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La macroevoluzione e la storia della vita

Quando si ricostruisce la storia della vita si è soliti distinguere la microevoluzione, che riguarda i cambiamenti a livello del singolo pool genico entro ciascuna specie, dalla macroevoluzione, che comprende tutti i processi evolutivi che avvengono a livello superiore rispetto alla singola specie. Mentre la microevoluzione può essere spiegata con i modelli che abbiamo descritto, lo studio della macroevoluzione pone una serie di problemi di difficile soluzione: l’evoluzione procede a velocità costante? Quali fattori ne influenzano la velocità? Le profonde differenze che oggi osserviamo tra i grandi gruppi (come rettili e mammiferi) si sono originate in modo graduale o improvviso? Nella storia della vita si manifestano tendenze particolari? Rispondere non è facile, perché la macroevoluzione si è sviluppata in tempi lunghissimi, interessando su scala mondiale ambienti diversi.

Quanto è veloce la speciazione?

Le specie sono classificate e raggruppate in categorie superiori in base alle somiglianze e alla storia evolutiva. Andando in ordine troviamo generi, famiglie, ordini, classi, phyla, regni, domini. Gli organismi appartenenti a uno stesso gruppo hanno un antenato comune: le specie che hanno un antenato comune costituiscono un genere, i generi con un antenato comune formano un ordine e così via. Lo storia di queste categorie superiori, che chiameremo gruppi, è studiata dalla macroevoluzione.

Un dato interessante riguarda il numero di specie presenti in gruppi diversi. Alcuni gruppi di organismi contano molte specie, altri poche. In breve tempo, nelle sole isole Hawaii, si sono evolute centinaia di specie di Drosophila (▶figura 10), mentre in tutto il mondo esiste una sola specie di ginkgo (Ginkgo biloba), sebbene la sua linea evolutiva esista da quasi 300 milioni di anni (▶figura 11). Il numero di specie comparse in un certo intervallo di tempo nell’ambito di un gruppo, cioè il tasso di speciazione, varia considerevolmente da caso a caso.

Figura 10
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I moscerini delle isole Hawaii

Il gran numero di specie di drosofila nell’arcipelago delle Hawaii è il risultato di vari eventi di fondazione, cioè di creazione di nuove popolazioni da parte di individui che si sono dispersi tra le isole. Tali isole, che hanno avuto origine a mano a mano che la crosta terrestre si muoveva su un «punto caldo» vulcanico, hanno età diversa.
Figura 11
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Unico nel suo genere

Il ginkgo, che nella fotografia mostra la tipica colorazione autunnale, è oggi l’unico rappresentante vivente della divisione Ginkgophyta in tutto il pianeta.

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I tassi di speciazione dipendono da diversi fattori

E perché i tassi di speciazione dei diversi gruppi di organismi sono così variabili? La probabilità che una linea si divida a formare due o più specie dipende da vari fattori:

L’abbondanza di specie:
innanzitutto, la formazione di una nuova specie sarà tanto più probabile quanto più abbondante è il numero di specie all’interno di un gruppo. Per quanto riguarda la speciazione mediante poliploidia, più specie vi sono in un gruppo, maggiore è il numero di quelle disponibili per formare ibridi. Riguardo alla speciazione allopatrica, quanto più numerose sono le specie che vivono in un’area, tanto maggiore sarà il numero di quelle il cui areale verrà suddiviso da una determinata barriera fisica. Per tutte queste ragioni, è più facile che vadano incontro a ulteriore speciazione i gruppi già ricchi di specie che non quelli poveri.
La sedentarietà:
è probabile che i tassi di speciazione siano più alti nelle specie con scarse capacità di dispersione. Infatti, una specie i cui membri sono molto sedentari potrà essere frammentata anche da una piccola barriera. Le isole Hawaii contengono circa un migliaio di specie di lumache, molte delle quali sono confinate in un’unica valle. Dato che le lumache coprono solo brevi tragitti, le creste che separano le valli sono barriere efficaci alla loro dispersione.
La specializzazione nella dieta:
è più probabile che un fenomeno di divergenza fra le popolazioni si verifichi nelle specie a dieta specializzata che non in quelle a dieta generica. Per studiare gli effetti della dieta sui tassi di speciazione, è stata confrontata l’abbondanza di specie in alcuni gruppi strettamente affini di insetti eterotteri, il gruppo al quale appartengono anche le cimici. Il loro antenato comune era un predatore che si nutriva succhiando l’emolinfa di altri insetti; nei gruppi oggetto di studio, però, si è evoluto almeno due volte il passaggio a una dieta fitofaga (basata sulla suzione della linfa delle piante). Gli eterotteri fitofagi tendono a specializzarsi su una o poche specie affini di piante, mentre quelli predatori di solito si nutrono di molte specie di insetti. Come atteso, è risultato che i gruppi fitofagi comprendono molte più specie dei gruppi predatori (▶figura 12).
Il tipo di impollinazione:
infine, i tassi di speciazione sono in media 2,4 volte superiori nelle piante impollinate dagli animali rispetto alle piante anemofile, impollinate per via eolica. Tra le piante impollinate dagli animali, i tassi di speciazione sono correlati alla specializzazione dell’impollinatore.
Figura 12
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Cambiamenti della dieta possono promuovere la speciazione

