Unità Aristotele

Lezione Il mondo psichico

La pratica della lettura

L’unità psico-somatica dell’essere vivente

Il brano seguente (L’anima, II, 412 a 20 – 414 a 28) costituisce l’immediata continuazione del testo su “L’anima è vita” a p. 474. In esso Aristotele sviluppa la sua tesi fondamentale, secondo cui «l’anima è la forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza», ponendo la sostanzialità psichica in relazione alla teoria della potenza e dell’atto. In questo senso, l’anima può essere “forma” di un corpo in quanto atto che determina l’unità dell’essere vivente, il quale, senza l’anima, verrebbe consegnato alla mera potenzialità della materia. Troviamo qui adombrata la concezione che tanta fortuna avrà nel naturalismo aristotelico tardo-medievale e rinascimentale, vale a dire l’unità psicosomatica dell’animale come “totalità organica”, le cui parti si trovano in un rapporto di dipendenza funzionale rispetto alla forma sostanziale dell’intero essere vivente.

«L’anima è sostanza, nel senso che è forma di un corpo naturale che ha la vita in potenza. Ora tale sostanza è atto, e pertanto l’anima è atto del corpo che s’è detto. Atto, poi, si dice in due sensi, o come la conoscenza o come l’esercizio di essa, ed è chiaro che l’anima è atto nel senso in cui lo è la conoscenza. Difatti l’esistenza sia del sonno che della veglia implica quella dell’anima. Ora la veglia è analoga all’uso della conoscenza, mentre il sonno al suo possesso e non all’uso, e primo nell’ordine del divenire rispetto al medesimo individuo è il possesso della conoscenza. Perciò l’anima è l’atto primo di un corpo naturale che ha la vita in potenza.

Ma tale corpo è quello che è dotato di organi [...]. Se dunque si deve indicare una caratteristica comune ad ogni specie di anima, si dirà che essa è l’atto primo di un corpo naturale dotato di organi. Pertanto non c’è bisogno di cercare se l’anima e il corpo formano un’unità, allo stesso modo che non v’è da chiedersi se formano un’unità la cera e la figura né, in generale, la materia di una data cosa e ciò che ha per sostrato tale materia. Se infatti l’uno e l’essere hanno molti significati, quello principale è l’atto.

S’è dunque detto, in generale, che cos’è l’anima: essa è sostanza nel senso di forma, ovvero è l’essenza di un determinato corpo. Così se uno strumento, ad esempio una scure, fosse un corpo naturale, la sua essenza sarebbe di essere scure, e quest’essenza sarebbe la sua anima. Tolta questa essenza, la scure non esisterebbe più se non per omonimia. Nel nostro esempio si tratta però soltanto di una scure. In effetti l’anima non è l’essenza e la forma di un corpo di quella specie, ma di un determinato corpo naturale, che ha in se stesso il principio del movimento e della quiete.

Ciò che s’è detto si deve applicare anche alle parti corporee. Se infatti l’occhio fosse un animale, la sua anima sarebbe la vista, giacché questa è la sostanza dell’occhio, sostanza in quanto forma (mentre l’occhio è la materia della vista). Se quest’essenza vien meno, non c’è più l’occhio se non per omonimia, come l’occhio di pietra o dipinto. Ora ciò che vale per una parte bisogna estenderlo all’intero corpo vivente. Difatti la relazione esistente tra parte e parte è analoga a quella che intercorre tra l’intera facoltà sensitiva e l’intero corpo senziente in quanto tale. D’altronde non è il corpo che ha perduto l’anima quello che è capace di vivere, ma quello che la possiede, mentre il seme ed il frutto costituiscono ciò che è in potenza un corpo di tale specie. Allora, come il fendere e il vedere sono atto, così lo è la veglia, mentre l’anima è atto al modo della facoltà di vedere e della capacità dello strumento.

Il corpo, poi, è ciò che è in potenza, e come la pupilla e la vista formano l’occhio, così, nel nostro caso, l’anima e il corpo formano l’animale. È quindi manifesto che l’anima (o alcune sue parti, se per sua natura è divisibile in parti) non è separabile dal corpo, giacché l’attività di alcune sue parti è l’atto delle corrispondenti parti del corpo. Ciononostante nulla impedisce che almeno alcune parti siano separabili, in quanto non sono atto di nessun corpo. [...]

Per questo motivo è esatta l’opinione di coloro i quali ritengono che l’anima non esista senza il corpo né sia un corpo. In realtà non s’identifica col corpo, ma è una proprietà del corpo. Pertanto esiste in un corpo, ed anzi in un corpo di una determinata specie, e non come credevano i nostri predecessori, che la facevano entrare nel corpo, senza determinare la natura e la qualità di esso, benché non si verifichi mai che una cosa qualunque accolga una cosa qualunque. Ed è ragionevole che così avvenga, giacché l’atto di ciascuna cosa si realizza per sua natura in ciò che è in potenza e nella materia appropriata. Da quanto precede è chiaro, dunque, che l’anima è un certo atto ed essenza di ciò che ha la capacità di essere di una determinata natura».

Aristotele, L’anima, cit., pp. 137-142.

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