Aristotele
Vita e opere di Aristotele
1. Dall’Accademia al Liceo
A differenza di Platone nella Settima lettera, Aristotele non ci ha lasciato indicazioni personali della propria biografia; le notizie su di lui provengono da Diogene Laerzio, Dionigi di Alicarnasso e da filosofi neoplatonici e siriaco-arabi del V-VII sec. d.C. Egli nasce nel 384 a.C. a Stagira, una città ionica sotto il regno di Macedonia situata nella penisola Calcidica, non distante dall’odierna Salonicco. La sua famiglia è strettamente legata alla corte del re macedone Aminta: il padre, Nicomaco, è medico personale del re. Tuttavia, in seguito alla morte precoce del padre, Aristotele fu presto sottratto alle influenze deleterie della corte per essere educato nella sua città natale e ad Atarneo, sulle coste occidentali dell’Asia minore, sotto la tutela di un parente più anziano di nome Prosseno.
A 17 anni – probabilmente al fine di completare la sua cultura con studi di ordine superiore – si recò ad Atene alla scuola di Platone, dover rimase per un ventennio, fino alla morte del maestro. Il primo ingresso di Aristotele nell’Accademia coincide col secondo viaggio di Platone in Sicilia, durante il quale la direzione della scuola rimase affidata a Eudosso di Cnido, il grande astronomo della cui profonda preparazione scientifica Aristotele dovette risentire prima ancora di accostarsi all’insegnamento diretto di Platone.
Due sono dunque gli elementi che, in questa prima fase, condizionano la vita di Aristotele e la sua impostazione scientifico-culturale: a) la formazione presso la corte macedone, tendenzialmente ostile a una struttura politica “classica” come quella ateniese, caratterizzata da un confronto interno tra le parti politiche e sociali ma gelosa delle proprie tradizioni e indisponibile a una contaminazione con forme culturali esterne (la monarchia macedone mostrava infatti aspirazioni espansionistiche e cosmopolitiche che contribuiranno a decretare la fine della pólis greca); b) il contatto con le scienze naturali e le tecniche di conquista del sapere scientifico, contrassegnate da ordine metodico, rigore logico e argomentativo, attenzione all’esperienza e all’osservazione dei fatti.
Per quanto riguarda i rapporti con Platone, è certo che tra i due – nonostante le divergenze dottrinali che ben presto emersero – vi fosse un grande rispetto reciproco, e sono da ritenersi infondate le notizie secondo cui le critiche mosse da Aristotele avrebbero condotto Platone a quella svolta del suo pensiero che coincide col simbolico “parricidio” di Parmenide e con l’assunzione di un modello intellettuale più articolato e attento all’esperienza. È invece evidente l’esatto opposto, cioè la presenza di una “fase platonica” nella formazione filosofica di Aristotele: essa coincide con l’assunzione da parte di quest’ultimo del metodo dialogico socratico e con la sua partecipazione alle discussioni all’interno dell’Accademia, la cui struttura educativa favoriva, del resto, il libero confronto e l’adozione di atteggiamenti critici e confutatori.
Nel 360, pochi anni dopo l’ingresso di Aristotele nell’Accademia, Filippo II, figlio di Aminta, diventò re di Macedonia, segnando una svolta decisiva per la storia greca e per gli stessi destini di Aristotele. Appena salito al trono, Filippo riorganizzò l’esercito e lo Stato dando il via a una politica espansionistica che culminò nel 338 con la guerra e la vittoria su Atene (battaglia di Cheronea). Questo evento indica la fine dell’egemonia ateniese e il progressivo declino del modello classico della città-stato, accentuato dall’avvento al trono macedone, nel 336, del giovane Alessandro, figlio di Filippo. La breve stagione politico-militare e culturale di Alessandro Magno (336-323 a.C.) determinerà per sempre le sorti dell’intera storia antica, sia occidentale sia orientale. Infatti, le sue conquiste e le numerose spedizioni non solo produrranno il definitivo assoggettamento della Grecia al regno macedone, ma soprattutto favoriranno l’universalizzazione della stessa cultura greca che giungerà a toccare le rive del fiume Indo in Pakistan 1.
