Unità Aristotele

Lezione Le critiche a Platone, lo spirito di sistema e l’indagine scientifica della natura

Il carattere della filosofia aristotelica

Da quanto detto nel paragrafo precedente, il “fraintendimento” della filosofia platonica da parte di Aristotele risulta inevitabile: se le idee diventano classi, concetti o semplici predicati di un giudizio,cioè in una parola “forme universali” articolabili in generi e specie ma non in oggetti individuali (per i quali bisognerebbe procedere in senso intensionale), la loro segregazione in un mondo trascendente risulta inutile e persino dannosa,  perché complica ulteriormente il già enigmatico quadro della realtà fenomenica. Si noti tuttavia che, riducendo il pensiero scientifico a una teoria deduttiva della dimostrazione, la scienza aristotelica è costretta a prendere in considerazione solo termini universali, cioè generi e specie, i quali costituiscono il vero “oggetto” della conoscenza.

Da qui prende corpo il carattere della filosofia aristotelica. Benché alcuni studiosi, come Düring, abbiano evidenziato l’apertura problematica del metodo aristotelico, è tuttavia innegabile – come altri, sulla scorta di Hegel, hanno osservato – che Aristotele si serve di uno statico metodo classificatorio per i propri concetti conoscitivi, metodo che tende altresì a presentarsi esteriormente come un sistema chiuso, un’entità logica definita in cui si presuppone che la verità si sia come rappresa, al di fuori di ogni trasformazione in senso storico, concreto e individuale. In altri termini, la verità, intesa più come possesso stabile e definitivo anziché come conquista provvisoria di un processo umano di ricerca, tende a trasformare la sistematicità della riflessione tipica dello spirito socratico-platonico – cioè l’organizzazione logica dei concetti raggiunti – in una struttura autoconsistente, nella quale filosofia e scienza vengono a coincidere 4.

Platone, non riconoscendo l’autonomia dei diversi ambiti del sapere, aveva bisogno di una logica differenziata o equivoca, di tipo analogico, per render ragione della diversità dell’essere (per esempio nella distinzione tra il senso copulativo del verbo “essere” e il suo senso esistenziale e assertorio, come effettiva descrizione di un fatto).

Aristotele, invece, identificando il sapere autentico col ragionamento dimostrativo, utilizza una logica univoca in cui il verbo essere, corrispondentemente alla sua teoria delle classi, indica l’inerenza o non inerenza di un predicato a un soggetto. La sua concezione della conoscenza è perciò declinata in base alla struttura dell’asserzione linguistica (“A è B” = B inerisce ad A), cosicché le leggi logiche non sono altro che un calco del linguaggio ordinario.

Da qui la difficoltà di realizzare il compito che ogni filosofia come scienza si propone, vale a dire esprimere l’idea di una suprema connessione logica di tutte le scienze che, in quanto filosofia prima, raccolga ed esaurisca tutto lo scibile. Infatti, in un linguaggio che si articola secondo generi e specie, la filosofia prima, o scienza dell’essere in quanto essere, non è eseguibile, in quanto il suo oggetto – l’essere – si presenta come un principio trascendentale o onnipervasivo e, dunque, non sottoponibile alla struttura del ragionamento dimostrativo.

Di fronte al principio indimostrabile dell’essere, la filosofia aristotelica si presenta come una scienza divina, in cui si presuppone che la verità sia interamente rivelata o rivelabile all’uomo mediante l’intelligenza e il concetto. Si tratta di un razionalismo che si congiunge a una nozione positiva di teologia: a differenza di Platone, per Aristotele conoscenza umana e conoscenza divina tendono a coincidere 5.

