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Charles Darwin e la nascita dell’evoluzionismo moderno

Charles Robert Darwin (1809-1882) è considerato il padre della moderna visione dell’evoluzione biologica. Nel 1831, quando aveva appena terminato gli studi, egli ebbe l’opportunità di partire come naturalista per un viaggio intorno al mondo a bordo di un brigantino della Marina britannica, il Beagle. Durante quel viaggio, che durò quasi cinque anni, Darwin poté studiare sul campo la biologia e la geologia di lontane regioni del globo; di particolare rilevanza fu l’esperienza in Sudamerica e nelle isole Galápagos, un arcipelago situato nell’oceano Pacifico al largo dell’Ecuador.

Il viaggio sul Beagle spinse Darwin a riflettere sulla varietà dei viventi

Alla partenza per il suo viaggio (▶figura 3), Darwin era un naturalista alle prime armi; le sue osservazioni sulla geologia e sui fossili del continente sudamericano, oltre a fornirgli il materiale per le sue successive riflessioni, gli valsero però un certo credito presso la comunità scientifica inglese con cui era entrato in contatto all’università.

Durante il suo viaggio, Darwin fu colpito dalla straordinaria varietà della flora e della fauna che andava osservando. Per noi, che possiamo vedere foto e filmati di qualsiasi essere vivente con pochi click su un computer, è difficile comprendere il profondo effetto che la scoperta della vita nelle regioni tropicali poteva avere sui naturalisti europei dell’Ottocento. Quando essi si immaginavano la creazione avevano in mente un giardino dell’Eden già popolato dalle specie che vivevano in Europa; la scoperta di quanto ricca e varia potesse essere la vita altrove contribuì a mettere in crisi la loro visione, obbligandoli a domandarsi da dove venisse tanta diversità.

Alle Galápagos, in particolare, Darwin osservò la presenza di specie animali diverse eppure simili per ciascuna isola dell’arcipelago; soprattutto egli notò le tartarughe terrestri giganti, che avevano carapaci di forma leggermente diversa a seconda dell’isola in cui vivevano, e un gruppo di uccelli (oggi chiamati fringuelli di Darwin) che differivano per la forma del becco.

Una volta tornato in patria, Darwin ebbe modo di riconsiderare gli appunti e il materiale raccolto durante il viaggio; questo lo condusse a porsi domande che lo indirizzarono sulla strada della teoria dell’evoluzione.

Figura 3
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II viaggio di Darwin

(A) La missione del Beagle era quella di raccogliere informazioni cartografiche da tutto il mondo. La mappa indica il viaggio compiuto dal brigantino, e il dettaglio mostra le isole Galápagos. Gli organismi che vivevano sull’arcipelago furono un’importante fonte di ispirazione per Darwin nella formulazione della teoria della selezione naturale. (B) Charles Darwin all’età di 27 anni, poco dopo il ritorno del Beagle in Inghilterra.

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Le prove a sostegno dell’evoluzione

Prima del suo viaggio sul Beagle e del suo contributo personale al problema, Darwin si era formato, come quasi tutti gli intellettuali del suo tempo, secondo l’insegnamento creazionista: riteneva, cioè, che la molteplicità di specie viventi si spiegasse con il fatto che erano state create da Dio.

Uno dei principali riferimenti dei creazionisti era l’opera del reverendo William Paley (1743-1805), il quale sosteneva che Dio intervenisse creando nuove specie solo al momento giusto; con questo argomento, Paley cercava di conciliare la Bibbia con i dati che emergevano dallo studio della documentazione fossile e dall’anatomia comparata.

Nel suo libro L’origine delle specie Darwin fornì una serie di prove scientifiche a sostegno della selezione naturale e dell’evoluzione. Tali prove avevano origine in molte discipline diverse.


