Capitolo Da Mendel ai modelli di ereditarietà

Paragrafo

Come interagiscono i geni?

I primi genetisti, Mendel compreso, lavorarono dando per scontato che ogni gene influenzasse un solo carattere, indipendentemente dall’azione degli altri geni. Col procedere delle ricerche, questo presupposto si rivelò non sempre vero. Ci sono infatti casi nei quali due geni interferiscono nel determinare un dato tratto fenotipico (epistasi) e casi in cui numerosi geni concorrono a determinare un unico tratto del fenotipo (ereditarietà poligenica).

Nell’epistasi un gene influenza l’effetto di un altro gene

L’epistasi è un fenomeno per cui un gene influenza l’espressione fenotipica di un altro gene. Per evidenziare un fenomeno epistatico è conveniente studiare la progenie che si forma dall’incrocio di due diibridi. In caso di epistasi, infatti, la comune distribuzione dei fenotipi studiata da Mendel (9:3:3:1) risulta modificata.

Un esempio è costituito dal colore del mantello dei cani di razza Labrador, che dipende da due geni, B ed E.

  • Il gene B controlla la produzione del pigmento melanina: l’allele dominante B produce pigmentazione nera, mentre l’allele recessivo b produce pigmentazione marrone.
  • Il gene E controlla invece la deposizione del pigmento nel mantello: in presenza dell’allele dominante E la melanina si deposita normalmente nel pelo; l’allele recessivo e invece impedisce la deposizione del pigmento: esso viene prodotto ma non si deposita nella pelliccia. Il risultato è un mantello di colore giallo.

Di conseguenza i cani BB o Bb sono neri e quelli bb sono marroni solo se sono anche EE oppure Ee; i cani ee, invece, sono sempre di colore giallo, indipendentemente dalla presenza degli alleli B o b (▶figura 14). L’allele recessivo e è quindi epistatico sugli alleli B e b.

Dall’accoppiamento fra due cani BbEe si ottiene una cucciolata con 9/16 di cani neri, 3/16 di cani marroni e 4/16 di cani gialli; puoi costruire un quadrato di Punnett per verificare questa previsione.

Figura 14
Figura 14openI geni possono interagire reciprocamente tramite epistasi • L’epistasi si manifesta quando un gene altera l’effetto fenotipico di un altro gene. Nel caso dei cani Labrador retriever il gene E/e determina l’espressione del gene B/b.

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La soppressione cancella l’espressione di un altro gene

Un allele soppressore agisce cancellando l’espressione di un allele mutante di un altro gene, dando luogo al normale fenotipo selvatico; per esempio, nel moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) esiste un allele recessivo pd che produce occhi color porpora invece del normale colore rosso.

Un altro allele recessivo, chiamato su, sopprime l’espressione dell’allele pd. Pertanto, i moscerini omozigoti recessivi mostrano il fenotipo selvatico «occhi rossi».


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Nuove combinazioni e interazioni fra geni producono il vigore degli ibridi

Agli inizi del Novecento uscì un articolo del genetista statunitense George H. Shull; l’articolo era intitolato «La composizione di un campo di granturco» ed ebbe un’influenza fondamentale sugli studi di genetica applicata.

Gli agricoltori sapevano da secoli che l’accoppiamento fra parenti (detto inincrocio) può portare a una prole di qualità più scadente rispetto all’accoppiamento fra individui non imparentati. I problemi con l’inincrocio sorgono perché i parenti stretti tendono ad avere gli stessi alleli recessivi, alcuni dei quali possono essere dannosi come abbiamo visto trattando degli alberi genealogici umani. Si sapeva da tempo che incrociando due diversi ceppi puri, cioè ceppi di piante o animali geneticamente omozigoti, si ottiene una prole più forte, più grande e in generale più «vigorosa» rispetto ai genitori.

Shull iniziò il suo esperimento con due delle migliaia di varietà di granturco esistenti. Entrambe le varietà avevano all’incirca la stessa resa (attorno a 5 quintali di granturco per ettaro) ma, quando Shull le incrociò, la resa della loro prole quadruplicò. Questo fenomeno è noto con il nome di eterosi (contrazione di eterozigosi) o vigore degli ibridi. La pratica dell’ibridazione è utilizzata oggi sia in agricoltura sia in zootecnia; per esempio, i bovini da carne incrociati sono più corpulenti e più longevi del bestiame allevato all’interno del proprio ceppo genetico.


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I fenotipi complessi sono determinati da più geni e dall’ambiente

Le differenze fra individui per caratteri semplici come quelli studiati da Mendel nei piselli sono discontinue e qualitative. Per esempio, gli individui di una popolazione di piante di pisello sono a fusto normale oppure a fusto nano, senza alcuna via di mezzo. Tuttavia, per la maggior parte dei caratteri complessi il fenotipo varia in modo pressoché continuo entro un certo ambito. Alcune persone sono basse, altre sono alte e molti hanno una statura intermedia fra i due estremi. Questo tipo di variabilità individuale in una popolazione è detta continua ed è spesso associata a caratteri fenotipici quantitativi.

Questa grande variabilità può dipendere dall’ambiente, ma in alcuni casi è invece causata direttamente da fattori genetici. Per esempio, nella nostra specie il colore degli occhi è in gran parte il risultato di un certo numero di geni che controllano la sintesi e la distribuzione del pigmento nero melanina. Gli occhi neri ne contengono molto, quelli castani di meno e quelli verdi, azzurri o grigi ancora di meno. In questi ultimi tre casi, la differenza di colore dipende dalla riflessione della luce dovuta alla distribuzione di altri pigmenti dell’occhio. Tuttavia in molti casi la variabilità quantitativa è dovuta sia ai geni sia all’ambiente.

