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Lezione

Vita e opere di Aristotele

1. Dall’Accademia al Liceo

A differenza di Platone nella Settima lettera, Aristotele non ci ha lasciato indicazioni personali della propria biografia; le notizie su di lui provengono da Diogene Laerzio, Dionigi di Alicarnasso e da filosofi neoplatonici e siriaco-arabi del V-VII sec. d.C. Egli nasce nel 384 a.C. a Stagira, una città ionica sotto il regno di Macedonia situata nella penisola Calcidica, non distante dall’odierna Salonicco. La sua famiglia è strettamente legata alla corte del re macedone Aminta: il padre, Nicomaco, è medico personale del re. Tuttavia, in seguito alla morte precoce del padre, Aristotele fu presto sottratto alle influenze deleterie della corte per essere educato nella sua città natale e ad Atarneo, sulle coste occidentali dell’Asia minore, sotto la tutela di un parente più anziano di nome Prosseno.

A 17 anni – probabilmente al fine di completare la sua cultura con studi di ordine superiore – si recò ad Atene alla scuola di Platone, dover rimase per un ventennio, fino alla morte del maestro. Il primo ingresso di Aristotele nell’Accademia coincide col secondo viaggio di Platone in Sicilia, durante il quale la direzione della scuola rimase affidata a Eudosso di Cnido, il grande astronomo della cui profonda preparazione scientifica Aristotele dovette risentire prima ancora di accostarsi all’insegnamento diretto di Platone.

Due sono dunque gli elementi che, in questa prima fase, condizionano la vita di Aristotele e la sua impostazione scientifico-culturale: a) la formazione presso la corte macedone, tendenzialmente ostile a una struttura politica “classica” come quella ateniese, caratterizzata da un confronto interno tra le parti politiche e sociali ma gelosa delle proprie tradizioni e indisponibile a una contaminazione con forme culturali esterne (la monarchia macedone mostrava infatti aspirazioni espansionistiche e cosmopolitiche che contribui­ranno a decretare la fine della pólis greca); b) il contatto con le scienze naturali e le tecniche di conquista del sapere scientifico, contrassegnate da ordine metodico, rigore logico e argomentativo, attenzione all’esperienza e all’osservazione dei fatti.

Per quanto riguarda i rapporti con Platone, è certo che tra i due – nonostante le divergenze dottrinali che ben presto emersero – vi fosse un grande rispetto reciproco, e sono da ritenersi infondate le notizie secondo cui le critiche mosse da Aristotele avrebbero condotto Platone a quella svolta del suo pensiero che coincide col simbolico “parricidio” di Parmenide e con l’assunzione di un modello intellettuale più articolato e attento all’esperienza. È invece evidente l’esatto opposto, cioè la presenza di una “fase platonica” nella formazione filosofica di Aristotele: essa coincide con l’assunzione da parte di quest’ultimo del metodo dialogico socratico e con la sua partecipazione alle discussioni all’interno dell’Accademia, la cui struttura educativa favoriva, del resto, il libero confronto e l’adozione di atteggiamenti critici e confutatori.

Nel 360, pochi anni dopo l’ingresso di Aristotele nell’Accademia, Filippo II, figlio di Aminta, diventò re di Macedonia, segnando una svolta decisiva per la storia greca e per gli stessi destini di Aristotele. Appena salito al trono, Filippo riorganizzò l’esercito e lo Stato dando il via a una politica espansionistica che culminò nel 338 con la guerra e la vittoria su Atene (battaglia di Cheronea). Questo evento indica la fine dell’e­ge­monia ateniese e il progressivo declino del modello classico della città-stato, accentuato dall’avvento al trono macedone, nel 336, del giovane Alessandro, figlio di Filippo. La breve stagione politico-militare e culturale di Alessandro Magno (336-323 a.C.) determinerà per sempre le sorti dell’intera storia antica, sia occidentale sia orientale. Infatti, le sue conquiste e le numerose spedizioni non solo produrranno il definitivo assoggettamento della Grecia al regno macedone, ma soprattutto favoriranno l’universalizzazione della stessa cultura greca che giungerà a toccare le rive del fiume Indo in Pakistan 1.

