Unità Aristotele

Lezione L’ontologia, la teoria della sostanza e la teologia

Dio e la teologia

Una volta chiarita la struttura delle sostanze sensibili come individui empirici, Aristotele affronta il problema dell’esistenza, accanto alle sostanze sensibili, di sostanze immateriali o sovrasensibili. Infatti la forma, come espressione della sostanza nel più alto senso metafisico, non può mancare di esistenza. Questo non vale ovviamente per le forme empiriche e individuali (non dimentichiamo infatti che l’esistenza non è un predicato della realtà), ma solo per la forma come principio causale e fondamento dell’universo, cioè dal punto di vista cosmologico. Le conclusioni di Aristotele relative all’esistenza di una forma pura rappresentano una diretta conseguenza dei caratteri che egli ha attribuito all’essere: se questo deve presentarsi come una totalità organica sorretta da relazioni causali, allora, per non cadere nel regresso all’infinito, bisogna ammettere una causa prima. Questa causa non può essere né la materia, la quale è pura potenzialità, né il sinolo che è particolare e, contenendo la materia, ha in sé qualcosa che è ma può anche non essere. Essa deve dunque essere una forma pura, che corrisponde al puro atto scevro di ogni potenzialità.

Solo l’atto puro è pienezza d’essere perché non ha nulla al di fuori di sé, ma costituisce anzi ciò a cui ogni essere particolare tende. Come atto realizzato, cioè come entelechia, il principio dell’universo è Dio, immobile ed eterno come il mondo stesso. Aristotele chiama il principio divino “motore immobile” che muove il mondo come l’oggetto d’amore attrae l’amante, mentre tutte le altre cose muovono muovendosi esse stesse. L’ultimo significato della metafisica o filosofia prima è dunque la scienza del divino o teologia, e poiché il movimento che Dio imprime al mondo è dovuto non a una sua causalità efficiente, ma alla causalità finale del principio come atto puro, la teologia aristotelica si configura come teleologia o scienza dei fini ultimi dell’universo.

Riguardo alla teologia/teleologia aristotelica si deve osservare quanto segue.

  1. Dio non è per Aristotele separato dal mondo; non c’è una spaccatura o un distacco tra lui e il mondo, ma vi è anzi una relazione gerarchica di continuità. Il Dio aristotelico, dunque, non è propriamente creatore ex nihilo, ma solo “generatore” del tempo e del movimento, che sono eterni e continui come lo stesso principio.
  2. Il rapporto tra Dio e il mondo riflette la duplicità che si presenta nella stessa nozione di essere e che percorre tutta la filosofia aristotelica. Come l’essere è al tempo stesso univoco ed equivoco secondo i punti di vista – logico oppure metafisico-ontologico – da cui lo si coglie, così il divino è contemporaneamente immanente come significato o fine delle cose e trascendente come principio unico del tutto.
  3. Oltre a rappresentare il primo motore immobile, Dio è pensiero puro in atto, cioè “pensiero di pensiero” rivolto solo a sé stesso. Questo significa che, così come non ama il mondo ma è amato, allo stesso modo egli non rivolge il suo pensiero alle cose mondane se non indirettamente, vale a dire attraverso quella “continuità meccanica” che lo lega al mondo 9. Un simile rapporto di corrispondenza/trascendenza tra Dio e il mondo fa della teologia aristotelica una sorta di panteismo moderato in cui, accanto all’impersonalità del divino che si diffonde nella natura, riaffiora costantemente la sua personificazione quasi teistica come intelligenza e atto, ovvero, accanto al monismo, riemerge continuamente il dualismo e viceversa. Ciò è dovuto al fatto che, diversamente da Platone, nella metafisica aristotelica manca un principio autenticamente sintetico come quello analogico-proporzionale, in grado di render ragione – pur nella differenza ontologica tra il divino e le cose mondane – della fondamentale unità dell’essere.

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