Aristotele
Il mondo fisico
Il tempo come “numero” del movimento
Dopo aver discusso dello spazio come “limite del contenente”, Aristotele affronta il problema del tempo. Così, in Fisica, IV, 11, 219 a 1 – 220 a 27, egli propone una concezione del tempo radicalmente alternativa a quella platonica. Se infatti per Platone il tempo è «immagine mobile dell’eternità», cioè la traduzione sul piano sensibile dell’atemporalità ideale, per Aristotele il tempo è un aspetto della realtà naturale strettamente connesso alla realtà fisica dello spazio. Ciò che media tra spazio e tempo è il movimento che, attraverso l’istante, consente di trasferire la nozione di “limite” dal primo al secondo. Ma vi è una differenza fondamentale tra spazio e tempo: mentre lo spazio è effettivamente il limite di un corpo, al contrario l’istante, come limite di una durata temporale, è solo un “accidente” del tempo, il quale, in senso proprio, è il “numero” del movimento. Ora, il numero non è il limite che fa da sua “misura”, ma rappresenta una continuità; e tale è anche il tempo, la cui continuità numerica può, per definizione, prescindere dai particolari corpi fisici a cui si applica. Di conseguenza, mentre lo spazio è il luogo, cioè la qualità posizionale degli oggetti materiali nel mondo, il tempo è l’ordine misurabile del movimento di questi oggetti: come ordine è numero, ma come misurazione effettiva all’interno di un determinato sistema è la rappresentazione di un numero, cioè un numerale che si esprime attraverso il carattere “discreto” dell’istante.
«È, quindi, evidente che il tempo non è movimento, ma non è senza movimento; e, d’altra parte, poiché cerchiamo che cosa è il tempo, dobbiamo prendere inizio da qui per stabilire quale proprietà del movimento esso sia. Invero, noi percepiamo simultaneamente movimento e tempo, e se è buio e noi non subiamo alcuna affezione corporea, ma un certo movimento resta presente nell’anima, subito ci sembra che simultaneamente anche un certo tempo stia trascorrendo. E, al contrario, quando sembra che un certo tempo stia trascorrendo, sembra che simultaneamente si stia verificando un certo movimento. Sicché il tempo è o movimento o, almeno, una proprietà del movimento.
Ma poiché movimento non è, esso è necessariamente una proprietà del movimento. Poiché il mosso si muove da un punto verso un altro punto, e ogni grandezza è continua, il movimento segue alla grandezza. Infatti, poiché la grandezza è continua, è continuo anche il movimento; e per il fatto che lo è il movimento, è continuo anche il tempo, giacché la quantità del tempo trascorso è proporzionata a quella del movimento. Anche il prima e il poi sono già anzitutto in un luogo. Ma essi son qui secondo la disposizione delle parti; e poiché nella grandezza ci sono il prima e il poi, è necessario che anche nel movimento ci siano il prima e il poi, e che siano in proporzione con il prima e il poi che sono nella grandezza. Ma anche nel tempo ci sono un prima e un poi, per il fatto che sempre il tempo segue al movimento. [...]
Tuttavia, quando abbiamo determinato il movimento mediante la distinzione del prima e del poi, conosciamo anche il tempo, e allora noi diciamo che il tempo compie il suo percorso, quando abbiamo percezione del prima e del poi nel movimento. E operiamo la distinzione perché sappiamo che questi due termini sono differenti tra loro e che c’è anche in mezzo qualcosa di diverso da loro. Quando, infatti, noi pensiamo [...] che gli istanti sono due, il prima, cioè, e il poi, allora noi diciamo che c’è tra questi due istanti un tempo, giacché il tempo sembra essere ciò che è determinato dall’istante: e questo rimanga come fondamento. Pertanto, quando noi percepiamo l’istante come unità e non già come un prima e un poi nel movimento e neppure come quell’identità che sia la fine del prima e il principio del poi, allora non ci sembra che alcun tempo abbia compiuto il suo corso, in quanto che non vi è neppure movimento. Quando, invece, percepiamo il prima e il poi, allora diciamo che il tempo c’è. Questo, in realtà, è il tempo: il numero del movimento secondo il prima e il poi.
Il tempo, dunque, non è movimento, se non in quanto il movimento ha un numero. Eccone una prova: noi giudichiamo il più e il meno secondo un numero, e il movimento maggiore o minore secondo il tempo: dunque il tempo è un numero. Ma poiché si dice “numero” in due modi (ché noi chiamiamo numero non solo il numerato e il numerabile, ma anche il mezzo per cui numeriamo), il tempo è il numerato, e non il mezzo per cui numeriamo. E sono cose diverse il mezzo per cui numeriamo e il numerato.
E come il movimento è sempre diverso, così anche il tempo [...]. L’istante, invece, è in parte identico, in parte non identico. In quanto è sempre in un diverso, esso è un diverso (così, infatti, determinammo l’istante in sé); ma in quanto l’istante è ciò che una sola volta è, esso è identico. [...] Dunque, in quanto l’istante è un limite, esso non è un tempo, ma un accidente di questo; in quanto esso fa da misura, è un numero».
Aristotele, Fisica, cit., pp. 102-105.