Si tratta quindi di procedere non da un modo di dire o da uno schema metafisico verso una realtà oggettiva esterna e ineffabile, ma viceversa di ripercorrere il cammino naturale che dal movimento e dalla sensazione conduce all’intelletto. La sensazione diventa così l’interfaccia di uno scambio continuo di informazioni tra il mondo esterno e la psiche. E non è difficile trovare la sede di questa funzione intermedia: essa si dà già a livello del mondo fisico, nella distinzione tra esseri inanimati (non viventi) e animati (viventi).
Come principio di vita, l’anima si inserisce infatti a pieno titolo nella struttura ileomorfica della realtà: posto che tutte le cose sono unioni di materia (potenza) e forma (atto), e dato che il corporeo corrisponde all’aspetto materiale e potenziale, l’anima è quella sostanza che si presenta come forma o atto di un corpo vivente, e precisamente – secondo la definizione che Aristotele ci presenta nel suo maggiore scritto psicologico, il De anima – è la «forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza» 2.
Un siffatto ileomorfismo – che si collega a un’altra definizione, presente soprattutto nelle prime fasi costitutive della psicologia aristotelica e contenuta negli scritti biologici sul movimento e sulle parti degli animali, vale a dire lo strumentalismo, secondo cui l’anima si serve del corpo come di un suo “strumento” – ha due importanti conseguenze: 1) sottrae l’anima alla collocazione fisica e meccanica tipica del naturalismo presocratico, conferendole una connotazione formale e immateriale; 2) al tempo stesso, la fa corrispondere all’unità sostanziale – in senso psicofisico – dell’individuo, evitando così il dualismo con l’aspetto corporeo-materiale. Tutto ciò permette di concepire l’anima come trascendente e insieme immanente rispetto al corpo, di cui essa esprime da un lato la perfezione e il fine, dall’altro il principio intrinseco e informante, inseparabile dal corpo stesso. Si noti infatti che la tesi ileomorfica non consente, per definizione, di concepire l’anima in modo diviso dal corpo 3; d’altra parte, per il principio della verità come corrispondenza, nell’anima dev’esserci qualcosa di irriducibile alla contingenza della materia corporea, altrimenti non riusciremmo a conoscere gli oggetti immateriali ed eterni, come Dio e le forme pure, che rispecchiano le verità necessarie della natura.
Quest’ultimo argomento ci consente di introdurre la questione – sviluppata nel De anima – riguardo alle funzioni dell’anima, cioè intorno a quelle operazioni o attività che caratterizzano il modo d’essere delle forme viventi e che, in una scala gerarchica dalle funzioni più semplici ed elementari alle più complesse e astratte, giungono fino a interessare l’uomo. Similmente a Platone, anche Aristotele distingue tre parti dell’anima ma, diversamente da Platone, il suo criterio di suddivisione non è legato a principi di ordine etico-morale, bensì esclusivamente biologico-psicologico 4. In tal senso, Aristotele rivendica la piena autonomia epistemica dell’indagine psicologica, rendendola il fondamento ultimo di ogni conoscenza.
Allo stesso modo di ogni sostanza, anche l’anima ha, come sue “parti”, degli attributi sostanziali o “necessari” che presiedono al funzionamento delle diverse operazioni vitali. Essi sono, rispettivamente: a) la parte vegetativa, a cui spetta la regolazione della nascita, della nutrizione, della crescita e della riproduzione; b) la parte sensitiva e motoria, da cui provengono le sensazioni e i movimenti del corpo; c) la parte intellettiva o razionale, che determina il pensiero, la speculazione e l’elaborazione concettuale. Queste parti – in realtà “funzioni” dell’anima – sono ordinate secondo una scala gerarchica di esclusione/inclusione che va dalla natura più semplice a quella più complessa e immateriale. Infatti, mentre i termini inferiori possono sussistere da soli e presentano una maggiore autonomia e una minore inclusione, i termini superiori presuppongono ciò che è al di sotto di essi, includendo i gradi precedenti senza escluderne alcuna funzione. Di conseguenza, così come non si dà intelligenza senza nutrizione e sensazione, quest’ultima non è possibile senza nutrizione; ma la nutrizione può stare a sé.
Infine, un aspetto di grande rilievo nella suddivisione della psicologia aristotelica è il fatto che il criterio di distinzione non sia di tipo qualitativo, bensì operativo; in altri termini, per Aristotele – il quale si avvicina a tal riguardo alla concezione di Anassagora – ogni parte ha la qualità del tutto, sebbene in modo solo potenziale o inespresso 5. Ciò testimonia, anche a livello biologico, la continuità dell’essere.