Unità Aristotele

Lezione Il giudizio, l’argomentazione e il ragionamento

La struttura generale del ragionamento o “sillogismo” (Analitici primi)

Ripercorriamo ora in breve il processo che ci ha portato dagli elementi al composto che costituisce la proposizione. Gli elementi o termini vengono riuniti sotto le categorie, cioè i generi massimi a cui possono essere ricondotti i diversi tipi di predicati. Partendo dai generi massimi, i termini possono essere più o meno estesi (generi o classi e specie o sottoclassi), fino all’estensione minima dei nomi propri che si riferiscono solo a un individuo. Questa differente estensione, specificata nei diversi rapporti tra classi e sottoclassi, permette di unire e dividere i termini, cioè di costruire delle proposizioni o giudizi.

Ma affermare o negare qualcosa in un giudizio non significa ancora ragionare, cioè esprimere il motivo o la causa in base a cui formuliamo una certa connessione. Non solo, ma certe relazioni tra termini, che nei giudizi esprimono dei fatti, possono a loro volta essere o no in relazione con altri fatti sempre espressi da giudizi, istituendo nessi o catene di consequenzialità. Perveniamo così a un livello più complesso della proposizione che rappresenta l’unione di più proposizioni o sillogismo, ovvero quel «discorso in cui, posto qualcosa come premessa, qualcos’altro ne deriva di necessità come conseguenza».

Ora, in tutti i ragionamenti, le proposizioni compaiono come tesi che vengono argomentate. A questo proposito notiamo due circostanze. 1) Non ogni proposizione è una tesi, ma è tale solo se entra in un ragionamento. Quando vi rientra, essa può comparire secondo tipi diversi di classificazione, che Aristotele esprime tramite la dottrina dei predicabili. Ogni tesi può infatti concernere o la definizione (il predicato ha la stessa estensione del soggetto e ne esprime l’essenza), o la proprietà caratteristica, anche detta il “proprio”(il predicato ha la stessa estensione del soggetto ma non concorre alla definizione), o il genere (il predicato è più esteso e concorre alla definizione), o infine l’accidente (il predicato è meno esteso e non concorre alla definizione) 7. Anche qui interviene il quadrato di due disgiunzioni complete: definizione e proprietà sono predicazioni d’identità, mentre le rimanenti sono solo di inclusione. 2) L’argomento non è la tesi, ma ha la funzione di provare o dimostrare una tesi.

Ovviamente, non tutti i ragionamenti (sillogismi), gli argomenti e le “prove” addotte sono uguali né hanno la stessa forza dimostrativa. In generale, i sillogismi hanno elementi formali comuni, ma differiscono per la loro struttura sostanziale, cioè per il modo in cui questi elementi vengono composti e per il loro contenuto di conoscenza. Formalmente, ogni sillogismo è composto da due premesse e una conclusione; nel complesso compaiono tre termini che, in ordine di estensione crescente, sono il minore, il medio e il maggiore. Delle premesse, si chiama maggiore quella che contiene, oltre al medio, il termine maggiore; minore quella che contiene, oltre al medio, il termine minore; infine, si chiama conclusione quella proposizione che salta il medio e collega il termine minore con il maggiore 8.

Tutto questo garantisce la coerenza o “correttezza” del ragionamento, cioè la sua validità sintattica. Per poter invece parlare della validità semantica, cioè del contenuto di verità che il sillogismo può offrire come forma di conoscenza, bisogna prendere in considerazione la sua struttura sostanziale, cioè la modalità e l’origine delle premesse che lo compongono. Per Aristotele, infatti, vale l’equazione secondo cui quanta verità è contenuta nelle premesse, altrettanta verità si ritrova nella conclusione. Ora, anche se questa corrispondenza ci appare ovvia ed evidente, bisogna notare che – per diverse ragioni che esamineremo nell’unità 6 – essa non è accettata né da una parte della logica antica successiva (per esempio, quella megarico-stoica), né dalla logica proposizionale moderna.

Secondo la modalità delle premesse, un sillogismo può essere: a) apodittico o scientifico, quando le premesse sono vere e l’inferenza è corretta; b) dialettico, quando si usano come premesse dei topici o luoghi comuni, cioè si sa solo che l’inferenza è corretta ma si ignora se le premesse siano vere; in tal caso le premesse vanno espresse in forma ipotetico-condizionale («se..., allora...»), per indicare che la conclusione non può essere staccata dalle premesse; c) retorico, quando siamo in presenza di entimemi, cioè ignoriamo se la conclusione è vera e se l’inferenza è corretta.

Tutte queste modalità sono in stretta relazione con la forma enunciativa, cioè con le “figure” (schémata) che il sillogismo può ammettere. Esse sono fondamentalmente tre – a cui successivamente Teofrasto ne ha aggiunta una quarta, detta poi “galenica” – e dipendono dalla diversa posizione che il termine medio occupa nelle premesse, vale a dire: I figura: il termine medio (M) fa da soggetto nella premessa maggiore (in cui compare il termine maggiore: P) e da predicato nella minore (in cui compare il termine minore: S): M-P, S-M → S-P; II figura: il medio compare come predicato in entrambe le premesse: P-M, S-M, → S-P; III figura: il medio compare come soggetto in entrambe le premesse: M-P, M-S → S-P; IV figura: il medio è predicato nella premessa maggiore e soggetto nella minore: P-M, M-S → S-P. Poiché le premesse possono essere (1) universali o (2) particolari, così come (3) affermative o (4) negative, ogni figura dà vita a 64 modi possibili, cioè a 256 modi per tutte e quattro le figure, tra i quali Aristotele riconosce complessivamente solo 14 modi validi (poi portati da Leibniz a 24 con l’introduzione della IV figura). Peraltro, il fatto che un modo sia valido non significa che sia scientifico o autenticamente dimostrativo. A tale scopo, dobbiamo esaminare le condizioni del sillogismo scientifico.


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