L’ascesa della potenza macedone influì direttamente sulle scelte di Aristotele. Nel 347, un anno prima della morte di Platone, non approvando la direzione della scuola lasciata da quest’ultimo al nipote Speusippo e osteggiato all’interno della stessa a causa dei suoi legami con la monarchia macedone, Aristotele lasciò l’Accademia e si stabilì ad Asso, città sulla costa occidentale dell’Asia Minore. Ormai intellettualmente maturo, circondato da una solida fama, egli poté qui sviluppare i suoi interessi naturalistici fino a quando, dopo essersi sposato, nel 342 venne chiamato da Filippo alla corte macedone con l’incarico di istruire il figlio Alessandro, allora quattordicenne. Tuttavia, già nel 340 Alessandro dovette sostituire il padre partito per una spedizione militare; successivamente i rapporti ripresero, ma senza l’aspetto di un vero e proprio discepolato. Secondo il grande storico del pensiero greco Theodor Gomperz, l’allontanamento tra i due fu dovuto alla divergenza di mentalità e prospettive politiche: mentre Alessandro, imbevuto di spirito orientale, concepiva l’idea di un dominio universale senza barriere interne, Aristotele rimaneva ancora legato allo spirito nazionale della pólis e alle sue tradizioni.

Nel 335 Aristotele ritornò ad Atene e, vista la distanza ormai incolmabile con l’impostazione filosofica dell’Accademia, affidata ora alla direzione di Senocrate, fondò una sua scuola, il Liceo o Perípatos, contrassegnato da una vasta organizzazione scientifica in cui, accanto alle discipline tipiche dell’Acca­demia come gli studi dialettici e matematici, egli affiancò indagini volte allo studio della natura, tra le quali l’astronomia, la biologia, la botanica e la medicina 2.

Con la morte di Alessandro Magno nel 323 la fortuna di Aristotele cambiò improvvisamente. Ad Atene presero il sopravvento fazioni politiche antimacedoni e, in seguito all’accusa di empietà (asébeia) per aver favorito ideali di restaurazione monarchica, egli fu costretto a rifugiarsi in Calcide, la principale città dell’isola di Eubea, dove morì nel 322 all’età di 62 anni.

2.Aristotele il “lettore”

«Secondo un antico aneddoto, Aristotele fu soprannominato “la mente”, oppure “la chiara intelligenza” della scuola. Sembra più degno di fiducia un altro aneddoto: Aristotele avrebbe avuto nome “il lettore”. La posizione di un anagnostes era nell’Accademia quella di un servo; si trattava di uno schiavo particolarmente addestrato a questo suo compito. Un libro si considerava “pubblicato” quando era stato letto da un anagnostes in pubblico. La maggior parte dei giovani Accademici “ascoltava” i libri; Aristotele, per questo aspetto, si differenziò dalla maggioranza; egli leggeva i libri come noi [...]. La storia è preziosa, perché illumina una differenza sostanziale fra Platone e Aristotele. C’era verosimilmente una nota di discredito in quel nomignolo; Platone si esprime sovente con disprezzo sui doxosofi, coloro che si nutrono “del cibo delle opinioni”. Era invece un tratto peculiare di Aristotele il confronto così assiduo con le idee degli altri pensatori. Per tutta la vita egli fu dotto e assiduo lettore; ad ogni passo delle sue opere ci imbattiamo nelle tracce di quelle sue sconfinate letture. Era benestante, e poté quindi procurarsi una vasta biblioteca; dopo la morte di Speusippo acquistò anche la biblioteca di costui per tre talenti, una somma considerevole per un privato». I. Düring, Aristotele (1966), Mursia, Milano, 1976, pp. 15-16.


