Capitolo Gli atomi: il mondo quantico

La teoria quantistica

Verso la fine del diciannovesimo secolo, man mano che si acquisivano informazioni sulla radiazione elettromagnetica che non trovavano spiegazioni nell’ambito della meccanica classica, le perplessità degli scienziati andavano progressivamente aumentando; in tal modo, le righe dello spettro dell’idrogeno rimanevano un grande puzzle irrisolto.

1.4 Radiazione, quanti e fotoni

L’idea che avrebbe risolto il problema fu concepita nel 1900 dal fisico tedesco Max Planck, il quale propose che lo scambio di energia tra la materia e la radiazione avvenisse per quanti, o pacchetti discreti di energia. Il concetto fondamentale della sua teoria era che una particella carica oscillante alla frequenza ʋ potesse scambiare energia con l’ambiente solo in forma di pacchetti di grandezza

E = hʋ

La costante h, detta oggi costante di Planck, vale 6,626 × 1034 J · s. Se l’atomo in oscillazione cede all’ambiente una quantità di energia E, si rivelerà una radiazione di frequenza ʋ = E/h.

Per giungere a questa teoria Planck fu costretto a confutare la fisica classica, che non pone limiti alla quantità di energia (anche molto piccola) trasferibile da un corpo a un altro. Le prove che l’energia si trasferisce in pacchetti discreti vennero dall’effetto fotoelettrico, cioè dall’emissione di elettroni da parte di un metallo la cui superficie sia esposta alla radiazione ultravioletta (figura 1.11). Le osservazioni sperimentali che portarono alla scoperta dell’effetto fotoelettrico furono le seguenti.

  1.  Non vengono emessi elettroni a meno che la radiazione non raggiunga una frequenza superiore a un certo valore di soglia caratteristico del metallo.
  2. Gli elettroni vengono emessi immediatamente, qualunque sia l’intensità della radiazione.
  3. L’energia cinetica degli elettroni emessi aumenta linearmente all’aumentare della frequenza della radiazione incidente.

Albert Einstein trovò la spiegazione di tali osservazioni: egli propose che la radiazione elettromagnetica fosse costituita da particelle, che più tardi furono chiamate fotoni. Ciascun fotone si può considerare come un pacchetto di energia; quest’ultima dipende dalla frequenza della radiazione e corrisponde a E = hʋ. Per esempio, i fotoni ultravioletti sono più energetici di quelli della luce visibile, che corrispondono a frequenze più basse. È importante notare che l’intensità della radiazione indica il numero di fotoni presenti, e che l’espressione E = hʋ misura l’energia di ciascun singolo fotone.

Le  caratteristiche dell’effetto fotoelettrico si spiegano facilmente pensando alla radiazione elettromagnetica come a un insieme di fotoni. Se l’energia del fotone non raggiunge quella necessaria ad allontanare un elettrone dal metallo, l’elettrone non sarà espulso, quale che sia l’intensità della radiazione. Se, invece, l’energia del fotone, hʋ, è maggiore, allora sarà espulso un elettrone, indipendentemente dall’intensità della radiazione.

L’esistenza dei fotoni e la relazione che lega l’energia e la frequenza di un fotone aiutano a rispondere a una delle domande poste dallo spettro dell’atomo di idrogeno. Al termine del paragrafo 1.3 abbiamo introdotto l’idea che le righe spettrali scaturiscano da una transizione tra due livelli energetici. Ora possiamo vedere che se quella differenza di energia viene allontanata sotto forma di fotone, allora la frequenza di una singola riga è correlata alla differenza di energia tra i due livelli coinvolti nella transizione (figura 1.12):

hʋ = Esup- Einf

Questa relazione è nota come condizione della frequenza di Bohr.

 ESEMPIO 1.3

Calcolare l’energia di un fotone

Calcola (a) l’energia di un fotone di luce blu di frequenza 6,4 × 1014 Hz e (b) l’energia di una mole di fotoni della stessa frequenza.

