Aristotele
Le critiche a Platone, lo spirito di sistema e l’indagine scientifica della natura
1. Il dissidio con Platone e le critiche alla dottrina delle idee
Nella lezione precedente abbiamo accennato al fatto che Aristotele, benché formatosi all’interno dell’Accademia platonica, manifestò precocemente le sue divergenze rispetto ai dettami del platonismo. Nel corso della storia, le ragioni di questo dissidio sono state spesso amplificate e fraintese al punto da renderle motivo di inimicizia personale tra i due filosofi. Così, per esempio, durante il Rinascimento la polemica fra platonici e aristotelici tradusse frequentemente l’opposizione tra il maestro e l’allievo in accuse di ingratitudine di Aristotele verso Platone o di invidia di Platone nei confronti della giovane e lucida mente aristotelica.
Si tratta ovviamente di polemiche funzionali all’epoca, in gran parte infondate e che, in ogni caso, hanno poco a che vedere con i ben più rilevanti contenuti teoretico-filosofici dello scontro dottrinale, che possiamo sintetizzare nel modo seguente.
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Scienza della natura vs. scienza del bene. A differenza di Platone, addestrato all’insegnamento dialettico-politico di Socrate, Aristotele mostra un orientamento fin dall’inizio naturalistico, volto alla descrizione e classificazione dei fenomeni, i cui principi egli ricerca all’interno della realtà sensibile. L’oggetto della conoscenza è questa stessa realtà, che può essere analiticamente scomposta in enti individuali, generi e specie, ma sempre a livello del mondo fenomenico.
A un simile realismo moderato o empirico, in base al quale l’essere è tale distributivamente, cioè rispetto agli enti individuali e agli aspetti generali (universali) che, esistendo esclusivamente nell’individuale, possono essere unificati solo logicamente – per cui, per esempio, “uomo” come significato della sostanza ha almeno due distinti riferimenti: l’individuo e la specie –, fa da contraltare l’idealismo platonico, che si presenta come un realismo assoluto o iperrealismo in cui l’idea è la vera realtà e l’individuale o fenomenico non è una realtà inferiore, di secondo grado, ma è reale solo in quanto “partecipa” dell’idea come sua immagine o copia. Qui il termine “uomo” ha un unico riferimento poiché l’oggetto di conoscenza è univoco, vale a dire l’idea come essere necessario e normativo; tuttavia, dal punto di vista logico esso può avere una funzione collettiva, ossia indicare ciò che vi è di comune a un insieme di individui. A differenza di Aristotele, lo scopo della conoscenza è per Platone sempre normativo: “conoscere” infatti non significa solo cogliere l’essenza dei fenomeni, ma anche il loro valore, vale a dire in quale misura essi partecipano dell’idea e, in particolare, del bene 1.
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Razionalità molteplice vs. razionalità univoca. Tale diversa impostazione è alla base di tutte le “incomprensioni” e quindi anche delle critiche di Aristotele al platonismo. Così, per esempio, Aristotele vede nella dottrina delle idee un modo per rifiutare lo studio scientifico della natura, dato che ogni ente viene ridotto a una forma razionale di tipo matematico-intuitivo. Questo rifiuto si congiunge inoltre a un altro problema evidenziato da Aristotele, cioè l’univocità della ragione: mancando il senso dell’autonomia del reale e dei suoi diversi “ambiti”, nel platonismo esiste un’unica forma di razionalità, quella teoretico-pratica della conoscenza ideale, mentre – come vedremo – per Aristotele è necessario distinguere la sfera razionale della teoria sia dall’ambito pratico-razionale dell’agire etico-politico, sia dallo spazio produttivo del fare, tipico delle diverse “arti” (molteplicità della ragione).
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Le idee come “duplicato” della realtà. Aristotele entra nell’Accademia quando la fase di revisione del platonismo originario, arroccato sul dualismo tra anima e corpo, mondo ideale e mondo sensibile ecc., è già iniziata ma non ancora compiuta né consolidata. Egli perciò, insistendo sul concetto platonico di “separazione” tra idee e realtà fenomenica, non è in grado di cogliere nelle idee dei criteri di spiegazione del reale, ma solo un inutile “raddoppiamento” del reale stesso. In effetti, se si tratta di spiegare come si rapportano tra loro gli enti sensibili, che cosa essi hanno in comune ecc., sembra assurdo affrontare la questione su un piano come quello ideale in cui vengono ammesse altre “entità” – per l’appunto le idee – tra le quali si ripresentano i medesimi problemi del mondo sensibile. Da qui anche la critica aristotelica a ogni vano tentativo platonico di voler ricercare l’unità dopo aver presupposto la separazione tra i due “mondi”, così come il rifiuto di qualsiasi rappresentazione mitica dell’essere – per esempio nel Timeo, da cui pure Aristotele trae conoscenze scientifiche e astronomiche –, in quanto tentativo non compiutamente razionale di spiegare il rapporto del sensibile con l’idea.