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2. Il problema degli scritti

In via preliminare, il problema degli scritti aristotelici si presenta in modo esattamente opposto rispetto a quello degli scritti platonici. Se questi ultimi, in quanto opere essoteriche o “rivolte al pubblico”, ci sono stati tramandati per intero e nella loro totalità – mentre vi è incertezza riguardo alle dottrine non scritte che, peraltro, costituiscono un corpus esoterico completamente orale –, degli scritti aristotelici ci sono invece pervenuti solo quelli esoterici o acroamatici, cioè destinati all’insegnamento nella scuola e riservati ai discepoli, mentre solo pochi frammenti ci restano degli scritti essoterici, cioè delle opere letterariamente più impegnative di Aristotele, destinate al grande pubblico e composte per gran parte da dialoghi di cui era egli stesso l’interlocutore principale. Inoltre, scarsi frammenti rimangono di un’altra considerevole parte dell’opera aristotelica, ossia quella costituita dalle grandi compilazioni enciclopediche riguardanti tutti i campi dello scibile e redatte dalla scuola sotto la sua direzione, tra cui una Costituzione politica degli ateniesi, residuo di una vastissima raccolta delle costituzioni di tutta la Grecia.

Peraltro, questa incompletezza riguarda gli stessi scritti esoterici. A quanto pare, infatti, essi componevano originariamente una raccolta di non meno di 1000 libri, mentre a noi ne rimangono circa 162, compresi gli apocrifi. Per di più, le opere che possediamo, benché significative dal punto di vista filosofico, non sono certo le più estese dal punto di vista della cultura scientifica generale, né si può dire corrispondano alla visione che della produzione aristotelica avevano gli antichi, dato che – per esempio – la Metafisica non figura affatto nei cataloghi del periodo alessandrino.

Un’altra questione non meno rilevante riguarda – come abbiamo già accennato – il fatto che gli scritti esoterici, cioè gli unici pervenutici con una relativa integrità, avessero una funzione didattica e servissero come testo di discussione per le lezioni. Essi devono perciò essere considerati come insiemi di appunti o “compilazioni” in cui spesso la mano di Aristotele si confonde con quella dei suoi allievi: solo le opere più sistematiche e impegnative possono essere ritenute come esclusive del maestro 3.

A questa serie di incertezze filologiche, riguardanti l’incompletezza, la frammentarietà e la parzialità testuale nell’ambito dell’intero corpus originario, nonché l’ambiguità nell’attribuzione degli autori, si deve infine aggiungere la storia romanzesca, leggendaria e per certi aspetti rocambolesca che riguarda la sorte degli scritti dopo la morte di Aristotele. Egli lasciò infatti le sue opere esoteriche al discepolo Teofrasto e, dopo una serie di vicissitudini che per oltre un secolo ne determinarono l’oblio, nel II sec. a.C. esse furono riscattate da un ricco bibliofilo e riportate ad Atene. Da qui Silla le trasferì a Roma nell’85 a.C. e nel 50 a.C. Andronico di Rodi iniziò la raccolta e la cura della prima edizione definitiva delle opere aristoteliche. La perdita dei libri essoterici dev’essere invece in gran parte imputata alla distruzione degli esemplari contenuti nella Biblioteca di Alessandria durante i ripetuti incendi che la colpirono dal I al III sec. d.C. 4.

Degli scritti essoterici ci rimangono alcuni titoli di ispirazione platonica, come per esempio un Convito, un Menesseno, uno scritto Sul bene, e un dialogo Sulla giustizia. Più importanti, perché testimoniano di un primo distacco dal platonismo, sono l’Eudemo sull’immortalità dell’anima, il Protrettico, una specie di “esortazione alla filosofia”, e infine lo scritto Sulla filosofia, composto in tre libri presumibilmente dopo la morte di Platone e riguardante la storia del termine “sapienza” (sofia) in relazione alla critica alla dottrina delle idee, a favore di una nuova concezione teologica basata sulla concezione dei gradi dell’essere fino al grado supremo di Dio come assoluta perfezione. Gli scritti esoterici si possono suddividere – tematicamente e cronologicamente all’interno di ogni gruppo tematico – nel seguente modo.

