Aristotele
La logica come scienza: dalle idee alle classi. Le “categorie” tra logica e realtà
1. Il linguaggio e il pensiero logico
Nelle lezioni precedenti, abbiamo sottolineato come Aristotele tenda a un’organizzazione unitaria del sapere. Utilizzando una metafora biologica, in corrispondenza con l’impostazione naturalistica della sua filosofia, la conoscenza in senso aristotelico è raffigurabile come un grande organismo vivente le cui articolazioni sono le scienze particolari che fanno capo a un organo centrale, la filosofia prima o metafisica, il cui oggetto è l’essere in generale. Quest’organismo è tenuto insieme da un filo conduttore comune che possiamo immaginare come il suo sistema nervoso (non in quanto materia di cui è composto, ma nelle sue funzioni di informazione): esso s’incarica di mantenere la stessa forma pur nella diversità dei contenuti, cioè di garantire un procedimento comune a tutte le scienze.
Un simile filo conduttore comune deve assicurare, in ogni ambito, la correttezza del ragionamento e la capacità di offrire discorsi probanti e dimostrativi, ossia le condizioni formali alle quali bisogna attenersi per conseguire una conoscenza. Come i nervi non creano il rosso che vediamo, ma in base a un codice trasmettono al cervello lo stimolo visivo sotto forma di sensazione, così tale elemento comune non fa parte di quella razionalità che ci dice com’è fatto il mondo, ma ne è in un certo senso la premessa, in quanto condizione necessaria – ma non sufficiente – che rende possibile la scoperta della verità. Questo è, per Aristotele, il concetto di logica o “analitica”: una scienza preliminare che svolge la funzione di “strumento” (órganon) rispetto a tutte le altre scienze 1.
Tuttavia, né il termine “logica”, né la definizione di órganon per indicare la forma della logica aristotelica – per quanto corrispondenti al suo “spirito” – sono propri di Aristotele. Il primo risale all’epoca di Cicerone (I sec. a.C.) ed è probabilmente di coniazione stoica; il secondo fu introdotto da Alessandro di Afrodisia (III sec. d.C.), e solo a partire dal VI sec. d.C. fu applicato come titolo al complesso degli scritti aristotelici concernenti la logica. Aristotele chiamava infatti quest’ultima “analitica”, che significa metodo di risoluzione di una conclusione negli elementi o premesse da cui essa deriva, le quali, pertanto, la “fondano” ovvero la “giustificano”. Per comprendere il significato di questo metodo risolutivo, bisogna chiarire la sua struttura e la sua origine.
Anzitutto, la logica aristotelica manifesta sia elementi comuni a gran parte della logica antica precedente, sia aspetti innovativi specifici. Gli elementi comuni sono elencabili nel modo seguente. a) Il carattere ontologico della logica: un ragionamento corretto e dimostrativo corrisponde alla realtà, ci dice come sono fatte le cose. b) I principi logici non sono semplici regole d’inferenza, cioè pure forme di connessione, ma proposizioni che, come tali, devono risultare vere o false. Quando una proposizione è vera, esiste ciò che viene asserito. c) Di conseguenza, i principi logici sono leggi di natura e regole del pensiero, ricavate per astrazione dal linguaggio ordinario. Grammatica, logica e psicologia si corrispondono, poiché non vi è distinzione tra l’enunciato, cioè la lingua particolare in cui viene espresso un significato (per esempio, il greco), e la proposizione, cioè il linguaggio o la struttura semantica significativa in cui qualcosa viene espresso (per esempio, il linguaggio verbale o il linguaggio simbolico come la matematica).
Accanto a questi elementi comuni, Aristotele presenta la logica con caratteri del tutto peculiari, tali da renderla, per la prima volta, una scienza compiuta e autonoma attraverso una trattazione sistematica e astratta. I suoi contributi innovativi sono fondamentalmente due, il secondo conseguenza del primo.
- Egli intende la scienza logica insieme come uno sviluppo e una critica della dottrina platonica delle idee. Lo sviluppo consiste nel rendere formalmente intelligibile – contro il monismo di Parmenide e l’incerto formalismo “qualitativo” di Platone – la predicazione di non-identità, ridefinendo in senso logico-estensionale la relazione di partecipazione; la critica consiste invece nell’evidenziare che tale riformulazione non è possibile se non concependo le idee non più come “entità”, ma solo come generi e specie.
- A questa linea di sviluppo si lega il chiarimento decisivo che Aristotele apporta riguardo alla tematica della logica, cioè l’approfondimento della forma e delle relazioni, sia sintattiche sia semantiche, che s’istituiscono all’interno del linguaggio ordinario 2.
Vi è così nell’órganon una prima logica, in cui non compaiono formulazioni sillogistiche né variabili; a essa succede una seconda logica, di transizione, caratterizzata dagli inizi della sillogistica e dell’uso di variabili, e infine una terza logica che contiene una sillogistica modale e una metalogica del sillogismo. Da questa articolazione otteniamo una compagine che si sviluppa dallo stadio più semplice o “atomico” (le parti o elementi del linguaggio) ai livelli più complessi, che chiameremo rispettivamente “molecolare” (i giudizi) e “molare” (i ragionamenti e le inferenze). Dal punto di vista della trattazione tematica, la logica aristotelica può quindi essere ordinata nel modo seguente (tra parentesi, vengono indicate le opere in cui tale trattazione ha luogo): a) i termini, le parole e i concetti, sia come “soggetti” della proposizione, sia come “predicati” (le Categorie); b) l’enunciato, la proposizione e il giudizio (il trattato Sull’interpretazione); c) la struttura generale del ragionamento sillogistico (gli Analitici primi); d) il sillogismo apodittico, scientifico o dimostrativo (gli Analitici secondi); e) il sillogismo dialettico e ipotetico (i Topici); f) il sillogismo sofistico o fallace (gli Elenchi sofistici) 3.
Questa successione può essere rappresentata attraverso una terminologia psicologica e mentalistica – per cui il discorso del quale si occupa la logica è composto da concetti (semplici rappresentazioni di cose o situazioni), da giudizi (concetti dotati di posizione di realtà, cioè come attestanti l’esistenza o la non esistenza di qualcosa in un contesto) e da ragionamenti (concatenazione di giudizi, alcuni dei quali fungono da presupposti e altri da conseguenze) –; oppure possiamo renderla mediante una terminologia più strettamente linguistica, secondo cui un discorso è logico quando si articola in argomenti (anziché ragionamenti); l’argomento a sua volta è in funzione delle proposizioni (anziché dei giudizi) e queste ultime, infine, sono in funzione del significato (anziché delle cose o situazioni) dei termini o espressioni (anziché dei concetti) che ne costituiscono l’enunciato, cioè la forma espressiva di un linguaggio verbale.
In conclusione, per Aristotele le facoltà mentali sono invocate per spiegare la funzione del linguaggio e la mente stessa è concepita come un sistema segnico: «I segni fonetici sono simboli delle affezioni psichiche, così come queste lo sono delle cose» 4.