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Logica e pensiero analitico vs. dialettica e pensiero sintetico. Al di là delle divergenze in merito ai contenuti, ciò che Aristotele maggiormente rimprovera al platonismo è la mancanza di un rigoroso metodo scientifico che possa servire da guida della conoscenza. Secondo Aristotele, la dialettica platonica a “due termini” o “diairetica” non è affidabile per due ordini di ragioni: 1) è circolare, cioè non favorisce né giustifica la scelta di un termine, ma la presuppone, per cui essa non offre spiegazioni ma solo esplicitazioni; 2) ricorre continuamente all’ipotesi, all’induzione e all’intuizione, cioè a procedimenti o atti che portano a ritornare continuamente sulle assunzioni di partenza attraverso un movimento ascensivo-discensivo o a “zig-zag” estraneo alla dimostrazione causale di tipo lineare e deduttivo, su cui dovrebbe invece fondarsi ogni autentico ragionamento scientifico. Si tenga presente che Aristotele non rifiuta l’induzione, ma solo il suo carattere sintetico, che deriva dal metodo socratico di “riduzione” di diverse tesi alla questione fondamentale («che cos’è x?»).
Egli è invece favorevole a un’induzione di tipo analitico, estranea al platonismo: poiché l’idea – intesa ora aristotelicamente come “forma” – non è più trascendente, ma immanente alla realtà sensibile, l’induzione coincide con il processo di astrazione o, meglio, di “estrazione” da parte dell’intelletto della “forma” universale inclusa nella cosa individuale. Con l’astrazione, l’anima entra in possesso dei principi primi da cui partire per la dimostrazione: in tal modo l’induzione si subordina completamente alla deduzione e la dialettica vale solo come mezzo sussidiario della prova scientifica 2.
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Logica estensionale delle “classi” vs. logica intensionale della singolarità. Bisogna dunque inventare un metodo per tentare di rispondere effettivamente alle giuste esigenze fatte valere da Platone, cioè che nella conoscenza le “divisioni” delle idee (in termini aristotelici: le astrazioni) e le loro relazioni non siano né casuali né basate su dogmatiche assunzioni di principio, ma rispettose della reale articolazione dell’essere. Ora, questo significa per Aristotele passare dalla logica del singolare – tipica dell’idea platonica, in cui non vi è distinzione tra universale e particolare – alla logica delle classi, fondata sulla gerarchia tra generi e specie (gli “universali”). Infatti, la logica platonica è di tipo analogico e qualitativo (intensionale) poiché si fonda sulle qualità degli attributi, ognuno dei quali esprime una “tendenza”. Così, se diciamo «il tavolo è verde», per Platone non significa che il tavolo ha in sé l’idea del verde, ma che la esemplifica, cioè esprime una tendenza (infinita) di adeguazione al modello. Per questo le idee rimangono paradigmi e schemi, ma non divengono mai “concetti”.
Tuttavia, una logica intensionale non è formalizzabile, cioè non è riducibile a un meccanismo oggettivo e impersonale che, indipendentemente dalle scelte soggettive, possa determinare rapporti di inclusione, esclusione, derivazione tra simboli che stanno per oggetti singolari. A questo scopo, è necessario introdurre la nozione di classe, cioè una generalizzazione estensionale non su proprietà, ma – appunto – su individui.
Per costruire una logica di questo tipo, l’individuo – che nel nostro mondo vitale costituisce la realtà qualitativa immediata, contingente, approssimativa, sentimentale ecc. – dev’essere a sua volta ridotto a ciò che ha in comune con altri individui della stessa specie, lasciando da parte le proprietà singolari e accidentali. La conoscenza scientifica riguarda solo questa parte comune, al di là della quale subentrano la dialettica e il pensiero analogico che non appartengono più alla ragione teoretica. La logica aristotelica perde così il carattere dinamico, trascendentale e verticale che la dialettica delle idee presentava in Platone, per assumere quel carattere statico, classificatorio e orizzontale che manterrà fino agli inizi dell’età moderna. A fronte di questa “perdita” qualitativa, vi è un evidente guadagno in termini di rigore argomentativo: la scienza si avvicina infatti a un calcolo, in cui si tratta solo di cogliere i rapporti di relazione, sovraordinazione e subordinazione dei concetti 3.