  1. Scritti di logica, raccolti in epoca bizantina in un corpus chiamato Organon (“strumento”) e comprendenti: Topici (sul ragionamento dialettico, sull’arte della confutazione fondata su premesse probabili, e sull’eristica), Categorie (sui predicati primi), Elenchi sofistici (sulla dimostrazione e la confutazione dei ragionamenti sofistici), Sull’interpretazione (intorno alle proposizioni e al giudizio), Analitici primi (sulla struttura del ragionamento e dei sillogismi deduttivi), Analitici secondi (sul procedimento induttivo, la definizione e la divisione dei principi).
  2. Scritti di fisica, storia naturale e matematica: Fisica, Sul Cielo, Sulla generazione e corruzione, Meteorologica, Storia degli animali, Sulle parti, generazione, trasmigrazione, movimento degli animali. La “fisica” tratta per Aristotele della natura dei corpi materiali in relazione al movimento, allo spazio e al tempo, in quanto inerenti al divenire all’interno di un universo finito.
  3. Scritti di psicologia: Sull’anima, Parva naturalia. La psicologia, cioè la dottrina dell’anima, si affianca alla fisica in quanto l’anima rappresenta la forma del corpo materiale e organico che ha la vita in potenza.
  4. Scritti di metafisica: Metafisica, in 14 libri. I più importanti sono i libri I-III e XIII-XIV (metafisica originaria), XII (metafisica intermedia o di transizione) e VII-IX (metafisica più matura). La metafisica è per Aristotele la “filosofia prima” che tratta dell’essere in quanto tale, cioè dei suoi principi e aspetti fondamentali. Anche se dal punto di vista logico e tematico essa manifesta una sua unità, non si tratta né di un’opera letterariamente unica, né gli scritti che la compongono furono in tal modo riuniti e chiamati da Aristotele con tale termine, il quale anzi si suppone coniato a tale scopo dai suoi allievi e poi utilizzato dallo stesso Andronico di Rodi nel I sec. a.C. La Metafisica contiene essenzialmente l’ontologia aristotelica e il suo stesso concetto di filosofia, esaminati secondo diverse prospettive: storica (rassegna e critica delle dottrine dei predecessori), epistemologica (i principi della scienza), logica (principio di non-contraddizione), terminologica (definizione dell’ambito della filosofia rispetto alle altre scienze), statica (teoria della sostanza), dinamica (teoria della potenza e dell’atto congiunta alla spiegazione causale), relazionale (rapporto tra unità e molteplicità), teologica (Dio come motore immobile), immanentistica (critica alla dottrina delle idee).
  5. Scritti di etica: Etica eudemia, Etica nicomachea e Grande morale (probabilmente opera di un aristotelico tardo). Aristotele presenta qui il “secondo genere” di razionalità che si affianca alla ragione teoretica, ovvero la ragione o filosofia pratica, fondata sul concetto di saggezza e virtù etica come “giusto mezzo”.
  6. Scritti di politica: Politica e Costituzione degli ateniesi (frammento). Vengono qui esposte e discusse la teoria dello Stato e le fondamentali forme di governo.
  7. Scritti di retorica e di estetica: Retorica, Poetica. Si tratta di scritti in cui assume rilievo la terza forma di sapere (accanto alle scienze teoretiche e pratiche), cioè il sapere poietico che riguarda l’arte, riscattata così dalla svalutazione che ne aveva fatto Platone. A tal fine, vengono evidenziate le nozioni di “verosimile”, di “metafora” e di “espressione discorsiva”, congiunte alla rivalutazione dell’arte tragica 5.

