Unità Aristotele

Lezione Il giudizio, l’argomentazione e il ragionamento

La pratica della lettura

Il futuro non è mai necessario

Nel suo scritto di logica Sull’interpretazione (9, 18 b 33 – 19 b 4), dopo aver stabilito che il principio di bivalenza vero/falso vale incondizionatamente rispetto agli eventi presenti e passati («Rispetto agli oggetti che sono e che sono stati, è necessario che tra l’affermazione e la negazione una risulti vera e l’altra invece falsa»), Aristotele affronta il problema se tale principio debba valere anche rispetto agli eventi “che saranno”. Si tratta della questione dei cosiddetti “contingenti futuri”, che introduce l’altra questione, di carattere soprattutto metafisico, se il futuro sia o no predeterminato, vale a dire necessario o contingente. La risposta di Aristotele a tal riguardo è netta ed esattamente opposta all’“argomento dominatore” di Diodoro Crono (cfr. lezione 18): è impossibile anticipare, quanto al valore di verità, il futuro. Esso non è mai necessario e, di conseguenza, bisogna rifiutare ogni determinismo. Questo anti-determinismo non solo respinge come inconcludente qualsiasi affermazione “profetica” sugli accadimenti futuri, ma si fonda su un’argomentazione logicamente rigorosa: la necessità per il futuro vale solo in senso “composto” («è necessario che domani l’evento x accada o non accada») mentre non ha alcun valore in senso “diviso” («è necessario che l’evento accada o è necessario che l’evento non accada»).

«Nulla impedisce che un uomo predichi anche di diecimila anni la realtà di un fatto, e che un altro uomo neghi tale affermazione; di conseguenza, si verificherà necessariamente quella delle due cose, non importa quale, che già all’atto della predizione era vero dire. Né certo ha alcuna importanza che delle persone abbiano pronunciato o meno due giudizi contraddittori: in realtà, è evidente che i fatti sono quelli che sono, anche se un uomo non ha affermato qualcosa ed un altro uomo non l’ha negato. Non è infatti per la circostanza di essere stato negato, oppure affermato, che un qualcosa sarà o non sarà, e che un avvenimento si verificherà dopo diecimila anni, piuttosto che non in qualsiasi altro momento di tempo. Di conseguenza, se in ogni tempo la situazione delle cose ha fatto sì che fosse allora vero esprimere l’affermazione oppure la negazione, era così già necessario che questo fatto si sia prodotto, e tutto ciò che si è prodotto sia sempre in una situazione tale da prodursi per necessità. Ciò infatti, di cui si è detto secondo verità che sarà, non è possibile che non si produca; del pari, rispetto a ciò che si produce, è sempre stato vero dire che sarà.

Senza dubbio, bisogna ammettere che queste asserzioni risultano impossibili. Noi vediamo infatti che gli eventi futuri prendono principio dalle deliberazioni e dalle azioni, e che in linea generale agli oggetti che non sempre sono in atto tocca indifferentemente il potere di essere o di non essere; per tali oggetti entrambe le cose sono possibili, sia l’essere che il non essere, cosicché risultano possibili sia il divenire che il non divenire. E molti oggetti si comportano evidentemente in questo modo; ad esempio, un determinato mantello ha la possibilità di venir tagliato in due, eppure non sarà tagliato, ma si logorerà prima di allora. Per tale mantello sussiste poi ugualmente la possibilità di non venir tagliato in due, dato che esso non risulterebbe consunto in precedenza, se non fosse davvero in grado di non essere tagliato in due. Di conseguenza, ciò si dirà pure di tutti gli altri aspetti del divenire, cui va attribuito un cosiffatto potere.

È dunque evidente che non tutti gli oggetti sono o divengono per necessità; si deve dire, piuttosto, che alcuni oggetti possono accadere indifferentemente in due modi, caso in cui l’affermazione non risulta affatto più vera della negazione, e che a riguardo di altri oggetti una delle due possibilità è preminente e si verifica con maggior frequenza, nonostante che anche la seconda possibilità possa presentarsi, e non si verifichi allora la prima. Che ciò che è sia, quando è, e che ciò che non è non sia, quando non è, risulta certo necessario; non è però necessario che tutto ciò che è sia, né che tutto ciò che non è non sia. In effetti, l’essere per necessità di tutto ciò che è, quando è, non equivale all’essere per necessità, assolutamente, di tutto ciò che è. Similmente si dica per ciò che non è.

Del pari, lo stesso discorso vale per i giudizi contraddittori in proposito. Certo, per necessità ogni oggetto è o non è, come pure, sarà o non sarà, ma non è davvero necessario dire una delle due cose, separata dall’altra. Con ciò intendo dire, ad esempio, che necessariamente domani vi sarà una battaglia navale, oppure non vi sarà, ma che non è tuttavia necessario che domani vi sia una battaglia navale, né d’altra parte è necessario che domani non vi sia una battaglia navale. Ciò che invece risulta necessario, è che domani avvenga o non avvenga una battaglia navale. Di conseguenza, dal momento che i discorsi sono veri analogamente a come lo sono gli oggetti, è chiaro che a proposito di tutti gli oggetti, costituiti così da accadere indifferentemente in due modi, secondo delle possibilità contrarie, anche la contraddizione si comporterà necessariamente in maniera simile.

È appunto ciò che avviene riguardo agli oggetti che non sono sempre, oppure a quelli che non sempre non sono. In tali casi è infatti necessario che una delle due parti della contraddizione sia vera e l’altra invece falsa, ma non è tuttavia necessario che una determinata parte sia vera oppure falsa; sussiste piuttosto un’indifferenza tra due possibilità, e quand’anche uno dei due casi risulti più vero, la verità e la falsità non saranno tuttavia già decise sin da principio. Risulta chiaro, di conseguenza, che non sempre, riguardo ad un’affermazione e ad una negazione contrapposte, sarà necessario che una di esse sia vera e l’altra invece falsa: in effetti, ciò che vale per gli oggetti che sono non vale allo stesso modo per quelli che non sono, ed hanno la possibilità di essere o di non essere».

Aristotele, Dell’espressione [Sull’interpretazione], cit., pp. 62-64.

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