L’ascesa della potenza macedone influì direttamente sulle scelte di Aristotele. Nel 347, un anno prima della morte di Platone, non approvando la direzione della scuola lasciata da quest’ultimo al nipote Speusippo e osteggiato all’interno della stessa a causa dei suoi legami con la monarchia macedone, Aristotele lasciò l’Accademia e si stabilì ad Asso, città sulla costa occidentale dell’Asia Minore. Ormai intellettualmente maturo, circondato da una solida fama, egli poté qui sviluppare i suoi interessi naturalistici fino a quando, dopo essersi sposato, nel 342 venne chiamato da Filippo alla corte macedone con l’incarico di istruire il figlio Alessandro, allora quattordicenne. Tuttavia, già nel 340 Alessandro dovette sostituire il padre partito per una spedizione militare; successivamente i rapporti ripresero, ma senza l’aspetto di un vero e proprio discepolato. Secondo il grande storico del pensiero greco Theodor Gomperz, l’allontanamento tra i due fu dovuto alla divergenza di mentalità e prospettive politiche: mentre Alessandro, imbevuto di spirito orientale, concepiva l’idea di un dominio universale senza barriere interne, Aristotele rimaneva ancora legato allo spirito nazionale della pólis e alle sue tradizioni.
Nel 335 Aristotele ritornò ad Atene e, vista la distanza ormai incolmabile con l’impostazione filosofica dell’Accademia, affidata ora alla direzione di Senocrate, fondò una sua scuola, il Liceo o Perípatos, contrassegnato da una vasta organizzazione scientifica in cui, accanto alle discipline tipiche dell’Accademia come gli studi dialettici e matematici, egli affiancò indagini volte allo studio della natura, tra le quali l’astronomia, la biologia, la botanica e la medicina 2.
Con la morte di Alessandro Magno nel 323 la fortuna di Aristotele cambiò improvvisamente. Ad Atene presero il sopravvento fazioni politiche antimacedoni e, in seguito all’accusa di empietà (asébeia) per aver favorito ideali di restaurazione monarchica, egli fu costretto a rifugiarsi in Calcide, la principale città dell’isola di Eubea, dove morì nel 322 all’età di 62 anni.
2.Aristotele il “lettore”
«Secondo un antico aneddoto, Aristotele fu soprannominato “la mente”, oppure “la chiara intelligenza” della scuola. Sembra più degno di fiducia un altro aneddoto: Aristotele avrebbe avuto nome “il lettore”. La posizione di un anagnostes era nell’Accademia quella di un servo; si trattava di uno schiavo particolarmente addestrato a questo suo compito. Un libro si considerava “pubblicato” quando era stato letto da un anagnostes in pubblico. La maggior parte dei giovani Accademici “ascoltava” i libri; Aristotele, per questo aspetto, si differenziò dalla maggioranza; egli leggeva i libri come noi [...]. La storia è preziosa, perché illumina una differenza sostanziale fra Platone e Aristotele. C’era verosimilmente una nota di discredito in quel nomignolo; Platone si esprime sovente con disprezzo sui doxosofi, coloro che si nutrono “del cibo delle opinioni”. Era invece un tratto peculiare di Aristotele il confronto così assiduo con le idee degli altri pensatori. Per tutta la vita egli fu dotto e assiduo lettore; ad ogni passo delle sue opere ci imbattiamo nelle tracce di quelle sue sconfinate letture. Era benestante, e poté quindi procurarsi una vasta biblioteca; dopo la morte di Speusippo acquistò anche la biblioteca di costui per tre talenti, una somma considerevole per un privato». I. Düring, Aristotele (1966), Mursia, Milano, 1976, pp. 15-16.