5.I periodi della vita di Aristotele in relazione ai principali scritti e ai caratteri della sua filosofia

Periodi 1. Periodo dell’Accademia in Atene (367-347) 2. Periodo dei viaggi: Asso, Lesbo, Macedonia (347-334) 3. Secondo periodo ateniese. La fuga da Atene e la morte in Calcide (334-322)
Scritti principali
  • Categorie, Sull’interpretazione, Topici;
  • dialogo Sulla filosofia, relazione Sul bene, dialogo Eudemo, Protrettico, dialogo Sulla Giustizia;
  • Poetica, Retorica, Grande mo­rale;
  • Fisica I-VII, Sul cielo, Sulla generazione e corruzione, Meteorologica IV;
  • Metafisica, libri I, III, X, XIII, XIV.
  • Etica eudemia.
  • Storia degli animali;
  • Sulle parti degli animali, II-IV;
  • Sulla trasmigrazione degli animali;
  • Prima stesura di Sull’anima e Parva naturalia;
  • Politica, I, VII-VIII.
  • Rielaborazione della Retorica;
  • Politica, II-VI;
  • Metafisica: libri IV, VI, VII, VIII, IX;
  • Fisica, VIII;
  • Sulle parti degli animali, I;
  • Sulla generazione degli ani­mali;
  • Sul movimento degli animali;
  • Stesura definitiva di Sull’anima e Parva naturalia;
  • Etica nicomachea.
Caratteri dell’indaginefilosofica Il ventennio filosofico iniziale è in realtà quello più importante. Nella prima parte di questo periodo (367-355) Aristotele lavora intensamente: legge, raccoglie materiali, è polemico e critico. Mostra un’erudizione sorprendente: conosce in dettaglio quasi tutte le opere dei predecessori che trattano di filosofia, letteratura e scienza.Nella seconda parte del ventennio (355-347) pone le basi per la sua scienza della natura, per l’indagine etica e politica. Le opere traboccano di vitalità e di fiducia in sé stesso: si tratta del periodo culminante della sua vita. Inizia la sua collaborazione con Teofrasto, destinata a durare tutta la vita.L’ambiente nuovo e i numerosi viaggi gli permettono di accogliere nuovi stimoli e di intrattenere numerose relazioni.Dominano le grandi raccolte di materiali (illustrazioni, tradizioni, scritti) e si sviluppano le osservazioni empiriche. Quest’ultimo periodo è detto anche “fase psicologica”.Si modifica lo stile e si attenua il tono polemico, più cauto e compassato. I contenuti sono ricchi di sfumature e molto articolati.Si manifesta in massimo grado la vena teorica e speculativa che fa di Aristotele il prototipo del professore dotto ed erudito.
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La pratica della lettura

4. La personalità e la dottrina di Aristotele in lotta contro la tradizione

Il grande studioso svedese Ingemar Düring, una delle massime autorità nel campo degli studi aristotelici, nel suo volume del 1966 dal titolo Aristotele critica i numerosi luoghi comuni addensatisi intorno alla figura dello Stagirita, tra cui quello secondo il quale, mentre Platone è il filosofo “incompreso”, in particolare dal ceto politico, Aristotele è invece il sapiente di successo grazie alla sistematicità e all’evidenza delle sue dottrine. La situazione è invece esattamente opposta: Aristotele deve fronteggiare una tradizione a lui contraria quando egli è ancora in vita. Tutto questo, d’altra parte, non sembra toccare la costruzione del sistema aristotelico, che si rivela lineare, concettuale e logicamente rigorosa grazie all’uso di un linguaggio scientifico e argomentativo.

«Le testimonianze sulla personalità e sul carattere di Aristotele derivano quasi tutte dalla tradizione a lui avversa: è la situazione storica che spiega come questa tradizione sia così ricca e multiforme. Quando Platone morì, ormai da quarant’anni guidava la sua scuola. Era un uomo celebre, e già al momento della morte veniva considerato una figura storica. L’Accademia era un’istituzione ben salda, e i successori e gli scolari di Platone fecero del loro meglio per continuare la sua opera; essi si preoccuparono anche di raccogliere le sue opere e di metterle in commercio. Abbiamo buoni motivi per credere che ancor oggi noi possediamo tutte le opere che Platone aveva scritto nel corso della sua vita; le citazioni platoniche degli autori antichi, nella misura in cui sono credibili, possono facilmente essere rintracciate nel testo di Platone che oggi possediamo. I numerosi frammenti papiracei e le citazioni provano inoltre quanto rapidamente e quanto largamente si sia diffusa la conoscenza delle sue opere. La sua memoria fu celebrata con la stesura di biografie e con esposizioni della sua dottrina: se anche aveva dei nemici, essi erano tuttavia così insignificanti che la loro voce non trovò ascolto. Una tradizione antiplatonica si formò al più presto un secolo circa dopo la sua morte, ma a quell’epoca questa tradizione trovava un valido correttivo nelle sue opere, che erano accessibili nelle biblioteche pubbliche.