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La paleontologia: lo studio dei fossili

I fossili sono stati fin dall’inizio una delle più ricche fonti di prove a sostegno dell’evoluzione biologica. Infatti, la presenza tra i fossili di specie non più esistenti si poteva spiegare con il catastrofismo, ma l’assenza di resti delle specie moderne era molto più difficile da giustificare; questo era un dato con cui la paleontologia, vale a dire lo studio delle forme vissute nel passato, doveva necessariamente confrontarsi. Inoltre, lo studio dei fossili forniva un ulteriore elemento a favore dell’evoluzione: i fossili si trovano quasi esclusivamente nelle rocce sedimentarie, che derivano dalla deposizione di materiali erosi e trasportati da agenti fisici, soprattutto dall’acqua (▶figura 4). Poiché si formano per deposizioni successive, le rocce sedimentarie hanno una struttura stratificata dove, a meno di modificazioni successive, le porzioni più in basso corrispondono agli strati più antichi, mentre quelle poste in cima sono le più recenti.

Lo studio dei fossili evidenziava che spesso le specie viventi mostravano cambiamenti graduali nel passaggio dagli strati più vecchi a quelli più recenti, con forme che si avvicinavano sempre più a quelle moderne. Questo fatto poteva suggerire una tendenza delle specie a cambiare nel tempo, cioè ad evolvere.

Figura 4
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Diversi tipi di testimonianze dal passato

Oltre ai resti fossilizzati di organismi viventi, come questi resti vegetali (A) o le foreste pietrificate (B), possiamo ricavare informazioni anche dai piccoli animali intrappolati nell’ambra (una resina fossile, C) e da quelli conservati nel ghiaccio, come l’uomo di Similaun (D, trovato sulle Alpi al confine tra Italia e Austria).

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La biogeografia studia la distribuzione geografica delle specie

Fin dai tempi di Buffon, i naturalisti si erano occupati della biogeografia, ovvero della distribuzione geografica delle forme viventi. La spiegazione di tale distribuzione geografica delle forme viventi era naturalmente vista nel disegno divino, che aveva collocato in ogni regione le specie adatte a vivere in quell’ambiente.

Sulla base di queste premesse, Darwin si sarebbe aspettato che i carnivori di cui trovava le tracce fossili nelle praterie dell’America del Sud assomigliassero ai carnivori fossili europei, che erano vissuti in ambienti simili e condividevano lo stesso stile di vita. L’analisi dei fossili, tuttavia, rivelò che i carnivori fossili sudamericani assomigliavano per molti aspetti più agli erbivori fossili sudamericani (come il Megatherium; ▶figura 5) che ai carnivori europei. Questo fatto era difficile da spiegare in modo plausibile per un creazionista.

Figura
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Un bradipo gigante

Il Megatherium è un genere estinto di mammiferi comprendente varie specie di enormi bradipi terrestri, che potevano raggiungere sei metri di altezza e quattro tonnellate di peso.

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L’anatomia comparata: le somiglianze anatomiche tra le specie

Anche gli studi di anatomia comparata forniscono un ulteriore sostegno alla visione evolutiva. Fin dal tempo degli scontri tra Cuvier e Lamarck, infatti, era noto che specie diverse mostravano tra loro somiglianze sorprendenti. In alcuni casi queste somiglianze si potevano spiegare con l’adattamento allo stesso tipo di condizioni di vita: se per vivere in acqua è vantaggioso avere una forma idrodinamica, si può capire per quale ragione i delfini (▶figura 6), che sono mammiferi, assomiglino tanto ai pesci.

I biologi definiscono analoghe le strutture che si assomigliano perché svolgono una stessa funzione, pur avendo origine diversa. È il caso, per esempio, dell’ala di una farfalla e quella di un uccello che sono tra loro diversissime, ma che chiamiamo allo stesso modo proprio per questa somiglianza di funzione.

Darwin tuttavia si domandò in che modo si possano spiegare altre somiglianze, più profonde e non legate all’adattamento. Se paragoniamo tra loro l’ala di un pipistrello, la pinna anteriore di una balena, la zampa anteriore di un gatto e il braccio di un essere umano, troviamo che possiedono lo stesso numero e lo stesso tipo di ossa; strutture di questo tipo si definiscono omologhe.

Questa comunanza di struttura non trova alcuna spiegazione nell’adattamento: come vedremo, Darwin la considerò una prova della discendenza comune di questi organismi; l’omologia infatti costituisce una delle più solide prove a sostegno dell’evoluzione.

Figura
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Una forma affusolata aumenta l’idrodinamicità

I delfini, come molti altri mammiferi marini, hanno una forma del corpo simile a quella dei pesci perché questo adattamento favorisce i movimenti in acqua.