(A) Fra gli insetti eterotteri, i gruppi erbivori sono andati incontro a speciazione con un tasso diverse volte maggiore dei gruppi predatori strettamente imparentati. Nelle fotografie si possono osservare un esemplare fitofago (B) e uno predatore (C).

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La macroevoluzione e la storia della vita

La coevoluzione e la selezione sessuale incrementano il tasso di speciazione

A seguito della frequenza con cui si stabilisce un rapporto molto stretto tra vettore impollinatore e pianta impollinata, l’enorme varietà di specie mostrata da alcuni gruppi di insetti, come le farfalle (lepidotteri), è strettamente correlata all’altrettanto sorprendente numero di specie di piante con fiori (angiosperme). In tal caso vi è un effetto reciproco dell’evoluzione di una specie sull’evoluzione dell’altra: infatti le farfalle funzionano da impollinatori per le angiosperme, e queste funzionano da risorsa alimentare per le farfalle. Questo è un caso di coevoluzione, vale a dire il processo per cui due specie distinte di una stessa comunità influenzano vicendevolmente l’evoluzione l’una dell’altra.

Secondo alcuni, anche il fenomeno della selezione sessuale (come abbiamo visto nel capitolo precedente) produrrebbe un aumento della velocità di speciazione. Gli esempi più eclatanti di selezione sessuale riguardano gli uccelli con sistemi di accoppiamento promiscuo. Per esempio, i maschi degli uccelli del paradiso, un classico caso di dimorfismo sessuale, possiedono lunghe code fatte di penne dai colori sgargianti e, nel complesso, hanno un aspetto assai diverso dalle femmine. In molte specie i maschi si riuniscono sui territori di esibizione, dove le femmine li raggiungono per scegliere un partner con cui accoppiarsi. Dopo l’accoppiamento, le femmine lasciano i territori di esibizione, costruiscono il nido, depongono le uova e nutrono la prole senza alcun aiuto da parte dei maschi, i quali rimangono a corteggiare altre femmine.

I parenti più stretti degli uccelli del paradiso sono le manucodie. Le manucodie mostrano lievi differenze di dimensioni e di piumaggio fra maschi e femmine, formano legami di coppia monogamici ed entrambi i sessi partecipano alla cura della prole. Dunque non sorprende che esistano soltanto cinque specie di manucodie, contro le 33 specie di uccelli del paradiso (▶figura 13).

È probabile che gli animali dotati di comportamenti complessi, frutto della selezione sessuale, abbiano un tasso elevato di speciazione perché sono molto selettivi nei confronti dei potenziali partner sessuali. Oltre a essere perfettamente capaci di riconoscere i membri della propria specie da quelli di altre specie, essi mettono in atto accurate selezioni anche tra i membri della loro stessa specie sulla base delle dimensioni, della forma, dell’aspetto e del comportamento. Questa selettività può avere una forte influenza sul successo riproduttivo degli individui e quindi condurre alla rapida evoluzione di differenze tra le popolazioni.

Figura 13
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La selezione sessuale negli uccelli può condurre a tassi di speciazione più elevati

Gli uccelli del paradiso (A) e le manucodie (B) sono gruppi strettamente imparentati. Tuttavia, i tassi di speciazione sono assai più alti tra gli uccelli del paradiso (33 specie) che tra le manucodie (5 specie).