Del tutto diverso è il caso di Aristotele; ad Atene egli era sempre stato considerato uno straniero; la casa di suo padre si trovava a Stagira, quella di sua madre a Calcide, sua moglie veniva dall’Asia minore; non era il capo di una scuola, era soltanto uno dei molti professori stranieri dell’Accademia. Aveva appena conseguito una certa posizione come professore quando si vide costretto, a causa dei suoi legami con la Macedonia, a fuggire in Asia minore. Quando fece ritorno, circa tredici anni dopo, arrivò come amico intimo di Antipatro, il reggente della Macedonia. Si facevano molti pettegolezzi sui suoi rapporti con Ermia; insomma, aveva pochi amici e molti nemici. La molla di questa avversione era per alcuni l’odio politico: Teopompo e Teocrito di Chio, per esempio, odiavano Ermia a motivo della sua intromissione negli affari di Chio e riversarono quest’odio anche su Aristotele; Democare e Timeo trasmisero ai posteri questa calunnia ispirata da un motivo politico.

Altri invece erano ostili ad Aristotele perché avversavano il suo insegnamento e la sua filosofia. Fin da giovane Aristotele si era trovato in dissenso con Cefisodoro, un discepolo di Isocrate, sui principi della retorica; Isocrate e i suoi scolari avevano grande influenza in Atene, e la continua ostilità tra Aristotele e la scuola isocratea ha lasciato più di una traccia nella tradizione biografica. Aristotele inoltre aveva rotto anche con i suoi compagni dell’Accademia: durante la sua permanenza all’Accademia aveva criticato talvolta senza riguardi le teorie di Platone e dei suoi colleghi Eraclide, Speusippo e Senocrate. Anche con la scuola megarica si trovava in contrasto per questioni dottrinali; Eubulide, un membro della scuola, gli rispose con oltraggi personali. Gli Eristi sono rappresentati nella tradizione avversa di Alessino, i Pitagorici in quella di Licone; ma i suoi nemici più esasperati si trovano fra gli Epicurei […]. La campagna denigratoria condotta dagli Epicurei ha lasciato tracce profonde, e sarà destinata a rivivere nel Rinascimento per opera di Gassendi e Patrizzi.

La tradizione antiaristotelica era dunque già affermata e diffusa quando Aristotele era ancora vivo, e non si può dire che lui stesso fosse esente da colpa; la sua origine e i suoi legami di parentela spiegano certo i suoi rapporti con la Macedonia, ma si comprende molto bene che l’abbiano reso sospetto agli occhi degli Ateniesi di sentimenti nazionalistici. Al tempo della sua giovinezza, poi, si mostrava nelle sue lezioni polemico e conscio del proprio valore, e talora non privo di arroganza. Dietro le chiacchiere sul suo atteggiamento di opposizione nell’Accademia si trova perciò probabilmente anche un granello di verità; è vero che la polemica di Aristotele non ha mai un tono personale, bensì si appunta sempre solo sulle teorie dell’avversario in questione; però, quando un giovane – mosso, a quanto ritiene ed afferma lui stesso, dalla verità in persona – nei cortili dell’Accademia rinfaccia ai suoi colleghi più anziani che le loro teorie sono stolte, ingenue o irragionevoli, assurdità o vuote chiacchiere, possiamo poi meravigliarci se coloro che sono oggetto di questa critica se la prendono a male, e cercano di rifarsi in qualche modo?