Strategia

(a) Si applica l’equazione 3 per trovare l’energia di una radiazione di una data frequenza. (b) Si moltiplica l’energia di un fotone per il numero che corrisponde a una mole di fotoni, vale a dire per la costante di Avogadro.

Risoluzione

(a) Da E (1 fotone) = hʋ,

E (1 fotone) = (6,626 × 1034 J · s) × (6,4 × 1014 Hz) = 4,2 × 1019 J

(b) Da E (1 mol di fotoni) = NA E,

E (1 mol di fotoni) = (6,022 × 1023 mol1) × (4,2 × 1019 J) = 2,5 × 105 J · mol–1, ossia 250 kJ · mol–1

Per ricavare l’energia in (a) si considera 1 Hz = 1 s–1, sicché J · s × Hz = J · s × s–1 = J.

Concetto chiave

L’effetto fotoelettrico fornisce una prova della natura corpuscolare della radiazione elettromagnetica.

Figura 1.11
Figura 1.11openUn metallo colpito da una radiazione ultravioletta emette elettroni soltanto se la frequenza incidente supera una frequenza di soglia che è caratteristica del metallo.
Figura 1.12
Figura 1.12openQuando subisce una transizione da uno stato di energia superiore a uno di energia più bassa, l’atomo perde energia, che si allontana sotto forma di un fotone. Quanto maggiore è la perdita di energia (A confrontato con B), tanto più elevata è la frequenza (e minore la lunghezza d’onda) della radiazione emessa.

prova tu

Prova tu

Quale energia corrisponde a un fotone di luce gialla di frequenza 5,2 × 1014 Hz? [Risposta: 3,4 × 1019J]

Quale energia corrisponde a un fotone di luce arancione di frequenza 4,8 × 1014 Hz?


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La teoria quantistica

1.5 Il dualismo onda-corpuscolo della materia

L’effetto fotoelettrico depone fortemente per la tesi secondo cui la radiazione elettromagnetica è costituita da fotoni, il cui comportamento è assimilabile a quello di particelle. Tuttavia, vi sono numerosissime prove che la radiazione elettromagnetica si comporta come un’onda! La più schiacciante è il fenomeno della diffrazione, l’immagine di intensità alte e basse generata da un oggetto posto lungo la traiettoria dei raggi di luce (figura 1.13). L’immagine di diffrazione si forma quando i picchi e i ventri delle onde che avanzano lungo una traiettoria interferiscono con i picchi e i ventri di quelle che seguono un percorso differente. Le frange di interferenza più comunemente osservate sono i colori iridescenti che si formano sulla superficie di un compact disc (figura 1.14). Se i picchi coincidono, l’ampiezza dell’onda (la sua altezza) aumenta, e questo incremento si chiama interferenza costruttiva (figura 1.15a). Se, invece, i picchi di un’onda coincidono con i ventri di un’altra, l’ampiezza viene ridotta dall’interferenza distruttiva (figure 1.15b e 1.16). Tale effetto è alla base di un’utile tecnica di studio della materia. Per esempio, la diffrazione dei raggi X è uno dei mezzi più importanti per studiare la struttura delle molecole.     

 Potete comprendere perché gli scienziati erano a dir poco disorientati! I risultati di alcuni esperimenti (effetto fotoelettrico) li costringevano ad ammettere che la radiazione elettromagnetica ha natura corpuscolare, mentre quelli di altri esperimenti (diffrazione) li costringevano d’altra parte a constatare che la radiazione elettromagnetica ha natura ondulatoria. Tutto ciò ci introduce nel cuore della fisica moderna. L’esperienza ci obbliga ad accettare quello che definiamo il dualismo onda-corpuscolo della radiazione elettromagnetica, che vede sfumare onde e particelle le une nelle altre. Nell’ambito del modello ondulatorio l’intensità della radiazione è proporzionale al quadrato dell’ampiezza dell’onda; nel modello corpuscolare essa è proporzionale al numero di fotoni presente istante per istante.