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La macroevoluzione e la storia della vita

L’estinzione è un importante fattore evolutivo

Il tasso di speciazione dipende anche dall’abbondanza di nicchie disponibili. Uno dei principali eventi responsabili dell’apertura di nuove nicchie è un’estinzione, più o meno di massa, delle specie esistenti in precedenza.

Oggi sappiamo che le specie viventi si estinguono normalmente, con un ritmo che può variare molto nel corso delle ere geologiche. La maggior parte delle estinzioni è regolarmente diluita su lunghi periodi di tempo, ma lo studio della paleontologia ha rivelato cinque episodi in cui l’estinzione è stata tanto vasta da causare la scomparsa dal 50% a oltre il 90% delle specie esistenti. Il più antico di questi episodi risale a circa 450 milioni di anni fa, mentre il più recente risale a «soli» 65 milioni di anni fa e corrisponde a quell’evento, associato probabilmente alla caduta sulla Terra di un meteorite di grosse dimensioni, che ha causato l’estinzione dei dinosauri (▶figura 14).

Le ragioni per cui i tassi di estinzione possano accelerare in certe epoche non è del tutto chiara. Alcuni studiosi ritengono che tutte le ondate di estinzioni possano essere spiegate con eventi catastrofici, ma è anche possibile che cambiamenti climatici globali, associati agli spostamenti dei continenti, possano avere la loro importanza.

A ognuna delle cinque grandi estinzioni hanno fatto seguito dei periodi nei quali i tassi di speciazione dei gruppi superstiti sono stati molto più elevati, con il risultato che il numero di specie si è nuovamente moltiplicato. È importante sottolineare, però, che le grandi estinzioni non sono affatto gli unici eventi che hanno innescato tale fenomeno.

Figura 14
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Estinzione di massa

I dinosauri, come questo triceratopo, hanno dominato la Terra per milioni di anni fino alla loro scomparsa, probabilmente causata da un evento catastrofico come l’impatto di un grosso meteorite.

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Come avvengono le radiazioni adattative?

La comparsa, a partire da un singolo antenato, di un elevato numero di specie figlie ciascuna delle quali è adattata a occupare una specifica nicchia ecologica prende il nome di radiazione adattativa.

Una radiazione adattativa ha inizio quando tra più popolazioni si evolve una differenza genetica in risposta a differenze negli ambienti da esse occupati o nelle risorse utilizzate. Una tale diversificazione avviene più facilmente in ambienti ricchi di risorse.

Quando una popolazione colonizza un nuovo ambiente, contenente un numero relativamente esiguo di specie, è probabile che incontri una condizione di sottoutilizzo delle risorse. Questo è il motivo per cui spesso le radiazioni adattative si sono verificate in seguito alle estinzioni di massa, ed è anche il motivo per cui si riscontrano spesso negli arcipelaghi: sulle isole mancano molti gruppi di organismi presenti sulla terraferma perciò, quando una nuova specie le colonizza, le opportunità ecologiche presenti possono suscitare rapidi cambiamenti evolutivi. Inoltre, il fatto che l’acqua funzioni da barriera al flusso genico tra un’isola e l’altra consente alle popolazioni delle diverse isole di evolvere adattamenti ai rispettivi ambienti locali.

Radiazioni adattative imponenti si sono verificate nelle isole Hawaii (▶figura 15A). Il complesso delle forme di vita autoctone delle Hawaii comprende 1000 specie di angiosperme, 10 000 specie di insetti, 1000 di lumache e più di 100 specie di uccelli. Invece, prima che l’uomo li introducesse, su queste isole non c’erano anfibi, né rettili terrestri, e soltanto un mammifero placentato (un pipistrello). Si pensa che le 10 000 specie di insetti si siano evolute a partire da circa 400 specie immigrate e che tutti gli uccelli residenti derivino da appena 7 specie immigrate.

Allo stesso modo, come abbiamo visto, nell’arcipelago delle Galápagos (▶figura 15B) una radiazione adattativa ha prodotto le 14 specie di fringuelli di Darwin, molto diverse per dimensione e forma del becco e, di conseguenza, per le fonti di cibo (vedi ▶figura 4).

Figura 15
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Nelle isole si trovano spesso specie autoctone

Negli arcipelaghi, come quello delle isole Hawaii (A) o delle Galápagos (B), il fenomeno delle radiazioni adattative è molto frequente.