Questo razionalismo teologico che, come vedremo, fa perno sulla nozione di finalità dell’essere (teleologia), favorisce altresì la rottura del nesso stabilito da Socrate e Platone fra vita teoretica e vita pratica, basato sul concetto di unità della virtù. Il modo di vivere filosofico è, per Aristotele, fine a sé stesso e tende a risolversi nella vita di pura contemplazione, in opposizione agli interessi legati al vivere quotidiano. La filosofia è l’unica scienza libera «perché essa sola ha il fine in sé stessa». Una vita di tal sorta è detta da Aristotele “divina” perché «l’uomo non vive di quella vita come uomo, ma in quanto un certo che di divino è presente in lui». L’uomo che persegue le virtù pratiche non può utilizzare il sapere più alto, cioè dimostrativo; pertanto, se da un lato Aristotele ha il merito di proporre una nozione articolata di razionalità, dall’altro resta sempre il fatto che la “vera” razionalità che si esprime nella scienza è solo quella teoretica, in cui le conclusioni derivano necessariamente dalle premesse, mentre le altre forme – in quanto vincolate all’abitudine, alla tradizione e all’esperienza – hanno sempre a che fare con il possibile e il probabile 6.

Infine, da tutto ciò si comprende perché, come storico della filosofia, Aristotele abbia spesso trasformato o emendato le dottrine dei predecessori, sino a renderle talvolta irriconoscibili rispetto a una più attenta indagine filologica. La critica verso tali dottrine veniva infatti da lui esercitata ai fini di una ricostruzione soggettiva da utilizzare come base per l’edificazione del proprio sistema. È quindi sempre lo spirito di sistema la causa principale di eventuali decurtazioni e travisamenti.

L’insistenza di Aristotele sulla nozione di “sophía” anziché di “philía” nel tracciare il senso dell’indagine filosofica, costituisce senza dubbio il carattere decisivo che lo separa dall’éros platonico. Ma, come vedremo – e come alcuni studiosi hanno evidenziato –, nella filosofia aristotelica sembra sopravvivere una vena di platonismo ineliminabile che percorre il suo pensiero dall’inizio alla fine. Infatti, malgrado tutto il suo empirismo, Aristotele rimane legato a un tipo di oggetto della conoscenza – vale a dire la sostanza – che sopravanza ogni determinazione sensibile, materiale e categoriale. Questa permanenza di un fattore extrasensibile è la ragione del continuo riemergere di quel dualismo tra forma e materia della realtà che Aristotele e lo stesso Platone si erano sforzati, sia pure con mezzi diversi, di eliminare.

4.Le diverse interpretazioni del “carattere” della filosofia aristotelica

Hegel: la filosofia aristotelica come sistema speculativo chiuso, sintesi superiore di empirismo e idealismo

«Aristotele ha portato lo sguardo su tutta la cerchia delle rappresentazioni umane, è penetrato in tutte le pieghe dell’universo reale, assoggettandone la ricchezza e la frammentarietà al concetto [...]. Ma l’aspetto generale della sua filosofia non si presenta già come un tutto sistematicamente costruito, di cui l’ordine e il collegamento sottostiano parimenti al concetto; anzi le varie parti sono desunte dall’esperienza e poste le une accanto alle altre, di guisa che ciascuna di esse è conosciuta per sé come concetto determinato, senza essere assunta nel nesso del movimento scientifico. [...] Di fatto Aristotele ha superato per profondità speculativa Platone, giacché conobbe la più profonda tra le speculazioni, l’idealismo, e vi si attenne, nonostante la parte amplissima concessa all’empirismo. [...] Sebbene il sistema di Aristotele non appaia dedotto nelle sue parti dal concetto, sebbene anzi queste parti appaiano giustapposte, tuttavia esse costituiscono un insieme filosofico essenzialmente speculativo. [...] Non si deve così cercare un sistema filosofico, le cui singole parti vengano dedotte, ma soltanto un inizio estrinseco e un procedimento empirico: quindi la sua maniera è spesso quella del ragionamento comune. Ma siccome egli, nonostante questo suo procedimento, ha pure la peculiarissima caratteristica di essere molto profondamente speculativo, la sua maniera più tipica consiste nel cogliere il fenomeno da osservatore che pensa. [...] [Aristotele] ha la pazienza di esaminare tutte le rappresentazioni e tutti i problemi; e dall’esame dei singoli caratteri determinati, scaturisce la salda determinazione di ogni oggetto, ricondotta alla speculazione. In tal modo egli forma il concetto, ed è in sommo grado filosofico, pur sembrando soltanto empirico. L’empiria di Aristotele è totale, perché riconduce sempre di bel nuovo alla speculazione: si può dunque dire ch’egli, in quanto empirico compiuto, è a un tempo pensatore [...] infatti l’empirico, colto nella sua sintesi, è precisamente il concetto speculativo». G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, vol. II, cit., pp. 276, 289-291.