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Darwin utilizzò la selezione artificiale come modello per spiegare la selezione naturale

Nel suo viaggio Darwin rimase colpito dalla strana miscela di differenze e somiglianze che esisteva tra le specie viventi; ma non meno importante fu per lui cogliere la grande variabilità morfologica presente all’interno di ciascuna specie. Questa intuizione è tra le più brillanti di Darwin e quella più spesso sottovalutata.

Naturalmente tutti gli individui appartenenti a una data specie hanno moltissimi caratteri comuni, dato che vengono classificati insieme, eppure è altrettanto vero che sono diversi l’uno dall’altro. Possiamo quindi dire che in ogni specie esiste una variabilità individuale che è preesistente all’azione dell’ambiente e non è frutto di un adattamento. Tale variabilità, inoltre, è del tutto casuale. Per alcune specie, come quelle batteriche, è difficile vedere questa variabilità, ma per le specie che conosciamo meglio (come il gatto domestico, Felis catus) è evidente che la specie è formata da individui ciascuno dei quali è differente da tutti gli altri.

La variabilità all’interno di una specie, secondo Darwin, è fondamentale per l’evoluzione. Partendo dall’osservazione che, nonostante la prole tenda ad assomigliare ai genitori, in molti organismi i figli non sono identici né fra loro né a chi li ha generati, Darwin ipotizzò che la probabilità degli individui di sopravvivere e riprodursi dipendesse proprio da quelle leggere differenze. Per verificare la validità della sua ipotesi, Darwin seguì due strade piuttosto insolite per i naturalisti dell’epoca: chiese informazioni sul loro lavoro a tutti gli allevatori che riuscì a contattare e si mise egli stesso ad allevare piccioni (▶figura 7).

In realtà ambedue le scelte erano ispirate da un’unica intuizione: se i cambiamenti delle specie naturali sono difficili da osservare, perché non studiare i cambiamenti indotti dall’uomo sulle specie domestiche? In altre parole, egli si rivolse allo studio della selezione artificiale operata dagli allevatori sulle specie che l’uomo tiene con sé per adattarle alle proprie esigenze, allo scopo di chiarirsi i meccanismi attraverso i quali cambiamenti simili avvengono in natura, senza che nessuno li guidi.

Figura 7
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Piccioni prodotti mediante selezione artificiale

Charles Darwin allevava piccioni e in tale contesto notò che forze simili erano all’opera nella selezione artificiale e in quella naturale. I piccioni mostrati qui rappresentano soltanto alcune fra le oltre 300 varietà che sono state selezionate artificialmente dagli allevatori per evidenziare le diverse qualità di caratteri come colore, taglia e distribuzione delle penne.

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Il contributo di Thomas Malthus alla teoria di Darwin

Nel formulare la propria teoria dell’evoluzione Darwin trasse ispirazione dalla lettura, nel 1838, del Saggio sul principio della popolazione dell’economista Thomas Malthus. La tesi sostenuta da Malthus in questa sua opera è che, per quanto rapidamente crescano i mezzi di produzione e di sostentamento, le popolazioni umane crescono più in fretta; quindi, a meno di non intervenire per controllarne lo sviluppo, è inevitabile che i mezzi per sopravvivere finiscano per scarseggiare. Infatti, secondo Malthus i mezzi di sostentamento crescono in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4…), mentre la popolazione cresce in progressione geometrica (1, 2, 4, 8…) e, dunque, molto più rapidamente.

Darwin rimase folgorato da questa intuizione, che non gli interessava per le sue implicazioni socio-politiche, ma per interpretare un apparente paradosso riscontrabile in tutte le popolazioni. Tutte le specie infatti tendono a riprodursi in modo da crescere con grande rapidità; ne L’origine delle specie, Darwin calcola che, anche con una stima molto prudente, da una singola coppia di elefanti nell’arco di 500 anni dovrebbero derivare 15 milioni di elefanti, un numero esorbitante. Perché ciò non accade?