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Gli equilibri intermittenti: quando l’evoluzione accelera

Le accelerazioni a cui l’evoluzione pare andare incontro in certi periodi non contrastano necessariamente con la moderna visione del processo, ma sembrano mettere in crisi uno dei presupposti tanto cari a Darwin, quello del gradualismo.

Nel 1972, i paleontologi statunitensi Niles Eldredge e Stephen J. Gould proposero una teoria che basava gran parte della propria originalità proprio sulle variazioni di ritmo del processo evolutivo. L’obiettivo principale della loro teoria, nota come teoria degli equilibri intermittenti, era di fornire una spiegazione convincente della scarsità dei fossili di transizione.

Di fatto la teoria permette di spiegare perché le specie viventi non sembrano affatto cambiare con regolarità e gradualità nel tempo, ma piuttosto appaiono mutare molto più rapidamente al momento della loro origine, per poi assestarsi in una lunga fase di cambiamento relativamente modesto o addirittura nullo (stasi evolutiva).

Spesso la teoria degli equilibri intermittenti viene intesa come alternativa alla visione globale di derivazione darwiniana. La contrapposizione però è solo apparente, come si può comprendere tenendo conto di un particolare importante: quando, negli equilibri intermittenti, si parla di accelerazione del processo evolutivo e si sostiene che la speciazione avviene in termini relativamente brevi, non si deve trascurare l’importanza di quel «relativamente». Se una specie esiste da 50 milioni di anni e si è formata in 50 000 anni, il periodo della sua formazione corrisponde a un millesimo della sua esistenza ed è quindi relativamente molto breve, eppure sufficiente perché si verifichi la speciazione.

È stato fatto osservare, da alcuni critici, che la teoria non è particolarmente innovativa e che si limita a estremizzare alcune idee già proposte da altri. Si tratta di un’osservazione legittima, ma che nulla toglie al fatto che gli equilibri intermittenti si sono dimostrati uno strumento utile ai biologi dell’evoluzione.


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Nuove frontiere per l’evoluzione

Durante il Novecento, la teoria dell’evoluzione si è fatta progressivamente più vasta e più robusta, grazie alle molte conferme che ha ricevuto da campi di studio anche molto differenti tra loro. Tuttavia come ogni teoria viva, ha ancora ampi margini di crescita e di cambiamento.

L’epigenetica

Un campo che in anni recenti ha aperto prospettive nuove e inattese è, per esempio, quello dell’epigenetica. L’epigenetica è lo studio dei cambiamenti dell’espressione genica ereditabili che non sono dovuti a mutazioni nella sequenza del DNA. Si tratta di un ambito di ricerca che risale circa alla metà del secolo scorso, ma che ha assunto grande importanza soltanto negli ultimi vent’anni.

I genetisti molecolari si sono resi conto che il DNA può subire modificazioni come la metilazione di alcune basi o il riarrangiamento strutturale della cromatina, che conducono a modificazioni dell’espressione di alcuni geni, pur senza alcun cambiamento nella sequenza delle basi azotate.

I cambiamenti epigenetici subiti da un organismo possono passare anche alla sua progenie, ma di solito vanno persi entro poche generazioni. In questo modo la loro rilevanza in termini di evoluzione sarebbe trascurabile; in alcuni casi, tuttavia, sono stati osservati fenomeni di ereditabilità delle modificazioni epigenetiche, tanto che i ricercatori parlano di paramutazioni. Questa osservazione, se confermata, potrebbe richiedere una revisione più o meno profonda della sintesi evoluzionistica. Le paramutazioni, per esempio, potrebbero rendere conto di fenomeni di adattamento troppo rapidi per essere spiegati secondo i normali meccanismi evolutivi. Il punto più scottante della questione però è un altro: molte prove sperimentali indicano che i cambiamenti epigenetici avvengono in risposta alle condizioni ambientali. Sembra quindi possibile che, almeno in alcuni casi, l’ambiente possa influenzare direttamente il genoma.