Se la radiazione elettromagnetica, ritenuta per lungo tempo di natura ondulatoria, ha anche carattere di particella, si può pensare che la materia, considerata fin dai tempi di Dalton costituita da particelle, possieda anch’essa proprietà ondulatorie? Nel 1925 Louis de Broglie sostenne che le particelle si dovessero tutte considerare in possesso di proprietà ondulatorie, e giunse a suggerire che la lunghezza d’onda associata all’«onda di materia» fosse inversamente proporzionale alla massa della particella, m, e alla sua velocità, v, sicché 

 

Il prodotto della massa per la velocità prende il nome di momento lineare, p, della particella, per cui l’equazione 5a si può riformulare come relazione di de Broglie nel modo seguente:

 

Il carattere ondulatorio degli elettroni fu messo in evidenza dimostrando che i fasci elettronici possono essere diffratti; l’esperimento fu effettuato per la prima volta nel 1925 da due scienziati americani, Clinton Davisson e Lester Germer, i quali inviarono un fascio di elettroni veloci contro un cristallo isolato di nichel. La disposizione regolare degli atomi dentro il cristallo, con i centri distanti circa 250 pm, agisce come un reticolo capace di diffrangere le onde, e si osservò effettivamente un’immagine di diffrazione (figura 1.17). Oggi la diffrazione di elettroni costituisce una tecnica importante di determinazione della struttura molecolare e di studio della struttura delle superfici solide.

 ESEMPIO 1.4

La stima della lunghezza d’onda di una particella

Leggendo di seguito, capirai perchè le proprietà ondulatorie delle particelle non sono mai state molto evidenti. Calcola la lunghezza d’onda di una particella di massa 1 g che viaggia alla velocità di 1 m · s1

Previsione

Poiché la particella in esame è molto più pesante di una qualunque particella subatomica, ci si aspetta una lunghezza d’onda molto corta.

Strategia

Per trovare la lunghezza d’onda di una particella di massa nota si applica l’equazione 5a.

Dalla relazione λ = h/mʋ,  

Conclusione

 Come previsto, la lunghezza d’onda della particella è molto piccola, quasi inapprezzabile; lo stesso vale per qualsiasi altro oggetto macroscopico che si sposti a una velocità normale.

Concetto chiave

Gli elettroni (e la materia in generale) possiedono sia proprietà ondulatorie sia proprietà corpuscolari.

Figura 1.13
Figura 1.13openQuando la radiazione proveniente da sinistra (le linee verticali) passa attraverso due fenditure poco distanti, ciascuna di esse genera onde circolari che interferiscono a vicenda. Nei punti in cui l’interferenza è costruttiva (indicata dalla posizione delle linee tratteggiate), lo schermo posto dietro alle fenditure mostra una riga luminosa; laddove l’interferenza è distruttiva lo schermo è scuro.
Figura 1.14
Figura 1.14openDiffrazione della luce bianca sulla superficie di un compact disc.
Figura 1.15
Figura 1.15open(a) Interferenza costruttiva. Le due onde componenti (a sinistra) sono «in concordanza di fase»: i loro picchi e i loro ventri coincidono. La risultante (a destra) ha un’ampiezza uguale alla somma delle componenti. La lunghezza d’onda della radiazione non muta a seguito dell’interferenza: muta solamente l’ampiezza. (b) Interferenza distruttiva. Le due onde componenti sono «in discordanza di fase»: i picchi dell’una coincidono con i ventri dell’altra. La risultante ha ampiezza molto minore delle componenti.
Figura 1.16
Figura 1.16openQuando le onde nell’acqua vengono diffratte e si incrociano, danno luogo a interferenza costruttiva se i loro ventri e i loro picchi coincidono; in tal caso le loro ampiezze si sommano mentre si annullano se non sono in fase.
Figura 1.17
Figura 1.17openDavisson e Germer dimostrarono che gli elettroni riflessi da un cristallo danno origine a un’immagine di diffrazione. G. P. Thomson, operando ad Aberdeen, Scozia, dimostrò che essi producono un’immagine di diffrazione anche attraversando una lamina sottile d’oro (è quella che si vede in figura).
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prova tu