Darwin si rese conto che la pressione esercitata dall’ambiente su una specie portava alla morte di una grande percentuale di individui, molto maggiore di quanto potesse sembrare; questa azione non era esercitata soltanto dai predatori o dalle malattie, ma soprattutto dalla limitatezza delle risorse (cibo, acqua, territorio). Questo lo condusse a chiedersi: quale, tra gli individui di una data specie, sopravvive e arriva a riprodursi? La risposta, come vedremo, è «il più adatto».


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La formulazione della teoria della selezione naturale

Ormai tutto era pronto perché Darwin arrivasse alla teoria della selezione naturale, che può essere riassunta nei seguenti punti:

  • le popolazioni, cioè gli organismi della stessa specie che vivono nella medesima regione geografica, tendono a riprodursi con grande rapidità;
  • in natura le popolazioni si mantengono sostanzialmente stabili;
  • la stabilità numerica delle popolazioni è dovuta alla scarsità delle risorse che costringe gli individui di una specie a competere tra loro;
  • poiché gli individui sono tutti diversi e unici, alcuni avranno caratteristiche che consentono loro di sopravvivere meglio di altri, ovvero sono più adatti;
  • i più adatti sopravvivono più a lungo e si riproducono con maggior successo, trasmettendo alla progenie le proprie caratteristiche.

Darwin aveva quindi trovato un meccanismo che spiegava in modo convincente l’evoluzione: non un principio filosofico impossibile da valutare scientificamente, come aveva fatto Lamarck, ma un vero modello scientifico, che poteva essere studiato e messo alla prova.

Il nodo teorico centrale di questa sua proposta era che l’evoluzione non può essere riferita a un singolo individuo, ma riguarda l’intera popolazione: mediamente gli individui più adatti si riproducono meglio di quelli che lo sono meno e questo fa sì che, generazione dopo generazione, la specie cambi nel tempo, cioè evolva.


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Darwin lavorò per vent’anni accumulando prove a sostegno della propria teoria

Darwin stesso era ben conscio dei pericoli derivanti dal possibile fraintendimento delle sue teorie. Anche per questi scrupoli, tra le sue prime intuizioni e la pubblicazione de L’origine delle specie passarono oltre vent’anni; sarebbero potuti essere anche di più se un altro naturalista britannico, Alfred Russel Wallace (1823-1913), non avesse comunicato a Darwin di essere giunto indipendentemente a elaborare una teoria simile alla sua.

Si è discusso molto su questa coincidenza, ma quel che è certo è che i due scienziati si accordarono, da perfetti gentlemen, per esporre congiuntamente le loro scoperte, nel 1858. A questo punto, Darwin fu praticamente costretto a pubblicare L’origine delle specie, che risultò un vero e proprio successo editoriale.

Darwin aveva già acquistato un’ottima fama con altri lavori, per esempio sull’origine delle barriere coralline e sulla classificazione di alcuni gruppi di molluschi; altri suoi saggi successivi risultarono altrettanto importanti, soprattutto quello sull’origine dell’uomo e sulla selezione sessuale (di cui parleremo in seguito), ma il suo nome rimase per sempre legato a questo testo, sia per le conseguenze che il saggio ebbe nell’ambito della biologia, sia per la grande eco che suscitò in tutta la società.

Va specificato però che Darwin nei suoi scritti non usò mai il termine evoluzione nel senso moderno; piuttosto, in un paio di passaggi, egli fece ricorso al termine come sinonimo di sviluppo, secondo una consuetudine allora diffusa. Quel che oggi chiamiamo evoluzione, Darwin lo definiva discendenza con modificazioni; questo termine, molto meno suggestivo, è in realtà più corretto, perchè suggerisce una lenta storia di cambiamenti. Il motore principale di questi cambiamenti è la selezione naturale, e il risultato è quello che chiamiamo adattamento.


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La teoria di Darwin per spiegare l’evoluzione è composta da cinque «sottoteorie»

Rifacendoci agli studi condotti dal grande evoluzionista Ernst Mayr (▶figura) sull’opera di Darwin nel corso del Novecento, possiamo dire che quella proposta da Darwin non era un’unica teoria ma un paradigma, formato da cinque teorie:

  1. l’evoluzione in quanto dato di fatto;
  2. la discendenza da un antenato comune;
  3. la proliferazione delle specie;
  4. la gradualità dell’evoluzione;
  5. la selezione naturale.