Evolution of Development: evo-devo

Un altro campo che sta dando un forte stimolo alle ricerche nel campo evolutivo è quello della cosiddetta biologia evoluzionistica dello sviluppo, comunemente chiamata evo-devo (dall’inglese Evolution of Development, evoluzione dello sviluppo). Si tratta di una disciplina che compara le diverse modalità secondo cui gli organismi di specie differenti si sviluppano a partire dalle forme embrionali. Come sappiamo, la biologia dell’evoluzione ha dedicato fin dall’inizio grande attenzione all’embriologia: l’evo-devo nasce però in seguito al grande impulso dovuto alla scoperta dei geni specifici coinvolti nel processo di sviluppo e del loro funzionamento, quella che viene definita la «cassetta degli attrezzi genetici per lo sviluppo».

Un esempio del campo di studi dell’evo-devo è quello relativo all’origine e allo sviluppo dell’occhio. Animali di gruppi distanti possiedono occhi con strutture completamente differenti derivanti da meccanismi di sviluppo che non sembrano avere nulla in comune. È il caso, per esempio, degli occhi composti degli insetti e di quelli tipici dei vertebrati (▶figura). Nonostante queste enormi differenze, l’evo-devo ha evidenziato che alcuni geni, come quello chiamato Pax-6, sono coinvolti nello sviluppo di ambedue le strutture; addirittura, la versione del gene presente negli insetti può sostituire quella dei vertebrati. Come è possibile, allora, che Pax-6, dia origine a strutture tanto diverse in un moscerino e in un essere umano? La risposta sta nel cambiamento dei meccanismi di regolazione genica tra le due specie.

In questo modo l’evo-devo non ha solo scovato omologie dove nessuno se le sarebbe aspettate, ma ha anche dato agli evoluzionisti un nuovo punto di vista su uno dei temi più complessi per la biologia dell’evoluzione: l’origine delle novità, vale a dire di strutture completamente innovative. Se, infatti, strutture differenti non richiedono necessariamente nuovi geni, ma possono derivare da fenomeni di regolazione diversi, allora basta incrementare o diminuire l’espressione di uno o pochi geni chiave per dare origine a strutture completamente nuove. Gli studi di alcune mutazioni, come quelle di insetti con un numero anomalo di ali o appendici (zampe, antenne) o con appendici scambiate tra loro fornisce una conferma a questa ipotesi.

Occhi molto diversi

Gli occhi composti di un insetto (A) e quelli umani (B) pur essendo così diversi hanno in comune molti geni che ne regolano lo sviluppo.

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Tendenze evolutive: il filo e l’albero

L’esistenza delle radiazioni adattative è una delle più solide conferme dell’idea di Darwin dell’evoluzione come processo che dà continuamente origine a ramificazioni. Ciò nonostante, molte persone continuano a immaginare l’evoluzione come un processo lineare, in modo simile a quanto proposto oltre duecento anni fa da Lamarck.

In passato anche gli studiosi accettavano, almeno parzialmente, questa visione. Un caso classico è fornito dall’evoluzione della famiglia degli equidi (▶figura). Un tempo si riteneva che le diverse specie antenate del cavallo formassero una sequenza lineare continua: quindi, a partire da Hyracotherium (vissuto circa 50 milioni di anni fa) al moderno cavallo si sarebbe verificato un cambiamento graduale, che avrebbe comportato un aumento delle dimensioni del corpo e della lunghezza delle zampe, una riduzione delle dita da tre a una, e una modifica graduale anche dei denti. Questo tipo di cambiamento lineare e progressivo viene definito anagenesi.

Attualmente, sebbene l’anagenesi non venga esclusa come possibilità, si tende a considerarla più come un caso particolare che come la norma; l’evoluzione degli equidi viene spiegata con la frammentarietà della documentazione fossile e con l’erroneo raggruppamento in un’unica specie fossile di specie differenti, che, nella storia, avrebbero formato piuttosto un albero ramificato. Di conseguenza, in certe epoche, tra il Miocene e il Pliocene (cioè tra 23 e 1,8 milioni di anni fa), sarebbero vissute contemporaneamente tre o quattro specie di equini che non possono essere considerate l’una antenata dell’altra, ma piuttosto «sorelle» o «cugine» tra loro. Questo modello evolutivo viene definito cladogenesi.

Gli antenati dei cavalli
Gli antenati dei cavalliopenIn base ai fossili ritrovati, l’albero genealogico del cavallo moderno è molto più complesso e ramificato di quanto si pensasse (vedi la linea evolutiva evidenziata).

 


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