Prova tu

Calcola la lunghezza d’onda di un elettrone in moto a \(\frac{1}{1000}\) della velocità della luce. [Risposta: 2,43 nm]

Calcola la lunghezza d’onda di un proiettile di fucile di massa 5,0 g in moto a una velocità doppia di quella del suono (la velocità del suono vale nell’aria 331 m · s1).

suggerimento

Suggerimento pratico

Ricorda che il joule è l’unità di misura dell’energia, quindi 1 J = 1 kg · m2 · s–2.

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1.6 Il principio di indeterminazione

Il  dualismo onda-corpuscolo spazza via le fondamenta della fisica classica. In meccanica classica ogni particella segue una traiettoria definita, ossia un tragitto lungo il quale la posizione e il momento lineare risultano istante per istante specificabili. Non si può determinare, invece, l’esatta localizzazione di una particella che si comporta come un’onda. Per esempio, si pensi alla corda di una chitarra: l’onda si distribuisce su tutta la corda, senza localizzarsi in alcun punto preciso (figura 1.18). L’elettrone dell’atomo di idrogeno non può quindi essere descritto come una particella orbitante attorno al nucleo secondo una traiettoria definita. L’immagine popolare di un elettrone che descrive orbite regolari attorno al nucleo deve essere spazzata via per sempre.

Non  è possibile sopprimere tale difficoltà. Se sappiamo che a un dato istante una particella si trova in un punto, non siamo in grado di dire alcunché sulla posizione che occuperà un istante più tardi! Il principio di indeterminazione di Heisenberg, formulato dallo scienziato tedesco Werner Heisemberg nel 1927, esprime tale difficoltà e asserisce che, se l’incertezza sulla posizione x di una particella ha un valore molto ridotto (Δx molto piccolo), l’incertezza sul momento lineare (Δp) risulta elevata, e viceversa (figura 1.19). L’espressione matematica di tale principio è:

\[\Delta p \cdot \Delta x \ge \frac{h}{{4\pi }}{\rm{(costante)}}\]

In altre parole, il prodotto delle incertezze di due misure simultanee non può essere minore di un dato valore costante.

Il principio di indeterminazione ha conseguenze pratiche trascurabili quando si tratti di oggetti macroscopici, ma assume grande importanza nel caso di particelle subatomiche come gli elettroni.

Concetto chiave

Il principio di indeterminazione di Heisenberg asserisce che è impossibile conoscere simultaneamente con precisione sia il momento sia la posizione di una particella.

Figura 1.19
Figura 1.19openRappresentazione del principio di indeterminazione. a) La posizione x della particella è mal definita, e ciò permette di specificarne il momento p (rappresentato dalla freccia) con accettabile precisione. b) La posizione x della particella è piuttosto ben definita, e questo impedisce di specificarne il momento p con grande precisione.
Figura 1.18
Figura 1.18openL’onda che si genera dalla vibrazione della corda di una chitarra si chiama onda stazionaria.

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1.7 Funzioni d’onda e livelli energetici

Per giustificare il dualismo onda-corpuscolo gli scienziati del ventesimo secolo non poterono fare a meno di rivedere la descrizione della materia accettata nel secolo precedente. Uno dei primi a formulare una teoria efficace (nel 1927) fu lo scienziato austriaco Erwin Schrödinger, che introdusse il concetto principale della teoria quantistica.

Schrödinger sostituì al concetto di traiettoria precisa della particella quello di funzione d’onda, ψ, una funzione matematica il cui valore varia con la posizione. Le funzioni d’onda sono funzioni matematiche come sin x, una funzione che varia come un’onda, ed e–x , una funzione che declina esponenzialmente verso lo zero.

