli ibridi reciproci; non aveva importanza quale genitore forniva il polline.

I dati ottenuti da Mendel smentivano radicalmente la teoria della mescolanza: i tratti della generazione parentale infatti non si fondevano nella generazione Fl e nella generazione F2 ricompariva il tratto recessivo. Il tratto «rugoso» per esempio ricompariva nei semi di F2, dopo essere apparentemente scomparso nei semi di F1.

Come si possono spiegare questi risultati? Che cosa accade al tratto recessivo nella generazione F1? Perché i tratti recessivi e quelli dominanti nella generazione F2 si manifestano in rapporti sempre costanti? Per rispondere a questi interrogativi Mendel propose una teoria che possiamo così riassumere:

  • le unità responsabili dell’ereditarietà di un particolare carattere si presentano come particelle distinte che in ciascun individuo si trovano in coppia;
  • durante la formazione dei gameti tali particelle si separano e ogni gamete ne eredita una soltanto.

Secondo questa teoria, gli elementi unitari dell’ereditarietà si conservano integri in presenza l’uno dell’altro. L’idea di Mendel era che ogni pianta di pisello possedesse due elementi («particelle») ereditari per ciascun carattere, derivanti ciascuno da un genitore, e che durante la produzione dei gameti, un gamete ricevesse soltanto una di queste unità appaiate.

La sua conclusione, che costituisce il nocciolo del modello mendeliano dell’ereditarietà, fu che ogni gamete contiene una sola unità, ma lo zigote ne contiene due, perché è il prodotto della fusione di due gameti. Gli elementi unitari dell’ereditarietà oggi si chiamano geni e le forme diverse di uno stesso gene sono chiamate alleli. La teoria di Mendel può essere espressa nella seguente forma, che costituisce la seconda legge di Mendel o legge della segregazione: quando un individuo produce gameti, le due copie di un gene (cioè gli alleli) si separano, cosicché ciascun gamete riceve soltanto una copia.


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