La prima reazione contro la tradizione ostile ad Aristotele si trova in Filocoro, uno storico attendibile, contemporaneo di Teofrasto. Nella sua opera storica costui tratta degli avvenimenti del 306, quando Sofocle, con l’appoggio dell’oratore Democare, fece votare dal popolo un decreto per cui tutti i filosofi di professione dovettero lasciare Atene. Il fatto offrì a Filocoro l’occasione per uno sguardo retrospettivo sui rapporti fra Accademia e Peripato: a questa fonte risalgono le notizie cronologiche sulla vita di Aristotele che noi possediamo in tre redazioni. Filocoro confuta anche alcune delle accuse mosse ad Aristotele: non è vero che Aristotele avesse cominciato soltanto tardi la sua attività di professore; non si era staccato dall’Accademia e non aveva fondato una scuola propria, che potesse rivaleggiare con l’Accademia. Va da sé il valore di queste antiche affermazioni, che confutano le odiose accuse mosse ad Aristotele.

Chi si è occupato a lungo delle opere di Aristotele ha talvolta anche l’impressione di vedervi rispecchiata la sua personalità. È impossibile non riconoscervi la sua forte coscienza morale che, del resto, non lascia traccia solo nelle opere di etica e di politica. Egli rileva spesso il valore della probità scientifica e il suo fondamento nel carattere dello scienziato: “la natura deve averlo dotato in modo tale, che egli risponda a ciò che gli viene presentato con un corretto amore e con una giusta avversione; solo in questo caso può decidere correttamente che cosa è il meglio”. Così caratterizza il suo amico Eudosso: “La sua dottrina che il piacere è il valore supremo incontrò maggior credito grazie alla purezza del suo carattere che per se stessa. Egli era cioè un uomo di non comune temperanza, e perciò si aveva l’impressione che non avanzasse la sua teoria come amico del piacere, bensì che fossero le cose a essere in realtà così”. Da questo passo trapela anche uno spiraglio di luce sulla bigotteria scientifica dell’Accademia. [...]

Ora, negli scritti migliori, quella di Aristotele è una limpida prosa scientifica che, malgrado la sua schietta aderenza all’oggetto, serba un accento personale quasi in ogni frase. Ne ammiriamo la concisione e l’acutezza dell’espressione spesso intraducibile, la ricca varietà degli strumenti linguistici, con cui esprime in una forma adeguata le sue proposizioni e le sue asserzioni, e comprendiamo allora come si apprezzasse la forza di persuasione insita nella sua esposizione. Non è eccessivo affermare che Aristotele è il creatore della prosa e della forma espositiva scientifica: lo si vede chiaramente quando si proceda a un confronto con le opere migliori del Corpus Hippocraticum; quella secchezza di cui tanto si parla è senza dubbio consapevolmente voluta, e Aristotele era del parere che un linguaggio fiorito non convenga all’argomentazione scientifica; per lo scienziato che ricerca la verità è più adatta la fredda oggettività.

Egli evita perciò le parole poetiche e rare; desume la sua terminologia per gran parte dal linguaggio quotidiano: “dobbiamo cercare, quando manchino i termini, di crearli noi stessi per riuscire chiari e perché il lettore possa seguire facilmente”. W. Wieland ha mostrato molto bene come egli sapesse attenersi all’espressione più naturale anche nelle argomentazioni più astratte. Aristotele ha sfruttato fino all’estremo la possibilità, tipica della lingua greca, di presentare un universale come qualcosa di determinato ricorrendo all’articolo determinativo; l’espressione “in quanto”, raramente usata da Platone, fu da lui sviluppata fino a diventare uno strumento che gli dava la possibilità di isolare un aspetto di una parola; quanto grande sia l’importanza di questa struttura linguistica è dimostrato, per esempio, dalla definizione del concetto di kinesis. Il Wieland dice giustamente che la scoperta aristotelica dell’“in quanto” costituisce de facto una scoperta del concetto».

I. Düring, cit., pp. 24-29.

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