Aristotele
Il mondo estetico, etico e politico
1. I fondamenti logici del sapere pratico
Nella suddivisione delle scienze, Aristotele distingue tra l’ambito della pura contemplazione o “teoretico” e l’ambito dell’azione o, in senso lato, “pratico”. Quest’ultimo si differenzia a sua volta in una prassi in senso stretto, che ha come oggetto la natura e la forma dell’agire in quanto fine in sé, e una prassi volta invece al fare (poietica), cioè alla produzione di oggetti. Mentre la scienza come conoscenza necessaria riguarda solo l’ambito teoretico e si fonda sulla logica della dimostrazione apodittica, esiste anche una logica che sorregge il sapere che abbiamo chiamato in senso lato “pratico”, il quale non richiede una conoscenza rigorosa e necessaria, ma soltanto probabile e approssimativa, nella misura in cui si fonda su opinioni, tradizioni e valori assunti in base all’esperienza, alle convenzioni, agli accordi e alle credenze degli uomini 1. Il fatto importante è che, in primo luogo, questo sapere – benché inferiore per contenuto di verità rispetto all’ambito teoretico – mostra in ogni caso una sua struttura definita che si può in qualche modo “formalizzare” e, in secondo luogo, che questa formalizzazione è comune a tutto l’ambito pratico, in quanto unisce il sapere pratico in senso stretto (etico-politico) e la prassi, più ampia, che riguarda il sapere poietico (estetica, poetica e retorica).
La forma logica del sapere non-apodittico viene discussa da Aristotele in due opere dell’Organon: i Topici e gli Elenchi sofistici. Notiamo subito che questa logica, benché manchi di rigore scientifico nei suoi contenuti e nelle sue conclusioni (semantica), non manca affatto di rigore nella sua struttura formale (sintassi); essa infatti – come abbiamo visto (cfr. lezione 31) – si collega ai sillogismi di seconda e terza figura, dal momento che solo i sillogismi di prima figura conducono a prove o dimostrazioni autentiche.
La semantica che ne risulta è dunque, in generale, solo probabile o “analogica”, e si avvale di sillogismi dialettici nei quali l’inferenza è corretta, ma si ignora se le premesse siano vere. Tali sillogismi fanno dunque uso di “topici” o luoghi notevoli, cioè “quadri ideali” in cui rientrano gli argomenti di una discussione fondata su opinioni 2; le loro premesse vanno di conseguenza espresse al condizionale («se..., allora...»), per indicare che la conclusione non può essere “staccata” da esse. Ora, quando si entra nel campo del possibile, può anche accadere che ciò che sembra tale in realtà non sia, e che perciò si ragioni all’interno di un’apparenza per la quale manca un’istanza certa di controllo. Ne segue che un “luogo notevole” può essere utilizzato in un modo solo apparentemente corretto, nel quale non solo la semantica, ma anche la sintassi è dubbia e, talvolta, a un’analisi più approfondita, essa si rivela del tutto errata.
Abbiamo così: i sillogismi eristici, in cui le premesse sembrano – ma in realtà non sono – fondate sull’opinione; i paralogismi, cioè ragionamenti errati basati su fallacie argomentative; infine i sillogismi retorici, che presentano “entimemi”, cioè strutture di argomentazione in cui si ignora non solo se la conclusione sia vera, ma anche se l’inferenza sia corretta.
Quest’ultima forma argomentativa collega la logica topico-dialettica all’estetica, che per Aristotele si articola nella poetica, o teoria dell’arte, e nella retorica, o teoria del discorso persuasivo. Infatti, l’arte e la retorica hanno la capacità di trasfigurare l’evento particolare sotto l’aspetto della possibilità o verosimiglianza, sganciandolo in tal modo dalla realtà empirica e facendogli assumere un significato “universale”.
Evidentemente, non si tratta di un universale logico, ma di un universale che sembra tale ed è perciò “simile al vero”; una sorta di universale concreto. Ora, anche l’irrazionale e l’impossibile possono apparire – alla luce dell’arte e della sua capacità imitativa – “simili” al vero: essi non sono certamente veri ma, appunto per la loro verosimiglianza, credibili. In questa dimensione, nota Aristotele, l’impossibile verosimile è da preferire al possibile non credibile. Si noti che la “credibilità” di una rappresentazione artistica o di un discorso retorico possiede comunque una sua razionalità e un “ordine” specifico, altrimenti risulterebbe incredibile. Quindi la struttura logica del fatto estetico, pur non essendo vera, manifesta una peculiare funzione di verità che consiste o nella sua utilità (pragmatica), oppure nell’imitazione della natura 3. Il primo aspetto trova espressione nella tragedia, che ha una funzione catartica, cioè liberatoria e purificatrice rispetto alle passioni negative; il secondo trova invece realizzazione nella concezione artistica del bello, che implica misura, proporzione, limite e simmetria 4.
1.La “filosofia pratica”
«È esatto, altresì, chiamare la filosofia scienza della verità. Infatti lo scopo ultimo dell’attività teoretica è la verità, come l’azione è lo scopo dell’attività pratica, giacché gli uomini d’azione, anche quando osservano il modo in cui stanno le cose, non si mettono a contemplare la causa in se stessa, ma ne scorgono solo la relazione con uno scopo e con una circostanza determinata». Aristotele, Metafisica, II, 1, 993 b 19 – b 23, trad. it. di A. Russo, cit., p. 50.
«Per quel che concerne le cose prodotte, il principio risiede nel producente, tanto se questo sia un intelletto quanto se sia un’arte o una qualche capacità, mentre, per quel che concerne le cose pratiche, il principio risiede nell’agente, ed è un atto di libera scelta, giacché l’oggetto dell’azione e quello della scelta si identificano». Aristotele, Metafisica, VI, 1, 1025 b 21 – b 25, trad. it. di A. Russo, cit., p. 174.
2.L’argomentazione dialettica
«È argomentazione un discorso nel quale, poste alcune cose, qualcosa di diverso da ciò che è posto necessariamente risulta mediante ciò che è posto. E così è dimostrazione quando l’argomentazione risulta da asserzioni vere e primitive, oppure da asserzioni tali che hanno il fondamento della conoscenza [...]; mentre argomentazione dialettica è quella che argomenta muovendo da opinioni notevoli. Sono asserzioni vere e primitive quelle che hanno la loro garanzia non per virtù d’altro, ma per se stesse [...]; sono opinioni notevoli invece quelle che costituiscono opinione di tutti, o dei più, o dei sapienti, e, se di questi, o di tutti, o dei più, o dei più noti e stimati fra tutti». Aristotele, I Topici, I, 1, 100 a 25 – b 24, trad. it. di A. Zadro, Loffredo, Napoli, 1974, p. 83.