Jaeger: la filosofia aristotelica come sistema in continua evoluzione

«Aristotele non si avvicinò affatto con fredda intelligenza critica al mondo della filosofia platonica, ma anzi restò per lunghi anni dominato dall’enorme suggestione della sua figura. [...] La filosofia di Platone diviene per lui, da compiuta forma, materia per qualcosa di nuovo e più alto. La presa di posizione rispetto a ciò che, con tutta l’anima, egli ha attinto da Platone, si estende attraverso l’intera opera della sua vita, è il filo conduttore della sua stessa evoluzione. Essa lascia intravedere un progressivo sviluppo, attraverso i cui diversi stadi è dato seguire chiaramente il processo onde il nocciolo essenziale del suo pensiero si libera dalla corteccia. Anche le ultime creazioni recano in sé, in certo modo, la traccia e il sigillo dello spirito platonico, ma in grado più esiguo che quelle di più antica età. Il concetto aristotelico dell’evoluzione può essere applicato a lui stesso: la nuova forma, che vuol realizzarsi nel divenire, si afferma vittoriosamente contro l’opposizione di una materia, per quanto grande sia il valore intrinseco a questa. [...] La storia della sua evoluzione presenta, coi suoi documenti esattamente determinabili, addirittura una scala del graduale processo in tale direzione, anche se egli non riuscì, in molti punti, ad andare al di là del compromesso. In tali punti i suoi scolari lo hanno spesso capito, più tardi, meglio di quanto si fosse capito egli stesso, cioè hanno cancellato l’elemento platonico e cercato di conservare quello puramente aristotelico. Ma ciò che è specificamente aristotelico è proprio soltanto la metà di Aristotele. Gli scolari non capirono questo: egli ne rimase sempre consapevole». W. Jaeger, Aristotele. Prime linee di una storia della sua evoluzione spirituale (1923); cit. da Questioni di storiografia filosofica, vol. I, cit., pp. 272-273.

Düring: la filosofia aristotelica come un’aperta “sistematica dei problemi”

«L’ordinamento degli scritti del Corpus Aristotelicum risale ad Andronico [...]. A fondamento della sua attività di editore sta una concezione della filosofia aristotelica che fondamentalmente non è aristotelica, bensì schiettamente ellenistica. Egli si aspettava cioè di ritrovare in Aristotele ciò che era tipico della filosofia del suo tempo: un sistema filosofico unitario. [...] Fondamentalmente, Aristotele era un pensatore problematico e un creatore di metodi; aveva certo una forte tendenza sistematica, ma ciò a cui tendeva era una sistematica dei problemi: cercava cioè sempre di inquadrare il problema particolare in un ambito più vasto. [...] Nell’esposizione dei risultati conseguiti non di rado impiega il metodo deduttivo, [suscitando] l’impressione di un dogmatismo. Ma nella maggior parte dei casi egli conduce una ricerca e considera i pro e i contro in un incessante dialogo con se stesso. Era fondamentalmente convinto del fatto che i diversi campi della scienza richiedono diversi metodi, e che di conseguenza lo scienziato deve sempre ricercare nuovi principi. Questa varietà dei principi è un’essenziale caratteristica della filosofia aristotelica, ed è quindi assolutamente impossibile trovare in Aristotele un sistema concluso, se si intende con questo termine una filosofia che esponga un edificio dottrinale ben connesso e fondato su un concetto di unità. [...] L’edizione di Andronico segna l’inizio dell’aristotelismo [...]. La filosofia di Aristotele doveva essere trasposta in un’esposizione sistematica, perché ci si interessava anzitutto al contenuto dottrinale, e non all’impostazione dei problemi e alla loro discussione come tali. Fu quindi compito della generazione successiva divulgare Aristotele mediante parafrasi e spiegarlo per mezzo di commentari». I. Düring, Aristotele, cit., pp. 52-54.


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