Fu  il fisico tedesco Max Born a suggerire il modo di interpretare fisicamente il senso della funzione d’onda. Secondo l’interpretazione di Born della funzione d’onda, la probabilità di rinvenire la particella in una data regione è proporzionale al valore di ψ2 (figura 1.20). Per essere precisi, ψ2 individua una densità di probabilità, cioè il rapporto tra la probabilità di trovare la particella entro una piccola regione e il volume di tale regione. Di conseguenza, per calcolare la probabilità che la particella si trovi in una piccola regione dello spazio, moltiplicheremo ψ2 per il volume di tale regione. Per esempio, se in un punto ψ2 = 0,1 pm3, allora la probabilità di rinvenire la particella in una regione di volume 2 pm3 situata in quel punto sarebbe (0,1 pm-3) × (2 pm3) = 0,2, ossia 1 possibilità su 5. Secondo l’interpretazione di Born, ovunque ψ2 sia grande, la particella presenta elevata densità di probabilità mentre, dove ψ2 è piccola, la particella possiede bassa densità di probabilità.

Ovunque ψ si annulli, e perciò sia zero anche ψ2, per la particella si ha densità di probabilità zero. Il punto in cui ψ passa per lo zero (e non semplicemente raggiunge lo zero) si definisce nodo della funzione d’onda; ciò permette di dire che in corrispondenza di un nodo la particella ha densità di probabilità nulla.

L’equazione  di Schrödinger si usa per calcolare sia la funzione d’onda ψ, sia la corrispondente energia E. L’equazione più semplice da risolvere è quella relativa alla cosiddetta particella nella scatola (figura 1.21), che è un sistema in cui una piccola particella è ristretta tra due pareti rigide a distanza L l’una dall’altra. Secondo la meccanica quantistica, la particella nella scatola può presentare soltanto alcune lunghezze d’onda λ; così come la corda di una chitarra fissata alle due estremità non può essere percorsa da onde aventi λ qualsiasi, alla scatola si adattano soltanto certe lunghezze d’onda, tali che soddisfino la relazione

\[L = n \times \frac{\lambda }{2}\]

In altre parole, le sole onde che possono formarsi sono quelle la cui semilunghezza d’onda,\(\frac{\lambda }{2}\), si ripete un numero intero di volte nella lunghezza della corda o nella distanza L fra le due pareti della scatola (figura 1.22). Il numero intero n contraddistingue la funzione d’onda e prende il nome di numero quantico.

Si può dimostrare che l’energia della particella nella scatola dipende dal valore di n e risulta pertanto quantizzata, vale a dire circoscritta a una serie di valori discreti che chiamiamo livelli energetici. La differenza tra la descrizione classica e quella quantistica dell’energia è come quella che sussiste tra la descrizione macroscopica e molecolare dell’acqua: quando si versa l’acqua da un secchio, ci sembra come un fluido continuo trasferibile in qualsiasi misura, comunque piccola. In realtà, la minima quantità che si può trasferire è una molecola H2O, ossia un «quanto» di acqua.

Concetto chiave

La densità di probabilità che una particella si trovi in un certo sito è proporzionale al quadrato della funzione d’onda in quel punto; la funzione d’onda si trova risolvendo l’equazione di Schrödinger della particella. Quest’ultima è in grado di possedere solo determinate energie.

Figura 1.22
Figura 1.22openLe vibrazioni possibili di una corda di chitarra sono «quantizzate» perché la loro semilunghezza d’onda (\(\frac{\lambda }{2}\)) deve essere contenuta un numero intero di volte nella lunghezza L della corda. Le vibrazioni che non rispettano questa condizione sono impossibili.
Figura 1.20
Figura 1.20openL’interpretazione di Born della funzione d’onda. La densità di probabilità (curva blu) è data dal quadrato della funzione d’onda (curva arancione) e illustrata dalla densità dell’ombreggiatura nella banda sottostante.
Figura 1.21
Figura 1.21openIl sistema noto come «particella nella scatola», nel quale una particella di massa m si trova ristretta tra due pareti impenetrabili distanti L. Sono riportate le prime sei funzioni d’onda e le rispettive energie. Le cifre a sinistra sono i valori del numero quantico n.

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