I genetisti chiamano poligenici i caratteri regolati da molti geni e loci per un tratto quantitativo (o QTL) i geni che concorrono a determinare caratteristiche complesse di questo tipo. Il riconoscimento di tali loci costituisce oggi una delle sfide più impegnative e stimolanti.


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I caratteri poligenici

Gregor Mendel arrivò a formulare le leggi che portano il suo nome perché i caratteri da lui esaminati erano monofattoriali, cioè dovuti all’azione di un solo gene.

A determinare un carattere sono tre situazioni estreme, come rappresentato dai vertici del seguente disegno: 

Un vertice rappresenta la trasmissione monogenica (o mendeliana classica), i cui tipici esempi sono le caratteristiche morfologiche delle piante di pisello (per esempio, il colore del seme o l’altezza della pianta), l’essere affetto o meno da una malattia genetica di cui si conosce il gene responsabile, come nel caso di fibrosi cistica, emofilia e talassemia.

Un altro vertice simboleggia l’eredità poligenica, situazione in cui il carattere è ereditario e determinato da più geni, ciascuno dei quali contribuisce all’espressione della stessa caratteristica fenotipica. I caratteri poligenici, o caratteri non mendeliani, essendo il risultato dell’interazione dei prodotti di più geni possono presentare una variazione continua nell’intensità della loro manifestazione (ovvero caratteri quantitativi), oppure presentarsi nella modalità presenza/assenza (o caratteri discontinui).

Nel caso ideale in cui nessun fattore genetico contribuisce alla manifestazione di un carattere, quest’ultimo dipende esclusivamente dall’azione di fattori ambientali (cioè il terzo vertice del triangolo).

Ciascun carattere può essere posizionato in uno di questi tre vertici, o molto più spesso in un punto all’interno del triangolo, la cui posizione rispecchia il contributo relativo dei tre aspetti descritti. Nella maggior parte dei casi, infatti, i caratteri dipendono da più di un fattore genetico e spesso anche da quelli ambientali. Si definisce quindi carattere non mendeliano un carattere che dipende da due o più loci, con contributo variabile di fattori ambientali. Il termine multifattoriale è un suo equivalente e comprende tutte le possibilità di combinazione di fattori genetici e ambientali.

Mentre è semplice comprendere che un dato carattere sia condizionato sia da fattori genetici sia da fattori ambientali, è forse meno intuitivo come sia possibile che un carattere sia influenzato sia da fattori monogenici sia da fattori poligenici. Per comprendere questa situazione, si può immaginare un carattere che sia controllato in modo preponderante da un singolo gene, ma con il concorso accessorio di altri geni a modularne l’espressione.


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Cos’è un carattere poligenico quantitativo?

Altezza, peso, colore della pelle, colore degli occhi, pressione arteriosa, sono tutti esempi di caratteri poligenici quantitativi. Un carattere quantitativo deve poter essere misurabile all’interno di un insieme di valori possibili e non sottostare alle regole di caratteristica «presente» o «assente»; per esempio, non possiamo dire che una persona ha la pressione sanguigna oppure non ce l’ha, ma solo a quale valore corrisponde al momento della misurazione.

Il matematico e genetista inglese Ronald Aylmer Fisher (1890-1962) fu il primo a formulare la teoria poligenica dei caratteri quantitativi sostenendo che questo tipo di carattere subisce una variazione continua spiegabile dall’azione mendeliana di un gruppo di geni, ciascuno dei quali non ne determina la presenza o l’assenza, ma fornisce un piccolo contributo alla sua intensità.

Consideriamo, per esempio, il carattere «altezza»: ci sarà un gruppo di geni coinvolti nella sua determinazione, dove A potrebbe essere il gene che codifica per l’ormone della crescita, B quello che contribuisce a determinare la velocità di accrescimento dell’osso, e così via. Ciascun gene potrebbe presentarsi in due forme alleliche, ognuna delle quali capace di determinare 5 cm aggiuntivi all’altezza finale se presente nella forma dominante, o causare la perdita di 5 cm se presente nella variante recessiva.

Se al gruppo di alleli che contribuiscono a determinare l’altezza aggiungiamo altri alleli degli stessi geni, o altri geni, e teniamo conto anche di una variabilità aggiuntiva legata all’ambiente, ecco che la rappresentazione grafica della distribuzione dei valori delle singole altezze assomiglierà a una curva a campana (o curva di Gauss), in cui tutti i valori compresi tra i due estremi sono ammessi, nessuno escluso (▶figura 15).

Un determinato genotipo non stabilisce un valore preciso del carattere, ma un intervallo, che nel caso delle altezze potrebbe essere compreso tra 150 e 190 cm. Il valore reale che il carattere assume è poi precisato dall’ambiente: se in condizioni normali una persona può raggiungere, grazie al proprio genotipo, un’altezza superiore alla media, in mancanza di cibo non esprimerà appieno le proprie potenzialità e resterà più basso. Allo stesso modo, più individui che seguono la stessa alimentazione manterranno, al termine dello sviluppo, le loro differenze di altezza.

Figura 15
Figura 15openLa variazione continua • La variazione continua è dovuta all’interazione tra geni e ambiente. Queste persone (donne in bianco, a sinistra; uomini in blu, a destra) mostrano una variazione continua dell’altezza (la misura è espressa in piedi: 5.0 = 152 cm e 6.5 = 198 cm).

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