Queste cinque teorie sono strettamente collegate ma in parte indipendenti tra loro, tanto che diversi studiosi, sia contemporanei di Darwin sia successivi, ne accettarono alcune e altre no.

L’evoluzione in quanto dato di fatto

Abbiamo già definito l’evoluzione, ovvero il fatto che le specie viventi sulla Terra si modificano nel corso del tempo. I biologi ritengono che questa affermazione, più che una teoria, debba essere considerata un fatto scientifico, ovvero un’osservazione oggettiva e verificata.

Nel tempo sono state proposte varie teorie per spiegare come si è verificata l’evoluzione. Queste teorie differiscono per l’importanza attribuita ai diversi fattori che causano i cambiamenti evolutivi (selezione naturale, caso, gradualismo) e molte questioni riguardanti i meccanismi evolutivi sono ancora oggetto di dibattito; tuttavia l’evoluzione in sé viene considerata da tutti gli scienziati come un fatto accertato.

La discendenza comune

L’evoluzione non implica necessariamente che le specie viventi debbano discendere da un antenato comune; tuttavia, come abbiamo visto, l’anatomia comparata e l’identificazione di numerosi casi di omologia condussero Darwin alla teoria della discendenza comune, vale a dire all’idea che tutte le forme di vita attualmente presenti sulla Terra possano derivare da un unico antenato comune.

Per i biologi di oggi, questo presunto antenato è indicato con la sigla LUCA (Last Universal Common Ancestor, cioè il più recente antenato comune a tutti) e corrisponde a una forma di vita unicellulare procariotica dotata di tutte le caratteristiche riscontrabili in ogni forma vivente, quali i meccanismi di duplicazione del DNA, la sintesi proteica e la glicolisi. LUCA non è quindi la più antica forma vivente mai esistita, ma il più recente antenato comune a tutte le specie moderne.

La proliferazione delle specie

A Darwin dobbiamo anche il superamento dell’idea dell’evoluzione come di un processo lineare. Egli infatti si rese conto che, nel corso dell’evoluzione, il numero delle specie poteva aumentare e che quindi da un’unica specie potevano discendere due specie distinte. A Darwin dobbiamo la sostituzione della metafora della scala naturale con quella dell’albero della vita: da una base, costituita dalle specie più antiche, si sviluppa un albero, in cui ogni ramificazione corrisponde a un evento di speciazione, cioè la formazione di una nuova specie.

La gradualità dell’evoluzione

Secondo la visione darwiniana, tutti questi cambiamenti dovevano avvenire con gradualità, attraverso il sommarsi di piccole variazioni, nel corso di lunghi periodi. In questo modo Darwin faceva pienamente suo il gradualismo (appreso dalla lettura di Lyell). Sebbene il gradualismo di Darwin sia stato rivisto criticamente da alcuni evoluzionisti moderni, non c’è dubbio che la documentazione fossile racconti più una storia di lenti cambiamenti che non di improvvise apparizioni. Quello che alcuni critici oggi rifiutano è l’idea, erroneamente attribuita a Darwin, che il processo evolutivo, per lento che sia, debba per forza procedere con un ritmo costante.

La selezione naturale

L’ultima teoria costituisce uno dei concetti più spesso fraintesi dell’intera opera darwiniana. Un filosofo contemporaneo di Darwin, Herbert Spencer (1820-1903), propose di definire la selezione naturale come «sopravvivenza del più adatto», che spesso viene inteso come il «più forte». La moderna definizione di selezione naturale è assai diversa; tuttavia, la definizione suggerita da Spencer suscitò entusiasmi e polemiche perché veniva riferita alla storia e al futuro dell’umanità, cosa che Darwin si guardò sempre bene dal fare. Egli infatti era cosciente che gli esseri umani, grazie alla cultura, non devono per forza seguire le leggi della natura.

Inoltre, come vedremo nel ▶paragrafo 5, va sottolineato che il termine corretto per indicare l’«essere adatto» è fitness, parola che i biologi usano ancora oggi non riferendosi alla forza o alla capacità di sopraffazione sugli altri, ma piuttosto alla maggiore probabilità di riprodursi.

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Ernst Mayr

Il biologo e genetista tedesco (1904-2005) analizzò e approfondì la teoria darwiniana.

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